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Gli
Umiliati a Viboldone
di Mauro
Tagliabue
Guglielmo Villa e altri preposti
Riprendendo qui, per quanto possibile, la serie dei preposti sopra interrotta,
si può intanto segnalare in tale ufficio Corrado mantegazza, saldamente
attestato per almeno un biennio, a cominciare dal 30 aprile 1256 in occasione
del capitolo generale radunato "in palatio ecclesie S. Petri site
ad locum de Vicoboldono", fino al 14 giugno 1258, quando riunì
la comunità per ratificare precedenti contratti stipulati con il
prevosto e i canonici di S. Giuliano. Bisogna attendere tre decenni prima
di rintracciare un altro preposito, il monzese Guidotto Riboldi che -
secondo Giovanni di Brera - resse la comunità di Viboldone per
sei anni, dal 1288 al 1294, prima di diventare maestro generale. Il nuovo
secolo vede al governo prima Galvano da Melegnano (agosto 1302), poi Benedetto,
documentato tra l'ottobre e il dicembre 1303, e di nuovo Galvano, attestato
nell'aprile 1307, mentre non doveva più esserlo nel 1309, se dobbiamo
dar credito al solito Giovanni di Brera, che indica in Beltramo il preposito
di Viboldone assunto al generalato in quel medesimo anno, a seguito della
rinuncia del Riboldi, ritiratosi a sua volta a Viboldone. L'ex maestro
generale spunta infatti dal folto di un capitolo conventuale radunato
l'11 gennaio 1310, sotto la presidenza di un non meglio identificato Francesco,
in quel momento "praepositus ipsius domus". Qualche anno più
tardi, un documento dell'8 dicembre 1319, rogato "in domo de Vicoboldono,
in habitacione domini magistri generalis", ci rivela che aveva eletto
la nostra "domus" a propria residenza lo stesso maestro generale,
fra Giacomo, imposto all'Ordine da Matteo Visconti, fautore di una colletta
di 30.000 lire di terzoli: alla sua riscossione aveva cercato di opporsi
il maestro generale Beltramo, ma venne per questo incarcerato dal potente
signore di Milano, poi deposto e sostituito prima con Galvano da Melegnano,
quindi con Giacomo "de Alliate".
Negli anni che videro la signoria viscontea barcollare sotto i colpi delle
martellanti denunce e scomuniche inflitte ai suoi fautori nei processi
loro intentati dagli inquisitori papali, preposto di Viboldone era però
fra Galvano da Melegnano. Se egli fosse la stessa persona di cui troviamo
traccia nei documenti che risalgono agli anni tra il 1302 e il 1307, è
difficile dire; non è però del tutto inverosimile, data
la possibilità di un'eventuale rimozione dall'ufficio e comunque
la probabilità di una delega nell'esercizio del medesimo in altre
"domus". Anch'egli , stando al Tiraboschi, fu tra i seguaci
della politica viscontea; risulta difficile, del resto, supporre il contrario,
in anni in cui la vicina canonica plebana di S. Giuliano era nelle mani
di Guido, fratello dell'arciprete della Chiesa milanese Roberto Visconti.
Con il potente canonico egli dovette comunque fare i conti prima di addivenire
a un difficile accordo, il 18 dicembre 1322, che suggellava il processo
promosso dal Visconti nel tentativo di recuperare i diritti di decima
finiti nelle mani di Viboldone. Ciò è provato dagli atti
riuniti nel folto fascicolo processuale a noi pervenuto, che ci consent
oltretutto di recuperare documenti preziosissimi sulle origini e i primordi
della "domus" umiliata. La vicenda dovette in ogni caso comportare
compromessi non facili, nè certamente mancarono adesioni ai Visconti
all'interno della comunità, se una scomunica per contumacia piovve
addosso, il 1° febbraio 1323, anche a fra Tommaso Naso, citato più
volte quale legato di Viboldone nella lite con S. Giuliano. Ma la figura
emergente, tra i preposti del XIV secolo, è certamente quella di
Guglielmo Fava o Villa. Uomo di cultura, è ricordato dal Tirabosch
tra i pochi scrittori dell'Ordine per aver composto un commento alla "Regola"
di S. Benedetto. La notizia, ripresa dal "Chronicum Braidense",
che contesta però al Villa l'identità della Regola umiliata
con quella benedettina, trova conferma nella lastra tombale di questo
preposito, fortunosamente conservatasi. Oltre a segnalare il titolo esatto
del libro composto dal Villa, "Zaphirus de expositione Regulae beati
Benedicti", l'epigrafe che contorna sul bordo l'insigne scultura,
attribuibile alla scuola di Giovanni di Balduccio da Pisa, lo ricorda
per aver esercitato l'insegnamento "in pluribus studiis generalibus"
quale "decretorum doctor", ossia come laureato in diritto canonico,
indicando peraltro, insieme alla data della morte (13 dicembre 1365),
in 32 anni la durata del suo governo a Viboldone: sicchè la sua
elezione a preposto deve essere fatta risalire al 1333. Fu anche maestro
generale, in successione a Benedetto da Alzate, morto nel 1336. Siccome
però la sua elezione era avvenuta in deroga alla riserva apostolica
sull'ufficio di generale promulgata da papa Giovanni XXI (+4-12-1334),
il Villa pensò di sanare il caso controverso ricorrendo alla conferma
da parte del nuovo pontefice Benedetto XII, anche per tutelarsi maggiormente
di fronte alle contestazioni di quanti, mal sopportando un governo rivelatosi
ben presto esorbitante, andavano ventilando motivi di invalidità
sulla sua elezione. Ma la mossa costò al Villa il generalato. Benedetto
XII, con lettera del 15 luglio 1338, preferì infatti rimettere
la spinosa decisione al capitolo generale dell'Ordine, che si sarebbe
dovuto riunire ad Alessandria. L'opportunità di sbarazzarsi del
Villa non fu lasciata passare invano dagli Umiliati: memori delle prepotenze
subite (molti prepositi erano stati da lui costretti a giurare di dimettersi
dopo un biennio), decisero di eleggere un nuovo maestro generale nella
persona del bergamasco Giacomo da Almenno. La bruciante sconfitta indusse
il Villa a tentare, contro colui che egli considerava l'usurpatore, le
vie della delazione tramite un suo omonimo adepto, fra Guglielmo "de
Cazzago", professo di Viboldone, come si evince dal processo in corso
nel 1341 davanti al vicario vescovile di Bergamo. Con Giacomo da Almenno,
ingiustamente sospettato di aver sfruttato lettere papali false e manipolate,
si schierò però l'intero Ordine e all'ambizioso preposito
non rimase che rassegnarsi. Come, più tardi, dovette rassegnarsi
a vedere invalidata la propria elezione a vescovo di Lodi, effettuata
dai canonici di quella Chiesa nella primavera del 1343. Essa infatti era
stata fatta in deroga alla riserva generale sulla provvisione delle chiese
cattedrali vacanti della provincia ecclesiastica di Milano, rivendicata
alla Sede Apostoica da papa Benedetto XII: andava perciò considerata
nulla, dichiarò Clemente VI l'8 luglio di quello stesso anno.
