Gli Umiliati a Viboldone
di Mauro Tagliabue

Un fiume tra le proprietà: la Vettabbia
La tendenza degli Umiliati a insediarsi nelle vicinanze di un corso d'acqua ha un esempio emblematico in Viboldone, che infatti sorse in posizione un poco sopraelevata, quasi ai bordi di una via d'acqua che ebbe importanza già nell'alto medioevo: la Vettabbia.
Fin dal 1214 un tratto del fiume, oggi una roggia che confluisce nel Lambro oltre Melegnano, fu ceduto agli Umiliati di Viboldone dalla canonica plebana di S. Giuliano. L'importanza di queste acque emerge chiaramente dagli statuti concordati con gli utenti della Vettabbia intorno al 1256, e da tutta una serie di cause tra vari enti a proposito di mulini, di chiuse e di fossati collegati con il medesimo corso d'acqua. Ma ciò che gli Umiliati di Viboldone non vollero assolutamente accettare fu l'imposizione di una tassa sui redditi delle acque, che il comune di Milano aveva decretato nel 1289 per le spese militari da sostenere per prevenire aggressioni da parte del marchesi del Monferrato Guglielmo VII. Viboldone ricorse al re Rodolfo I d'Asburgo, la cui suprema autorità era stata riconosciuta dai milanesi, e il 3 giugno 1289 ottenne non solo l'esenzione dalla odiosa tassa, ma la piena padronanza dl fiume, precedentemente goduto in feudo; il privilegio fu in seguito confermato nel 1304 da papa Benedetto XI. Consolidato in tal modo il possesso della Vettabbia, il riferimento alle sue acque è costante nelle carte patrimoniali dei secoli successivi, poichè si trattava di una indubbia fonte di ricchezza per la nostra comunità. Quelle acque costituivano infatti un insostituibile forza idrica per i mulini, alimentavano canali di irrigazione in un territorio caratterizzato da un'ampia superficie prativa, fornivano nondimeno occasione - almeno allora - di ottima pesca. Occorre inoltre ricordare che l'importanza di questa via d'acqua nella vita economica di Viboldone si estese ben oltre il periodo storico degli Umiliati. Altra tipica tendenza di numerose case umiliate fu la creazione di un consistente patrimonio terriero su cui investire i proventi dell'attività manifatturiera e commerciale. Questo orientamento, nel caso di Viboldone, portò ben presto alla costituzione di un ingente patrimonio fondiario, non senza l'apporto di donazioni sul tipo di quella dei Polvale, ricordata poco sopra.
Alla vigilia della crisi economica sopravvenuta con la peste del 1348, le pertiche di terra possedute dagli Umiliati di Viboldone nella sola pieve di S. Giuliano sommavano a quasi 5.000, come risulta dal prospetto (tab.1) ricostruito sulla base del più volte citato processo del 1322, dal quale è stato possibile ricavare indicazioni sufficientemente esaustive sia in rdine all'estensione sia in ordine alla produzione.
In assenza di studi preliminari non è possibile seguire oltre l'evoluzione di questo patrimonio. Qui basti dire che nel Quattrocento, secolo di profonde trasformazioni per le proprietà fondiarie ecclesiastiche, non si ha più notizia di ulteriori acquisti di immobili, quanto piuttosto di investiture livellarie a tutto vantaggio di grandi famiglie dell'aristocrazia milanese, come i da Landriano, che con l'appoggio di membri della stessa famiglia assunti all'ufficio di preposito, ebbero modo di gestirne gli ampi profitti.
Ma - per non citare che qualche altro esempio - anche i Triulzio si affacciano nella seconda meta del Quattrocento tra quanti ambivano alle acque di risorgive e di rogge di proprietà della nostra prepositura, data la loro fondamentale importanza per l'irrigazione delle terre che la potente famiglia milanese, prima al servizio degli Sforza, a poi dei Francesi, stava ammassando nel Lodigiano.
Parallelamente, unità fondiarie compatte e di vasta portata, come le terre del villaggio di Viboldone acquistate in blocco fin dal tempo di Guido da Porta Orientale, dovettero subire un processo di sgretolamento, se tra Quattro e Cinquecento le troviamo ormai in possesso di altri enti, come il monastero maschile di S. Celso, quello femminile del Lentasio, la canonica di S. Calimero, nei cui confronti l'antica "domus" umiliata era divenuta semplice livellaria. Rapporti contrattuali furono instaurati, altresì, con altri robusti enti monastici quali Chiaravalle e la Certosa di Pavia, o con rettori di chiese milanesi, tra cui la parrocchia di S. Tommaso in Terra Amara, proprietaria di beni posseduti a Montone. Nel suo insieme tuttavia si trattò di un patrimonio consolidatosi tra le rogge e i fontanili della bassa pianura irrigua del Milanese e del Lodigiano, con prevalente estensione entro i confini della pieve di S. Giuliano, anche se non mancano notizie di case possedute in Milano, o di tenute in zone più lontane: tali, per esempio, le terre allivellate ai da Terzago nei territori di Trezzo, Colnago e Busnago, in pieve di Pontirolo, lungo la riva destra dell'Adda.
A proprietà fondiarie concentrate nella zona di epicentro della prepositura di Viboldone ci riporta, del resto, la stima effettuata nel 1558, quando da tempo ormai l'antica "domus" umiliata era divenuta una commenda della famiglia Arcimboldi (tab.2). Le complessive 10.899 pertiche di questo patrimonio ci appaiono, in tale circostanza, ammassate in Roncole Lodigiano o per lo più intorno alle cascine che ben presto verranno smembrate dalla prepositurale di S. Giuliano, capi pieve, per divenire parte integrante della nuova parrocchia di S. Ambrogio, eretta da san Carlo Borromeo nel 1578 in Civesio.
In linea con altri grandi latifondisti del tempo, nella gestione di una proprietà fondiaria tanto ingente, gli Arcimboldi mirarono alla creazione di appoderamenti più compatti, ottenuti tramite scambi e permute, favorirono l'escavazione di nuove rogge e canali e avviarono la costruzione di cascine, come quella iniziata nel 1566 "alli boschi de Viboldono", distante mezzo miglio o poco più dal villaggio. Soprattutto concentrarono la gestione nelle mani di un unico amministratore, che negli anni dei commendatari Ottaviano e Antonello fu il loro fratello Giovanni: significativo, per la consistenza della rendita patrimoniale, l'atto con cui il 26 maggio 1563 gli venne affidata la locazione di tutti i beni della prepositura per 18.500 lire di affitto.
Un'ultima osservazione, di natura paesaggistica. Non tanto i grandi corsi d'acqua, quanto piuttosto i canali, i ruscelli e le rogge, serpeggianti lungo il bordo di prati e campi, sono insieme ai mulni gli elementi caratterizzanti di questo paesaggio, ancora oggi cromaticamente variegato (nonostante l'avanzare di una industrializzazione sempre più inquinante), e tuttora in grado di rasserenare lo sguardo di chi s'inoltri per queste campagne, e di offrire scampoli di liberi orizzonti nel profilo d'ombra di cascinali scoloriti dal tempo, nella quiete che emana dalla mole solitaria di Viboldone.

(da "L'Abbazia di Viboldone", 1990 Banca Agricola Milanese)


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