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L'Abbazia
di Viboldone
Mons. Pasquale
Galbiati
Viboldone rifugio del Duca Matteo Visconti. Le terre dei frati Umiliati
invase dai soldati di Enrico VII di Lussenburgo. Il Generale degli Umiliati
Beltramo da Colzano imprigionato d'ordine del Duca Matteo Visconti. Lo
spurio generalato di Galvan�o da Melengiano (Melegnano) e di Giacomo da
Alliate. Gli Umiliati di Viboldone protetti da Papa Giovanni XXII
E fu pure in Viboldone che si rifugi� nell'ottobre del 1302 il duce Matteo Visconti,
in occasione di un popolare tumulto suscitatosi in Milano contro di lui.
I Viboldonesi si mostrarono veramente ospitali verso Matteo e presero
a proteggerlo con tutte le loro forze contro i suoi nemici che l'avevano
inseguito fino a questo villaggio. Di qui Matteo ritiravasi a Nogarola
sul Veronese (1307).
La fortuna tuttavia arrideva a Matteo, che nel 1310 riotteneva da Enrico
VII di Lussemburgo, venuto in Italia, l'antico ufficio di duca di Milano,
sborsando 50.000 fiorini d'oro, dopo aver fatto scacciare i Torriani,
tra cui l'arcivescovo Cassone, e abbattere le loro case (Case Rotte).
Era per� Matteo mal sopportato in citt� per le gravi imposte che riscuoteva
affin di pagare i suoi debiti. Per questo egli se ne viveva tranquillo,
a quanto pare, a Viboldone presso gli Umiliati.
E' di questo tempo (1311) l'invasione delle terre di Viboldone da parte
dei soldati di Enrico VII, che aveva chiesto ai frati in prestito una
grossa somma e che essi si erano rifiutati di dare. Furono pertanto costretti
gli Umiliati, ad evitare mali maggiori, di far tenere occultamente al
re il denaro che bramava, pregandolo di far ritirare le truppe. Quel principe
li compiacque e divent� poi loro amico.
Nel 1312 il duca Matteo venne pregato dal conte Guarnerio di Humberg,
allora vicario generale di tutta la Lombardia, a nome di re Enrico VII,
di assisterlo continuamente co' suoi consigli nel governo del Milanese.
Pare tuttavia che Matteo non si muovesse guari da Viboldone.
Nel 1314 l'arcivescovo Cassone, appena tornato da Marsiglia, dov'era stato
esule, da Pavia scomunicava Matteo Visconti, coi suoi figli, il capitano,
il Podest�, i Sapienti, gli Anziani, i consiglieri, i consoli e il comune
di Milano, per le appropriazioni di essi a danno dell'arcivescovo e per
le multe, taglie, prestiti e frodi esatti colla forza agli Ecclesiastici
e specialmente agli Umiliati, pur amici di Matteo.
Infatti, se la casa di Viboldone era fiorente, non altrettanto felice
fu il generalato di Beltramo Borghi, il quale, per aver rifiutato di pagare
l'esosa imposta del duca Matteo, fu preso ed imprigionato.
Al suo posto di generale dell'Ordine fu da Matteo stesso nominato un tale
frate Galvan�o da Melengiano (leggi: Melegnano), che era propenso a pagare
quella somma. Anzi dopo costui il duca Matteo fece intrudere come Generale
dell'Ordine un tal Giacomo da Alliate, frate Umiliato.
Costoro per� non vennero riconosciuti dall'Ordine e neppure risultano
nella serie dei Maestri Generali.
Di qui la scomunica dell'arcivescovo Cassone contro Matteo, che non cur�
dapprima, come si rideva delle minacce del pontefice Giovanni XXII, notificategli
dal legato pontificio Bertrando del Poggetto.
Anche il Papa nel monitorio a Matteo apponeva a lui, tra le altre colpe,
quella di aver imposto ed esatto colla forza agli Umiliati il pagamento
di 30.000 lire di terzoli, corrispondenti a nostre 600.000 lire; d'aver
preso e imprigionato frate Beltramo e di aver fatto eleggere in suo luogo
quel Galvan�o (o Galvagno) da Melegnano, che acconsentiva ai suoi voleri
e al pagamento di quella colletta; d'aver poi tormentato altri Umiliati
e d'aver saccheggiato altre Case.
Al monitorio pontificio di Giovanni XXII segu� la scomunica, derisa dapprima
da Matteo, che poi angosciato ridusse ad abdicare la signoria di Milano
al figlio Galeazzo e a ritirarsi a Crescenzago a vita devota. Qui mor�
nel giugno del 1322.
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