Simili vicende, che sembrano avvalorare la qualifica di "violento
e ambizioso" attribuitagli da uno studioso come il Mercanti, non
impedirono al Villa di lasciare un segno indelebile della potenza economica
e spirituale cui era pervenuta la canonica di Viboldone durante la sua
prepositura. Alle sue capacità organizzative e alla sua intelligenza
e sensibilità artistica, esplicatasi nella scelta di raffinati
maestri d'architettura, si deve la realizzazione dell'attuale, stupenda
chiesa di Viboldone, ultimata nel 1348, come una modesta lapide, murata
sul cotto della facciata a destra del rosone, sobriamente ricorda: MCCCXLVIII
HOC OPUS FACTUM FUIT TEMPORE DOMINI FRATRIS GUILLELMI DE VILLA PROFESSI
ET PREPOSITI HUIUS DOMUS DECRETORUM DOCTORIS. La data è ripetuta,
ancora, sulla semicolonna a lato della nicchia con sculture di maestri
campionesi. Una nuova data, 1349, compare sul bordo del sottarco che incornicia
l'affresco sopra l'altare maggiore, raffigurante la Madonna in trono e
quattro santi, con la figuretta del committente nell'angolo a sinistra:
il nostro preposito secondo alcuni storici dell'arte, mentre secondo altri
questi è piottosta da identificare nel frate inginocchiato del
"Giudizio Universale".
Di fronte a questo eccezionale complesso monumentale non si possono non
apprezzare le doti culturali e spirituali del preposito Villa, emblematica
figura della potenza economica e religiosa dell'istituzione in cui visse
da protagonista.
La comunità, che nei decenni del Villa era tra le più solide
dell'Ordine sia per redditi sia per consistenza numerica, continuerà
a mantenere alte le proprie rendite anche nei due secoli a venire: l'estimo
di lire 300 che le viene assegnato dalla "Notitia cleri" del
1398 si troverà aumentato a lire 750 nel "Liber Seminari"
del 1564, risultando comunque inferiore, in entrambi i casi, soltanto
alla casa di Brera. Non si può dire altrettanto della consistenza
numerica, sicuramente in progressivo declino, anche se non siamo in grado
di offrire a questo scopo quadri complessivi e continuativi. Conosciamo
però i prepositi che si sono alternati alla sua guida, dopo il
Villa. DSuccessore gli fu senz'altro fra Nicola, della nobile famiglia
"de Gradi", attestato l'11 maggio 1368 e di nuovo il 23 marzo
1385. A cinque anni da questa data, nell'ottobre 1391, l'ufficio è
ricoperto da fra Giovanni "Chonago", ancora in carica il 14
dicembre 1396.
I primi tre lunghi e difficili decenni del nuovo secolo videro invece
alla guida di Viboldone un Visconti, Andrea, figlio di Azzone, creato
frate, preposito e maestro generale in un sol giorno, nel 1401, da papa
Bonifacio IX. Morì nel 1431, lasciando l'Ordine in condizioni prossime
allo sfacelo. Si cercò di porvi rimedio con un movimento di riforma
culminato nel 1436, quando, da almeno un anno, preposito di Viboldone
era fra Giovanni, tenace difensore delle tradizioni di fronte alla proposta,
risultata in seguito vincente, di cambiare il sistema di eleggere il maestro
generale. Segue un quarto di secolo avvolto dal silenzio delle fonti che
non ci segnalano se non il nome di un altro preposito, fra Stefano "de
Arzago", inciso su una campana della torre campanaria di Viboldone
il 10 marzo 1456. Incerta, al dire dello stesso Tiraboschi, ne è
l'identità con l'omonimo maestro generale eletto nel 1435 e rimasto
in carica fino al 1443. ma oramai da tempo la collazione della prepositura
di Viboldone doveva essere stata devoluta alla Sede Apostolica, secondo
una prassi che non escludeva il parallelo controllo dei duchi di Milano,
come ben lascia intendere la procedura seguita per la nomina del suo successore,
un membro, il primo, della famiglia Landriani, in anni che volgevano sempre
più verso la decadenza dell'antica "domus" umiliata,
coinvolta nel parallelo galoppante declino dell'Ordine.
(da "L'Abbazia di Viboldone", 1990 Banca Agricola Milanese)
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