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Rassegna
Stampa Nazionale
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08.04.2006
- di Eugenio Lombardo
Tesi di laurea del Lodigiano - 134 La scoperta del territorio attraverso
la ricerca dei giovani dell’Università
Quegli antichi oratori di campagna
Gaia Trani ricostruisce la storia degli edifici religiosi dell’area
sudmilanese
Questa pagina vanta un numero rilevante di amici, lettori che hanno segnalato
studi e loro conoscenti che avevano realizzato tesi di laurea sul Lodigiano.
Certe volte, per raggiungere un autore, si è sviluppato uno spontaneo
passaparola; e anche chi non conosceva l'iniziativa del «Cittadino»
di delegare un cronista quale testimone di argomenti che si andavano studiando
nelle aule degli atenei italiani riguardo al territorio lodigiano, ne
è stato messo a parte. La pagina odierna, allora, va attribuita
ad uno di questi amici: si tratta di Pierino Esposti, presidente della
“Associazione Culturale Zivido”; è stato lui a farmi
ritrovare un altro autore di tesi sul Lodigiano, in particolare sulle
monache cappuccine: Marco Bascapè, oggi responsabile dei beni culturali
dell'Azienda di servizi alla persona “Golgi-Redaelli”, nota
fino a tre anni fa come Ipab ex Eca di Milano ed erede degli antichi Luoghi
Pii Elemosinieri meneghini. Grazie a Pierino Esposti la pagina idealmente
va in trasferta, a San Giuliano Milanese, luogo ricco di storia, con realtà
interessantissime ma non sempre ben collegate tra loro: posti come Viboldone,
Zivido, Rocca Brivio, potrebbero rappresentare un itinerario turistico
di tutto rispetto. E di San Giuliano parla, pur se indirettamente, questo
bellissimo lavoro di Gaia Trani, giovane studiosa originaria di Cernusco
sul Naviglio. Conseguita nell'anno accademico 2003/2004 all'Università
degli Studi di Parma, presso la facoltà di Lettere e Filosofia,
corso di laurea in Conservazione dei beni culturali, indirizzo beni mobili
ed artistici, la tesi ha il seguente titolo: “Oratori della campagna
milanese: Sant’Ambrogio a Zunico e San Lorenzo a Cantalupo: la ricostruzione
di un percorso storico-artistico”. Relatrice la professoressa Maria
Grazia Aurigemma; correlatore, appunto, il dottor Marco Bascapè.
La nostra esposizione si concentra sull'oratorio di San Lorenzo. Mi ha
spiegato Gaia Trani: «Incuriosita dalle articolate realtà
artistiche che il contesto rurale, sebbene non sempre adeguatamente valorizzato,
è in grado di offrire, ho voluto evidenziare attraverso la ricostruzione
degli aspetti storici degli edifici presi in esame, come realtà
simili possano spesso celare anche interessanti aspetti artistici e culturali».L'autrice
pone in relazione gli oratori di cascina alle antichissime pieve rurali,
nati nelle campagne a seguito delle prime espressioni di libertà
dei cristiani; ma il collegamento più solido è possibile
riscontrarlo sopratutto con le “cappellae” dell'XI secolo, riconosciute
dalla Chiesa, anche se con limiti precisi, ed alle quali veniva comunque
attribuita una importanza inferiore rispetto alla generalità dei
comuni edifici religiosi. Fu anzi proprio la Chiesa a mostrarsi molto
prudente verso i piccoli oratori di campagna, giungendo poi ad una triplice
distinzione tra classi: privato, semipubblico e pubblico.Lo studio di
Gaia Trani non si limita a ricostruire la genesi di un oratorio importante
del Sudmilano, ma offre anche uno spaccato sociale di come vivevano le
comunità di campagna, simboli del territorio lodigiano. Nella tesi,
ad esempio, si parla degli “status animarum”, attraverso i quali
si è venuti a conoscenza di tanti particolari: si trattava «di
un censimento di fedeli – spiega l'autrice – che si rivelò
un utile strumento in grado di fornire un'immagine chiara del culto
e della sua amministrazione nelle singole parrocchie della diocesi; esso
rivelava il numero degli abitanti suddivisi per “fuochi” o nuclei
famigliari; il numero di quanti si recavano alla santa messa e quello
preciso dei fedeli che dovevano ricevere la comunione domenicale: tutto
veniva monitorato comprese le usanze e le superstizioni diffuse nelle
zone». Come spiega la dottoressa Trani, gli oratori erano sempre
di piccole dimensioni, nella maggior parte dei casi con una cappella raccordata
all'unica navata attraverso un ampio arcone. Fu Carlo Borromeo a
diffondere precise regole formali per la costruzione e la ristrutturazione
degli edifici religiosi; mentre tra i motivi che portarono la committenza
laica alla fondazione di oratori, la spinta sempre più sentita
verso una cristianità intimista e individuale e l'oramai diffuso
intento celebrativo di se stessi e del proprio casato (quasi una forma
di trionfo sulla morte), divennero lo spunto per veicolare nuove scelte
stilistiche, diffondere un gusto e competere in bellezza e magnificenza
con le chiese edificate per volere del clero: «Se non le esequie
– precisa a questo proposito la Trani – spesso negli oratori
campestri venivano celebrate le messe in suffragio che il proprietario
con il testamento, ordinava ai suoi eredi in perpetuo, per raccomandare
