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Amelli
Cesare
La Battaglia di Marignano
Ricerche e studi sull'opera
degli Svizzeri e sui loro
rapporti con gli altri
Stati prima e dopo
la Battaglia
1965
Edizioni Istituto Storico
Melegnanese.
Tip. Mascherpa - S.Giuliano M.
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Note
ai capitoli
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La
forza elvetica verso Marignano
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Non
è inoportuno ricordare che i battaglioni svizzeri, forti
di 600-800 picchieri ed alabardieri, con un 10% circa di archibugieri,
combattevano chiusi in saldissime formazioni quadrate, ai cui vertici
collocavano drappelli di archibugieri, i quali dovevano con il proprio
fuoco gettare il primo scompiglio nella schiera dei cavalieri nemici,
impotente a rompere poi colla sola forza dell'urto la selva di picche
e di alabarde oppostale dai fanti in attesa a piè fermo sui
quattro fronti del quadrato.
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2
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La
calata degli Svizzeri come mercenari in Italia segna il triste periodo,
al suo culmine, della miseranda e vergognosa passività della
presenza militare italiana. Ben a ragione si esprime l'Omodeo quando
afferma: "Gli uomini italiani del '500 avevano vivissima coscienza
politica come tecnica, ma ignoravano o non apprezzavano a sufficienza
l'altro momento della politica, la ricerca e la creazione delle
forze; non ricervavano la fase che trecento anni dopo, il Cavour,
non meno del mazzini, chiamerà la politica delle forze morali",
in Adolfo Omodeo, "Il senso della storia", Einaudi, Torno,
1948, p.204.
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Sarebbe
interessante approfondire un problema scientifico: l'influsso della
geografia sulla storia della Svizzera di tutti i tempi. Non bisogna
comunque dimenticare che la geografia influisce sempre sui destini
umani: non si può indubbiamente prescindere dal considerare
l'ambiente geografico per comprendere una civiltà. Tuttavia,
come è mio modesto parere, non occorre esagerare su questo
influsso: l'ambiente geografico influisce sempre, ma non sempre
è un elemento determinante, e talora neppure condizionante.
Ottime al riguardo le osservazioni di Vittorio Maconi in "Etnologia
Sociale", Roma, 1953, pagg.31-39.
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Sull'importanza
della cavalleria nelle azioni beliche siamo bene informati attraverso
G. Moreno, "Trattato di Storia Militare", Modena, 1892;
ed anche E. Bastico, "L'evoluzione dell'arte della guerra",
Firenze, 1924.
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In
Svizzera esistevano anche correnti filofrancesi che non condividevano
la posizione troppo partigiana del cardinale di Sion. Non bisogna
credere che tutta la Svizzera e tutti i Cantoni fossero antifrancesi.
I Cantoni che erano a nord, e quelli che gravitavano verso la Francia,
sentivano meno il senso dell'avversione. Comunque è sempre
stata una realtà storica le divisioni in fazioni quando stanno
per scoccare le ore maggiori per una nazione: in Grecia, durante
il periodo delle invasioni persiane, non tutti gli stati erano contro
la Persia; alcuni erano del tutto amici dei Persiani e li favorivano.
Ancora oggi, in ogni nazione, esiste il partito che si appoggia
ad una forma politica che è il tipo di governo di una grande
nazione internazionale.
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Uno
studioso, a questo riguardo, scrive: "Les Suisses s'adient
mieux de la picque que soldat du monde", in "Discours
politiques et militaires du Seigneur de la Noue", Genéve,
1587.
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Gli
errori e la disfatta
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1
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I
re di Francia consideravano il Milanese come loro proprietà
che derivava per eredità. Valentina Visconti era figlia di
Gian Galezzo Visconti, duca di Milano, e sposa di Luigi di Orléans:
essa è nonna di Luigi XII e bisnonna di Francesco I; dal
momento che il duca di Milano Filippo Maria Visconti muore il 13
agosto 1447 senza lasciare eredi, i re di Francia discendenti da
una Visconti si consideravano legittimi eredi, e consideravano gli
Sforza come usurpatori. E' questo il motivo che sembra principale
della venuta di Francesco I nel Milanese. Ecco la discendenza:
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Luigi
duca di Orléans (+ 1407)
marito di Valentina Visconti
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Carlo di Orléans (+ 1465) Giovanni
d'Angouleme (+ 1467)
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Luigi
XII
Carlo d'Angouleme (+ 1496)
(1465-1515)
marito
di Luisa di Savoia
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Francesco
I
(1515-1547)
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2
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Cfr.
il mio primo volume sulla "Battaglia di Marignano": gli
antefatti immediati allo scontro. Ottime le pagine di C.Barbagallo,
"Storia Universale, l'Età della Rinascenza e della Riforma",
vol.IV, UTET, Torino, 1958, pagg.263-266.
