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Gli
Umiliati a Viboldone
di Mauro
Tagliabue
Dai Landriani, ultimi prepositi, agli Arcimboldi, primi commendatari
Il fenomeno che ridusse tante istituzioni religiose a centri di potere
economico in balia di potenti gruppi familiari, avviato già nel
Trecento e vertiginosamente radicatosi nel corso del Quattrocento, non
troca eccezione neppure nella prepositura di Viboldone, al cui governo
si susseguirono esponenti della famiglia da Landriano, per oltre un settantennio,
dal 1459 l 1525.
Primo di essi fu Giacomo, figlio di Accorsino. La sua candidatura venne
proposta dallo stesso duca Francesco Sforza, come rivelano le lettere
del 6 e del 21 febbraio e ancora dell'8 marzo 1459, indirizzate al proprio
commissario Ottone del Carretto perchè se ne facesse promotore
a Roma, presso il papa, contro la concorrenza di frate Pietro della Croce,
appoggiato invece dagl Umiliati. Ebbe la meglio il Landriani, se il 31
dicembre 1460 risulta lui titolare dell'ambita carica. Venne assunto pure
al supremo ufficio di maestro generale, nel 1469, e confermato a vita
dal papa, in deroga alle costituzioni dell'Ordine che nel 1436 avevano
ridotto al triennio la durata dell'incarico generalizio. E il doppi ufficio
mantenne fino alla morte, avvenuta l'8 novembre 1485, dopo 25 anni di
governo durante i quali favorì i propri congiunti nell'assegnazione
dei beni patrimoniali della prepositura: lo dimostrano le licenze ducali
del 5 marzo 1472 e del 3 novembre 1477, concesse per il rinnovo, al tesoriere
ducale Antonio da Landriano, della locazione novennale su alcune possessioni
di Montone e di Settimo, o la licenza del 18 gennaio 1483 in favore di
Pietro da Landriano, consigliere ducale, che aveva in locazione i prati
dnominati del Mulino e del Borgo, la cui estensione era di circa 360 pertiche.
Non dovette discostarsi di molto la politica perseguita, nella gestione
del patrimonio, dal successore Ludovico, figlio di Antonio, il tesoriere
ducale appena ricordato, il quale rimase al governo della prepositura
per quasi un quarantennio. Investiture livellarie concernenti le acque
della roggia Zerbia, che usciva dalla Vettabbia e bagnava le terre di
Montone, vennero effettuate per esempio, nel 1493 e di nuovo nel 1510,
in favore di Francesco Brivio, marito di sua sorella Margherita, anche
se i due non andarono del tutto esenti da qualche screzio, non disgiunto
forsa da questioni ereditarie la cui eco ci è pervenuta tramite
un compromesso del 1508.
Al padre, morto assassinato, Ludovico subentrò comunque nell'incarico
di consigliere e tesoriere ducale con il ritorno di Massimiliano Sforza
a Milano, al quale era molto legato, mentre fu inviso ai Francesi che,
anzi, lo fecero prigioniero e lo rilasciarono soltanto dietro pagamento
di un forte riscttto. Le vicende familiari e le implicazioni della politica
sforzesca non gli impedirono tuttavia di occuparsi dell'edificio di cui
era preposito e benchè non disdegnasse di risiedere a Milano, or
nella casa di Porta Ticinese in contrada Rugabella, nella parrocchia di
S. Eufemia, fatta riparare nel 1472 dal suo predecessore, or nella casa
di Porta Cumana in parrocchia S. Cipriano, or in quella di Porta Nuova
in parrocchia di S. Eusebio, non trascurò di "bonificare bona"
e "domus" di quello che ormai veniva chiamato il suo monastero.A
tale scopo, nel 1509, investì 450 lire imperiali per le riparazioni,
con riguardo particolare alla "saletta aperta in domibus dicti monasterii",
denominata "Humiliatorio", piuttosto pericolante nei muri: "Ubi
oportet expendere", ribadiva il preposito, anche perchè "muralie
dicti loci cui dicitur in Humiliotorio minantur ruynam". Preferì
comunque deflettere dalle cure amministrative affidandone l'incarico a
fra Paolo da Corsico (l'unico professo di Viboldone, tra l'altro, di cui
sia emersa qualche traccia), ricompensato con la prepositura umiliata
di S. Marino di Crema. Seppe inoltre tesaurizzare in beni artistici, come
dimostra l'acquisto, per 80 scudi d'oro, dei celebri arazzi illustranti
la battaglia di Pavia con le imprese del duca di Nemours, Gastone di Foix
(+1512), opera di Bernardo van Orley, ora conservati nel Museo nazionale
di Napoli.