la propria anima nell'Aldilà. Un simile costume, assai diffuso
e redditizio, fu molto sfruttato dalla Chiesa, che permise anche negli
oratori e nelle cappelle la celebrazione di messe in suffragio, grande
ed inestinguibile fonte di guadagno; dall'altra parte garantì
ai privati una forma di privilegio sulle attività del clero utilizzate
per propri fini», portando a una privatizzazione delle chiese.Questa
tendenza aumentò progressivamente con il trascorrere del tempo:
«Tra Seicento e Settecento, l'oratorio conobbe un altro periodo
di grande diffusione, sebbene di diverso impatto rispetto alla fortunata
stagione cinquecentesca. La sua struttura, la sua origine ben soddisfacevano
alle esigenze separatiste e individualiste di alcuni gruppi di fedeli,
soprattutto nel corso del secolo XVIII, che prediligevano un'autonomia
dalla vita parrocchiale». L'oratorio di Cantalupo fu edificato
tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo da Agostino Olocati, che
insieme al fratello Antonio aveva acquistato l'omonima possessione
dalla madre Lucrezia Calvi. Si trattava di una famiglia nobile legata
al commercio di ori e argenti. La signora Lucrezia già nel 1601,
in previsione del completamento dell'oratorio, nelle proprie disposizioni
testamentarie aveva istituito un legato di 2.000 lire imperiali, a cui
ne aggiunse poi altre 1.000 per la celebrazione di messe in suffragio
della sua anima: «I legati costituivano per le chiese una preziosa
forma di investimento, presso un altare potevano esservi più legati
per le messe in suffragio e più ricche ed importanti erano le famiglie
tanto più consistente risultava il legato».Prima di questo
oratorio è probabile, comunque, che vi fosse già una piccola
cappella, dedicata ai santi Nabore e Felice (martiri del IV secolo decapitati
a Laus Pompeia, ove probabilmente esisteva una ben radicata collettività
cristiana da terrorizzare e arginare). Dai documenti esaminati, emerge
che il 26 settembre 1602 il cardinale Federico Borromeo si recò
in visita pastorale all'oratorio di Cantalupo, e ne trasse precise
impressioni: «L'oratorio risultò non essere interamente
conforme ai dettami diffusi dalle norme. Confacente nell'orientamento
e nelle dimensioni della singola navata, se ne discostò per la
mancanza di campanile, della sacrestia meridionale e di un'adeguata
cappella ove poter celebrare, con libertà di spazio, i sacri riti».Ma
un'altra cosa colpì il cardinale. L'assenza di dipinti,
fatta l'unica eccezione per una tavoletta votiva raffigurante San
Francesco mentre riceve le stigmate: «Una mancanza che venne subito
annotata dal cardinale fra le modifiche da apportare all'edifico;
le immagini avevano un ruolo fondamentale per la fede, esse dovevano suscitare
la devozione, propagandare il culto, stimolare la partecipazione popolare
ed agivano in sinergia con il lavoro del clero per l'educazione religiosa
“dei semplici e della lotto contro l'ignoranza e la superstizione”,
che costituivano uno dei problemi principali che la Chiesa della Controriforma
si trovò ad affrontare».Malgrado promesse e rassicurazioni,
l'oratorio non subì significative ristrutturazioni: nell'arco
di 85 anni, durante i quali avvennero numerosi cambi di proprietà,
vi furono otto visite pastorali, e per ciascuna di esse non mancavano,
da parte dei visitatori, puntualizzazioni e richieste di interventi sull'oratorio:
«Ma l'impressione complessiva che può ricavarsene, per
esempio sotto la proprietà di Giovanni Paolo Brocco [1687], è
positiva: prevale infatti l'immagine di un edificio in buono stato
nel quale, durante i giorni festivi, veniva celebrata la messa ordinaria
dai monaci Olivetani del vicino monastero di San Pietro e Paolo di Viboldone».Le
osservazioni dei visitatori non erano solo relative allo stato esterno
dell'oratorio, ma anche all'ambiente complessivo, rivolte ovviamente
a garantire un culto efficace, e l'apprendimento della dottrina:
sempre nel 1687, ad esempio, fu osservata negativamente l'assenza
del confessionale: «Resta di notevole importanza l'indicazione
dell'insegnamento della dottrina cristiana, soprattutto se si pensa
che rivolte a questo erano le chiese parrocchiali, non certo gli oratori
di campagna di giurisdizione privata e laica. Alla luce di ciò,
la richiesta della presenza di un confessionale è indicativa di
un cambio di funzione dell'oratorio che da edificio ad uso priva
o, stava divenendo un importante punto di riferimento per i vicini poderi».Un'altra
notizia attesta l'importanza dell'oratorio di Cantalupo: «Infatti,
si tratta di un documento, datato 10 dicembre 1678, col quale Papa Innocenzo
XI concesse l'indulgenza plenaria, della durata di sette anni, a
tutti coloro che, pentitisi, avrebbero visitato l'oratorio di San
Lorenzo nel giorno a lui dedicato, il 10 agosto». Altri interventi
qualificanti si fecero, nel XVIII secolo, sotto la proprietà dei
Vismara: «E nelle soluzioni stilistiche prescelte si riscontrò
il riflesso del gusto che trapelava dagli sfarzosi e ridondanti salotti
dell'elite milanese: la sontuosa Milano del Barocchetto Lombardo».