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3
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A
questa alleanza accenna anche il Guicciardini: "... In questa
disposizione adunque degli anini e delle cose, gli imbasciatori
di Cesare, del re d'Aragona e del duce di Milano, congregati appresso
a' Svizzeri, contrassono con loro, in nome de' suoi Principi, confederazione
per la difesa d'Italia, riservato al Pontefice luogo di entrarvi
insino alla domenica che si dice Letare, della prossima quadragesima:
nella quale fu convenuto che, per costringere il Re di Francia a
cedere le ragioni del ducato di Milano, i Svizzeri, ricevendo ciascuno
mese dagli altri confederati trentamila ducati, assaltassino o la
Borgogna o il Delfinato; e che il Re Cattolico movesse con potente
esercito la guerra dalla parte o di Perpignano o di Fonterabia nel
reame di Francia, acciò che il Re, costretto a difendere
il reame proprio, non potesse, se pure avesse nell'animo altrimenti,
molestare il ducato di Milano". (F.Guicciardini, "La Storia
d'Italia", libro XII, cap.10, ed Salani, 1963, vol.III, p.155-156)
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Luigi
XII si agitava contro Giulio II e cercava di denigrarlo in ogni
modo: permetteva che lo si rappresentasse sulle scene di Francia
come il principe dei matti, e faceva diffondere libelli contro la
Chiesa romana. I libellisti presentavano il re di Francia come un
messo divino avente la missione di riformare la Chiesa. Luigi XII
mirava alla deposizione di Giulio II, e l'imperatore Massimiliano
pare che vagheggiasse scioccamente l'idea di farsi nominare egli
stesso capo della Chiesa. Per stroncare tutte le mene del re francese,
Giulio II si diede a programmare una Lega di tutti i principi cristiani,
che di fatto fu conclusa il 4 ottobre 1511. (Cfr. C.Castiglion,
"Storia dei Papi", UTET, Torino, 1957, vol. II, p.231).
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5
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Il
Giovio esprime bene i motivi che hanno determinato Francesco I alla
scelta di Marignano: "... e a mezzo il viaggio - lungo la via
pubblica - s'accampò fra Milano e Marignano, la quale terra
è bagnata dal fiume Lambro, dove il suo campo, per ordine
di cose e per grandezza di gente, pareva il più meraviglioso...
E ciò fece egli per mlte ragioni: per passare da un paese
vano e consumato nelle fertilissime intatte possessioni dei Milanesi,
e parte per non lasciar passare gli Spagoli e i soldati del papa
separati dagli Svizzeri, mettendo loro innanzi un pericolo grande."
(Cfr. Paolo Giovio, "Delle historie del suo tempo", Venezia,
1565, parte prima, libro XV, pagg. 410-426).
Per quanto riguarda la presenza delle truppe spagnole, bisogna qui
ricordare, oltre a quello che è stato detto nel testo, che
Giulio II strinse alleanza con il re d'Inghilterra e con Ferdinando
il Cattolico di Spagna; quest'ultimo mandò in Italia un grosso
esercito di mille uomini d'arme (cavalieri armati) e dodicimila
fanti, al comando del vicerè Raimondo De Cordona.
Costoro sbarcati a Napoli se ne vennero a Roma ed avuto dal Pontefice
il soldo, marciarono alla volta dell'Italia settentrionale. Però
Giulio II, pensando che le genti del Cordona non fossero bastanti
al suo disegno di riprendere Bologna, occupare Ferrara, cacciare
i Francesi dall'Italia, intavolò con i Cantoni Svizzeri trattative
per assoldare un esercito che calando alle spalle dei Francesi impegnati
nella Emilia, occupassero il ducato di Milano. Il resto ci è
noto.
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Il
testo del discorso che avrebbe tenuto il cardinal di Sion è
riportato in F. Guicciardini, "Storia d'Italia", libro
12, cap. 15, e in Mambrino Roseo, in "Delle Historie del Mondo
ecc.", Venezia, 1562, libro I, p. 21.
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Sul
triangolo della morte
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La
cavalleria francese era guidata da valentissimi generali francesi:
il Connestabile Carlo di Borbone, il maresciallo di Chabannes, l'Imbercourt,
il Telligny, Pont De Remy, con tutti i loro squadroni: ma nonostante
la loro capacità, essi furono ributtati indietro dall'impeto
svizzero.
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2
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A
Zivido v'erano le avanguardie dell'esercito francese sotto il comando
del Connestabile e del Trivulzio, e furono raggiunte dai Guasconi
che erano passati per le strade di campagna, attraverso la Rocca
e Santa Brera. Nel castello di Zivido vi era la sede del quartier
generale di Carlo di Borbone, il Connestabile.