E la comunità? In oblio, ma non estinta, se alla morte di Lodovico,
avvenuta negli ultimi mesi del 1523, ebbe la forza di opporre un suo preposito,
Giorgio Lurasco, al candidato dei Landriani, Giovanni Andrea, in un intrecciarsi
di vicende che attendono ancora di essere chiarite. Tutto ciò avvenne
prima che il 28 dicembre 1525 la ricca prepositura, ambita anche dai Trivulzio,
finisse in commenda nelle mani del neoeletto vascovo di Novara Giovanni
Angelo Arcimboldi (1485-1555), il tristemente noto collettore di lasciti
indulgenziali nella Germania di Lutero. L'ottenne col denaro, come egli
stesso si compiace di ricordare nella sua autobiografia: al Lurasco, che
della prepositura di Viboldone diceva di essere provvisto "auctoritate
ordinaria", diede in cambio la prepositura umiliata di S. Pietro
di Caravaggio del valore di 550 ducati; riuscì invece a tacitare
il Landriani, che la pretendeva "auctoritate apostolica", ricompensandolo
con una pensione annua di 540 ducati d'oro, suddivisa tra lui e suo padre,
il cavaliere gerosolimitano Gaspare, "et sic omnes concordati sunt".
Fu peraltro molto più difficile vincere le resistenze dei Trivulzio,
che con i loro due cardinali, Scaramuzza e Agostino, "acerrime se
opposuerunt" anche alla nomina dell'Arcimboldi a vescovo di Novara,
"illis solis resistentibus", ma alfine ottenuta a loro scorno,
rimarca soddisfatto l'Arcimboldi, "in faciem et obbrobrium ipsorum
cardinalium Trivultiorum". Del cardinale Agostino, protettore tra
l'altro dell'Ordine umiliato, si trova traccia anche in un documento del
21 genneio 1525, nel quale si fregia del titolo di "commendatario
di Viboldone" in occasione di una ricognizione sui beni di Montone.
I documenti successivi, però, indicano nell'Arcimboldi il commendatario:
anche in questo caso dev'essere riuscito a smorzare le ire del potente
cardinale con qualche pensione, pattuita per vie processuali, e che sappiamo
essergli stata versata in 200 ducati nel 1542, e ancora ad altri membri
della famiglia in seguito.
Molto meno bastò invece per i frati rimasti in comunità
alle dipendenze di un priore per il loro sostentamento, l'ex accaparatore
di decime e indulgenze papali stabilì, nel 1532, che dovesse bastare
la rendita di 700 pertiche di terra suddivise in più parcelle.
magra porzione se rapportata alle oltre 10.000 pertiche cui assommava
il patrimonio fondiario della prepositura, ma più che sufficiente
evidentemente per lo spregiudicato e avido commendatario, che non pensava
certo a rivitalizzare la vita religiosadi una comunità che, per
quanto immiserita, riuscì a tirare avanti, conoscendo anzi nuove
adesioni, prima di naufragare nel tracollo generale dell'Ordine.
L'Arcimboldi si preoccupò piuttosto di mantenere la ricca prepositura
in appannaggio alla famiglia. Già nel 1548, alla vigilia della
sua nomina ad arcivescovo di Milano (1550), la trasmise al maggiore dei
figli maschi, Ottaviano, morto nel 1563. Gli subentrò allora il
fratello minore, Antonello, letterato di certa fama, in contatto con Carlo
Borromeo per le vite degli arcivescovi di Milano, divenuto anche titolare
della prevostura di Crescenzago. Fu durante la sua amministrazione da
commendatario di Viboldone che, nel 1571, all'indomani della celebre archibugiata
scoccata da un Umiliato contro il santo arcivescovo di Milano, venne decretata
da Pio V, il 7 febbraio, la soppressione del ramo maschile dell'Ordine
degli Umiliati.
Si concludeva così, dopo quattro secoli, l'avventura storica della
comunità umiliata di Viboldone, nella quale, alla vigilia della
soppressione, vivevano ancora sei sacerdoti, due chierici e alcuni conversi.
Continuò però a sussisterne il patrimonio, grazie alla commenda,
pervenuta, dopo la morte di Antonello (1578), nelle mani di un altro Arcimboldi,
di nome Giovanni Angelo come il primo commendatario, suo nonno. Sarà
lui a progettare una nuova soluzione per la vetusta prepositura, affidandola,
dopo lunghe trattative, a una comunità di monaci benedettini di
Monte Oliveto.
(da "L'Abbazia di Viboldone", 1990 Banca Agricola Milanese)
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