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Nata
per l'altare che tuttora la ospita, la
sontuosa pala fu probabilmente l'ultimo atto del rinnovamento
dell'oratorio di Cantalupo promosso da Alfonso Vismara e dai fratelli
intorno al 1740, poco dopo l'acquisizione del giuspatronato.
Della tela non sembra esistere traccia nella letteratura, fatta
eccezione per una breve citazione: "opera notevole per robustezza
di colorito e grandiosità di linee, attribuita a un buon
autore della seconda metà del Seicento" (Sette secoli,
1979, n.185) Nella recente schedatura dei beni dell'ente condotta
da Sergio Rebora l'errata cronologia era già stata corretta
in favore di un più verosimile 1740-1749, oggi definitivamente
confermato. Durante il restauro condotto da Barbara Ferriani (i
cui risultati, date le condizioni di partenza della tela, sono andati
al di là di ogni aspettativa) sono infatti state recuperate
la data e la firma: Giovan Battista Sassi, 1747.
Il 13 maggio di quello stesso anno lo scultore Carlo Nava ricevette
da Alfonso Vismara il compenso per la realizzazione dell'ancona
di marmo destinata ad ospitare la tela (AIMI, "Prerogative"
822). Due anni dopo, il resoconto della visita pastorale descrive
una situazione simile all'odierna, con la pala sull'altare e le
pareti ornate di medaglioni affrescati, sagomati a scudo, con le
figure dei santi Filippo
Neri, Antonio
di Padova, Francesco
di Paola e Vincenzo
Ferrer (ibidem; stranamente il testo descrive la pala
come "imago Beatissime Virginis Marie Iesum Christum e cruce
depositum gestantis").
Anche i quattro santi a mezza figura vanno probabilmente ascritti
alla mano del Sassi o di un suo stretto collaboratore (non ne dovevano
mancare nella bottega di un pittore ormai avanti negli anni e abituato
ad affrescare grandi superfici) ma il leggero scadimento qualitativo
che vi si avverte va forse imputato a un ritocco eseguito nel 1884,
quando il cappellano don Pietro Belossi fece decorare gran parte
delle pareti da un pittore ignoto. A questo momento risale probabilmente
il partito decorativo sulle pareti e, forse, l'intera composizione
della volta, con un trionfo di puttini incorniciatoda neo-settecenteschi
riquadri mistilinei e figure in mono cromo. Miracolosamente intatta,
invece, è rimasta la tela, il cui restauro non ha rivelato
tracce di ridipinture.
Anche la pittura su tela del Sassi, fino a pochi anni fa noto soprattutto
come frescante, sta progressivamente riemergendo (per accurati aggiornamenti
bio-bibliografici si vedano Caprara 1995, pp.166-167, e Coppa 1999b,
p.307). La composizione di Cantalupo ripropone, semplificandola
e in certa misura decantandola, la grandiosa messa in scena della
"Madonna col Bambino e santi" della chiesa di S. Zeno
al Foro di Brescia, databile al 1739. Nello schema si rivelano affinità
anche con la "Madonna col Bambino adorata dai santi Carlo e
Antonio da Padova" della chiesa dei Ss. Tommaso e Andrea a
Pontevico, di recente riconosciuta al Sassi dalla Frisoni, che la
considera tarda (Frisoni 2000, p.219).
Direttore dal 1728 dell'Accademia Ambrosiana (il fratello Giuseppe
Antonio era prefetto della Biblioteca), alla data del 1747 il cavalier
Sassi era all'apice di una fortunata carriera, segnata a quanto
sembra da precosi contatti con il Solimena e con il classicismo
marattesco romano e bolognese. Nel quarto e nel quinto decennio
il linguaggio del pittore appare assestato, come è stato
rilevato dagli studi, su un personale registro di solido e aggraziato
barocchetto, incline a riproporre con frequenza schemi, fisionomie
e pose. E' circa di questo momento la lettera di Pietro Ligari a
Carlo Venosta Visconti che lo include nella ristretta cerchia dei
pittori "speculativi" insieme al Magatti, Petrini, Borroni,
Balestra e Piazzetta (16 luglio 1746, citata in Coppa 2001, p.74).
Nella pala di Cantalupo l'artista, ormai quasi settantenne, si dimostra
peraltro straordinariamente sicuro dei propri mezzi: una prova di
grande accademia, composta su un ritmo spezzato, con pose bloccate
e gesti sopsesi di studiata eleganza. la stesura è fluida,
le virtuosistiche pennellate, lunghe e sciabolanti, stendono una
materia magra come la tempera. Delicatissime le modulazioni dei
colori, soprattutto il grigio e l'azzurro, sui panneggi forti e
vaporosi, e fortemente espressiva la valorizzazione della preparazione,
che crea incarnati cerei e ombre brune, di vaga ascendenza abbiatesca.
(Federico Cavalieri, da "Il tesoro dei poveri", Silvana
Editoriale, 2001)
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