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3
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Sulla
denominazione "Banda Nera" è opportuno riferire
qui quanto dice Ary renan, in "Le costume en france",
Paris, 1890: "Le temps de Marignano et de Pavie fu celui dereformes
capitales dans l'organisation de l'armée, si l'on peut appeler
armée cette reunion de bandes marchant sous des drapeaux
différents et composées d'èléments auss
ihétéroclites que le sont des lansquenets allemands,
des gens d'armes français, des Ecossais, des Suisses, des
cavaliers albanais.
Une bande était une petit armée. De là l'origine
du premier uniforme qui fut porté comme signe de reconnaissance
par tous les hommes de la meme bande. La garde du Roi portait ses
couleurs et ses armes; les bandes mercenaires se ralliaient à
un drapeau de leur chef, comme, par exemple, les bandes noires de
Marignan au drapeau noir de Florange".
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4
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Al
temerario assalto della sera mosse Arnoldo di Wilkelried, degno
del suo coraggio; e fu seguito da una parte delle genti dei piccoli
Cantoni, di San Gallo e dei Grigioni. Ma la strage fu orrenda fino
all'inizio della notte.
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5
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Sull'intervento
dei veneziani si è aperta una polemica tra gli scrittori
di storia. Alcuni (Bossuet, in "Compendio della Storia francese",
Venezia, 1798, t. III, p. 15 e Pierre Daru, in "Storia della
Repubblica di Venezia", Capolago, 1837, t. V, p. 227) affermano
candidamente che i Veneziani, comandati dall'Alviano arrivarono
troppo tardi e non presero parte alla battaglia.
La storiografia italiana (Mocenigo, Guicciardini, Giovio, Paruta,
Mambrino, Roseo, Sismondi) attribuiscono la decisione della battaglia
di Marignano all'improvvisa comparsa dell'Alviano.
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6
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Cfr.
Giuseppe carimati, in "Vicende storiche bimillenarie di una
cascina lombarda, Mezzano di San Giuliano Milanese", relazione
tenuta al Rotary Club, p. 2 segg. una copia di questo saggio si
può trovare presso l'Archivo dell'Istituto Storico Melegnanese.
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Al
di là di Marignano
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1
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Per
una visione generale e rapida, molto buona e chiara, sul grande
quadro italiano rispetto alle diverse alleanze ed alle Leghe, vedi
le belle pagine di N.Rodolico, "Storia degli Italiani",
Firenze, 1964, pagg.239-280.
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2
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Sulla
questione che riguarda il numero dei morti, puoi confrontare il
primo mio volume sulla "Battaglia di Marignano" a pag.
30, nota 2.
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La
sera stessa della battaglia Francesco I scrive una lettera alla
madre, Luisa di savoia duchessa di Angouleme, sulle varie fasi della
battaglia, ricca di particolari molto interessanti. Purtroppo questa
lettera, confrontata con fonti storiche certamente più accettabili,
deforma la realtà: l'avvenimento storico di Marignano fu
scritto dal nella lettera in un momento di turbamento emotivo, dopo
circa ventiquattro ore di carneficina umana, di perdite e di vittorie
insperate, per cui la lettera risente troppo della preoccupazione
dell'azione immediata, e dettata da uno spirito ancora incapace
di osservarsi e di meglio vedere la vera realtà. Lo stesso
storico francese Jules Michelet (1798-1874), avido ricercatore di
fonti storiche primarie, ricostruttore della storia francese, dotatao
di forte senso di responsabilità e di impegno nel suo lavoro,
avrebbe dovuto accettare con gioia la testimonianza di questa lettera,
dal momento che aveva una forte componente romantica e poetica nelle
sue opere; tuttavi non accetta questa lettera come strumento di
documentazione primaria.
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Sarebbe
interessante aprire una discussione più ampia sulle relazioni
tra il duca Massimiliano Sforza di Milano, focoso, politicamente
inetto, prodigo e scialacquatore dei beni e delle finanze milanesi,
e Gerolamo Morone, milanese (1470-1529), il tipo del politico cinquecentesco:
astuto, ambizioso, senza scrupli, avido, navigatore con diverse
bussole politiche.
Si discute se la resa del castello di Milano poteva essere differita,
in attesa di nuovi rinforzi promessi da Schinner; ma pare che molta
colpa della resa sia da attribuirsi al Morone "che per troppa
timidità o per poca fede, avesse persuaso a questo accordo
il Duca con l'autorità sua che appresso lui era grandissima".
