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Sac. Enrico
Villa
San Matroniano
nella leggenda
e nella storia
Documenti e note critiche
Milano
Basilica dei SS. Apostoli
e Nazaro Maggiore
1942-XX
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La
riforma dell'architetto Pestagalli
Dal 1828 al 1830 la Basilica degli Apostoli si vide umiliata; fu il trionfo
del freddo stile neo-classico che di colpo tolse alla vetusta Basilica
ogni ricordo di sua grandezza. Secoli e tanti che vi avevano impresso
la loro fisionomia girono per giorno attraverso la solerte tutela degli
Arcivescovi santi od illustri, dei Prevosti e Canonici della Collegiata,
sempre in gara con i fedeli nell'arricchire con donazioni e legati la
serie dei tesori di arte e di pietà, vera epopea, non riuscirono
ad impedire tanto scempio.
Dalle descrizioni rimasteci, l'entrare nella basilica era come assistere
ad una visione cinematografica.
Ogni secolo dava la sua parlata; le ampie navate coronate da absidi staccantesi
dalla cupola sostenuta da massicci pilastri alleggeriti da flessuose movenze
date dal gioco di lesene, di mezze colonne per lo più di sarizzo,
con basi e capitelli formati sia pure dai "rozzi scarpellati marmi
a figure", e le cordonature che nascendo dalle basi forando i capitelli
salivano ad incontrarsi quattro a quattro attorno alla serraglia con al
centro l'emblema dell'Agnello Glorioso, segno di vittoria.
Non disturbava il muro a strapiombo o grezzo, o se in suo qualche lembo
come un pizzo su di un massiccio tavolo di noce lo stucco mostrava le
sue bizzarre forme e decorazioni, o se un affresco come persona spaesata
era appiccicato al muro, solo, per ricevere la venerazione dei fedeli.
E se una figura bizantina era accanto ad una trecentesca, e le pitture
di Camillo Procaccini erano forate da finestre coi riflessi oscuri per
la forte strombatura, e nelle pareti un ampio vano coronato da arco e
colonne rozze, sostenenti elementi architettonici, mostravano nella parete
di fondo posata nella sua nicchia la statua in plastica di san Carlo,
fatica molto bella di Gio.Battista Crespi detto il Ceramo o una pala del
Lanino copia fedele della Cena di Gaudenzi Ferrari, la mente del visitatore
era soddisfatta per una varietà che richiamava la vita di tanti
anni.
Anche il Duomo stava per subire la medesima sorte, non si riuscì;
la Basilica degli Apostoli cadde vittima.
La relazione dell'arch. Pestagalli che condusse i lavori di restauro dal
1828 al 1830 documenta scrupolosamente tutti gli oltraggi recati alla
Basilica.
Esuleremo dal compito propostoci se ancora ci soffermassimo su l'opera
del Pestagalli, a conclusione si può dire che il suo restauro ridusse
la Basilica piena di vita ad una glaciale sala ostentante falso classicismo.
La rese uniforme, l'appesantì dando "alle informe pilastrate,
veri aborti dell'arte" (osava anche chiamarli veri aborti dell'arte!)
una regolare quadratura. Ancora, la schiacciò e tolse ogni proporzione
al gioco equilibrato degli elementi strutturali col costruire sott'archi
agli archi della cupola, col nascondere i pennacchi, coll'aprire su tutte
le pareti ampie finestre, col condurre sempre eguale con modanature a
forte aggetto una cornice all'altezza dei capitelli.
Dovunque l'occhio si posa sempre l'identico motivo; senso di monotonia.
Udii narrare da persone, i veterani della parrocchia di san Nazaro, che
al termine dei restauri tale fu il disinganno, non per le forti spese,
ma per la mal riuscita che il Prevosto, sotto cui si compirono i lavori,
sofferse così d'averne abbreviata la vita. Esagerazioni, si dirà,
non lo credo, poiché il progetto del Pestagalli incontrò
non poche difficoltà nell'opinione pubblica, ed il Cagnola, quale
membro della Civica Commissione di ornato, non risparmiò critiche
ed osservazioni.
Se il progetto si realizzò lo si deve all'appoggio di alcune famiglie
della parrocchia ed ai componenti la Fabbriceria; ad opera compiuta gli
oppositori constatarono fondate le loro apprensioni.
La cappella di san Matroniano fu pure intaccata, non subì mutamenti
notevoli ma dovette ricevere la comune casacca già fatta indossare
alla Basilica.
Riporto la relazione stesa dallo stesso architetto a spiegazione del suo
lavoro: "Rispetto alla Cappella di S.Matroniano, riformata la cornice
di imposta ricorrente anche nell'interno colle sagome del cornicione generale
e lasciata la medesima accoppiata com'era al proprio fregio ed architrave,
di cui si sono ingentilite alquanto le modanature se ne è decorata
l'arcata principale di archivolto sagomato che non esisteva dapprima intonacandone
le colonne e lesene a stucco lucido di tinte uniformi a quelle delle grandi
pilastrate del vaso principale figurandovi di egual maniera alla foggia
di marmo bianco i rispettivi capitelli dorici e fregando di finto intaglio,
(sempre finzione!), come la cornice generale anche l'architrave di quella
completa trabeazione e poiché questa cappella è assai ben
provveduta di lume pel di contro finestrone della nave della Madonna,
ho creduto perciò conveniente di eliminare la soprastante cupola
ottagona con tamburo e lanternino, come lavoro di cattiva forma, sostituendovi
una volta a vela, e convertendo il suddetto tamburo e cupola in una comodissima
stanza con precedente camerino, a cui venne opportunissimo l'accesso dalla
nuova scala a chiocciola che mette al finestrone destro del Presbiterio".
La descrizione continua prolissa per dimostrare il vantaggio ottenuto
coll'aver praticato nei fianchi della cappella due porte.
Coll'uniformare la cappella alla Basilica nelle parti decorative, col
togliere la visione della luce che scendeva dalla lanterna della cupola
ottagona costruendo la volta a vela, coll'apertura delle due porte laterali
non fece altro che togliere ogni singolarità, riducendola ad un
elegante atrio di un qualsivoglia salone da festa che lo stile neoclassico
lasciò nei palazzi milanesi di questo periodo.
Durante questi rifacimenti, ultimi, le sacre Ossa di Matroniano non vennero
toccate.
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