E successivamente grazie all'amministrazione dei Luoghi Pii Elemosineri,
che nel 1831 assunse la proprietà della possessione Cantalupo e
che ancora oggi esercita su tale bene i medesimi diritti ed oneri dal
tempo dell'acquisto, nella rinnovata veste di Asp “Golgi-Redaelli”. L'attenzione
di Gaia Trani si è inoltre rivolta alla valutazione delle opere
d'arte conservate via via, nel tempo, all'interno dell'oratorio,
ed alla figura del pittore milanese Giovan Battista Sassi, che qui prestò
la propria opera. Proprio a quest'ultimo spetta la straordinaria
pala, commissionata dai Vismara ed oggi conservata presso la sede milanese
dell'Asp in attesa che i nuovi restauri dell'oratorio, avviati
già da qualche tempo, abbiano conclusione: «L'attribuzione
al Sassi ha avuto conferma a seguito del restauro compiuto nel 2001 dallo
studio di Barbara Ferriani in occasione del quale emersero la data (1747)
e la firma; il prezioso intervento ha infatti permesso di poter ammirare
i freschi colori ed il gradevole disegno dell'opera raffigurante
La Vergine con Bambino adorata dai santi Lorenzo e Carlo». Gaia Trani
descrive con appassionata partecipazione lo stile di Giovan Battista Sassi:
«L'artista, ormai settantenne, inscrisse la scena nel tipico
registro della tradizionale Sacra Conversazione ove la Vergine col Bambino,
posti su un piano rialzato rispetto ai santi o agli astanti, volgono a
questi, i loro sguardi misericordiosi; uno schema convenzionale che però
fu capace di arricchire di virtuosismi compositivi e cromatici. Non mancò
infatti di movimentare ed unire la scena attraverso un ritmo bilanciato
di linee e piani: l'inarcarsi del corpo del Bambino, mentre volge
con gesto benedicente lo sguardo verso il vicino san Lorenzo, si oppone
alla torsione della Vergine che elegantemente guarda l'orante san
Carlo; espediente che ripropone nelle posture dei due putti che, alle
spalle dei santi, recano i simboli iconografici che li caratterizzano:
la palma del martirio per san Lorenzo ed il motto “Humilitas”
per san Carlo Borromeo». Ma l'oratorio vanta anche un ciclo
di affreschi, realizzati in contemporanea con la pala, che lo storico
dell'arte Federico Cavalieri ha recentemente attribuito al Sassi
o ad un suo allievo: «Il ciclo interessa le pareti laterali dell'edificio
sulle quali, iscritte all'interno di medaglioni, sono rappresentate
le figure a mezzo busto dei santi Filippo Neri, Vincenzo Ferrer, Francesco
da Paola e Antonio da Padova. La resa pittorica delle figure si presenta
di qualità e tono minore rispetto alla pala, spoglia della freschezza
che l'artista sapeva trasmettere anche nella pittura ad affresco;
i colori infatti si mostrano piatti, privi della modulazione che contraddistingue
la tavolozza dell'artista. Con molta probabilità il tono minore
che si percepisce è imputabile all'ottocentesco restauro che
il cappellano Pietro Belassi attuò per l'oratorio nel settembre
1884, affidando ad ignoto pittore la ridipintura interna dell'edificio.
E, per concludere, sempre alla fase ottocentesca è con molte probabilità
ascrivibile la decorazione della volta della cappella che sovrasta la
pala». Come detto, l'oratorio Cantalupo è ora oggetto
di scrupoloso restauro e non può essere visitato. Si spera che
tra un anno o poco più diventi meta non solo del turismo religioso,
ma di tutti gli appassionati di quei luoghi del passato che hanno mantenuto
inalterato il loro fascino.
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