(Guicciardini)
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I
capitani di basilea, scrivendo da Lugano il 17 settembre ai loro
concittadini, riassumevano gli avvenimenti tra il giorno 8 e il
14, il periodo della marcia di avvicinamento, della sanguinosa battaglia
e della successiva ritirata delle milizie elvetiche. "I dissensi
degli Svizzeri, l'inettitudine di massimiliano Sforza, la lentezza
dei collegati - dicevano essi - hanno frustrato l'audacia dello
Schinner e dei suoi seguaci: sui campi di Marignano la fortuna aveva
tolto loro la vittoria, ma non l'onore".
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Cfr.
A.Ortello, "Il theatro del mondo ecc.", Brescia, 1598,
pag. 120.
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I
due opposti: Zuinglio e Schinner
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Bibliografia
e studi su Zuinglio e la sue opera sono in misura vastissima. Per
questo esoneriamo il lettore da una lista di scritti che sarebbero
scelti da noi senza la necessaria competenza, trattandosi poi anche
di un tema molto complesso e delicato: i rapporti tra politica,
sociologia e religione, in cui Zuinglio si è trovato. Tuttavia,
per scrupolo storico, vogliamo qui indicare l'itinerario primo per
affrontare un più lungo cammino: le fonti storiche e la bibliografia
su Zuinglio si possono trovare al termine degli articoli di "Enciclopedia"
(Enciclopedia Italiana Treccani, Enciclopedia Cattolica) sotto la
voce interessata; e nelle appendici bibliografiche delle opere di
"Storia Universale" o di "Storia della Chiesa";
ottimo anche risulta l'elenco delle opere zuingliane reperibile
negli schedari delle più ricche biblioteche nazionali universitarie.
Ottimi i Repertori bibliografici.
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2
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Dal
sesto secolo la cittadina di Sion, capoluogo del Vallese, è
sede vescovile, e tale rimase fino al 1798. La figura del cardinal
di Sion, Matteo Schinner è naturalmente più nota nella
storiografia svizzera che in quella francese ed italiana. Però,
come dicemmo nel testo, parecchi lati dell'azione politica dello
Schinner devono ancora approfondirsi, almeno nel settore delle giustificazioni
e dei motivi determinanti. Del resto, lo Schinner è una delle
tante figure storiche che si prestano ad essere travisate secondo
la piega partigiana, se non si tiene conto della complessità
dei tempi in cui visse. Anche qui la nostra informazione è
ricca; basti però ricordare "Sion" (Sitten), in
"Dict. histor. et biograph. de la Suisse", VII, Neuchatel,
1933. I valori dell'animo e della mente di Schinner furono però
sempre valutati positivamente, soprattutto da Giulio II: l'ascesa
sulla carriera ecclesiastica fu rapida: fin dal marzo 1511 il pontefice
lo aveva eletto alla dignità di cardinale; con Bolla del
9 gennaio 1512 lo creava Legato Pontificio presso i Confederati,
in Germania e nell'Italia Settentrionale.
E con una nuova Bolla del 6 febbraio 1512, diretta al capitolo di
Novara, lo designava vescovo di quella città, al posto del
destituito cardinal Federico di Sanseverino, uno dei cardinali scismatici
che avevano convocato contro Giulio II il Concilio da tenersi in
Pisa.
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La
pace perpetua
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In
cambio, i diversi Cantoni del Corpo Elvetico si obbligano, per questi
due articoli a non accordare che ai loro soli sudditi naturali i
passaporti ed i certificati tendenti a far godere di uguali immunità
e franchigie.
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Fu
preferito invece il sovrano possedimento perpetuo dei quattro distretti
italiani, della Valtellina e Contea di Chiavenna agli equivalenti
offerti.
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Dopo
Marignano l'imperatore e Leone X stavano vicini ai Cantoni Svizzeri
per creare difficoltà a Francesco I, ed il cardinal di Sion
tentava tutte le vie per riaccendere negli animi l'amore e la memoria
del duca Massimiliano Sforza. Gli Svizzeri erano dunque ancora in
alta considerazione, nonostante la prova infelice di Marignano del
1515.
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Il
Cantone di Zurigo, dopo aver professato un eroico rifiuto a qualunque
servizio straniero, dimenticando le sue massime ed i consigli del
riformatore Ulrico Zuinglio, accordò ancora al Papa, apertamente
e senza misteri, un soccorso di tremila uomini.
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Anche
il cardinal di Sion, antifrancese di vocazione e quasi per nascita,
seppe raccogliere quasi seimila uomini alle sue dipendenze. Invano
Alberto di Stein, comandante delle truppe filofrancesi, tentò
di impedire l'uscita di questi partigiani antifrancesi: essi raggiunsero
l'esercito combinato dal Papa e dalla Spagna, e lo resero in tal
modo superiore, e poco dopo se ne videro gli effetti. Alberto di
Stein voleva fare un tentativo per impedire che sui campi italiani
si incontrassero, come nemici, svizzeri contro svizzeri, per una
causa non svizzera!
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