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Arnold
Esch
I mercenari svizzeri in Italia.
L'esperiena delle guerre milanesi
(1510-1515)
tratta da fonti bernesi
Alberti Editore
per la
Società dei Verbanisti
Verbania-Intra, 1999.
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Liste
di truppa, liste paga, libri delle uscite, interrogatori, e loro conservazione.
La cosiddetta spedizione del 1512: la costellazione politica, nelle fonti
bernesi; l'esercito bernese, la sua composizione, e liste di nomi; il
mercenario (pratiche di arruolamento, motivazione, corruzione) e l'esercito
ufficiale (maggior lavoro per la cancelleria, la scelta del valico e altri
preparativi).
L'esperienza delle guerre milanesi, tramandata, in veste di grande opera storiografica,
da cronisti contemporanei come Valerius Anshelm, è qui rievocata
sulla base di fonti dalle apparenze modeste e scarsamente utilizzate:
esse non si rivolgevano ai posteri, servivano piuttosto, completamente
immerse nella quotidianità, a scopi legati al puro presente, rendendo
in tal modo tanto maggiore la loro immediatezza. Si tratta di liste di
truppa, di conti relativi a movimenti di truppa e a trasporti logistici,
di lettere, di interrogazioni - carte queste, conservate prevalentemente
in un fondo dell'Archivio di Berna, il cui mero nome, "carte inutili"
perché in un primo momento destinate ad essere distrutte, denota
già che non contiene trattati, conferimenti d'incarichi, missive
ufficiali e simili atti statali e dichiarazioni ufficiali (che costituiscono
la base degli studi storici sulle guerre milanesi), frammenti di una vita
quotidiana, ritenuta non degna, fino al primo Ottocento, di essere ricordata,
e già dai contemporanei non intenzionalmente tramandata. La loro
specifica "chance" di essere conservate stava piuttosto nella
necessità di documentare le spese per i rimborsi, di rendere ufficiali
le pratiche di reclutamento per poter punire eventuali violazioni del
divieto di arruolamento, di registrare i soldati per la corresponsione
dello stipendio da parte degli alleati. Tale documentazione - quando c'è
- rimane di norma frammentaria, casuale. Basandosi esclusivamente su di
essa, si otterrebbe un quadro troppo impressionistico. Nella sua non-intenzionalità,
però, essa arricchisce l'immagine che ci facciamo di una epoca,
di una dimensione che raramente appare dalle cronache e dalle opere scritte
di proposito.
Per Berna sono state tramandate diverse liste di truppa. Soprattutto nel
fascicolo B II 319, conservato presso l'Archivio di Stato, si trovano
alcune interessanti carte, risalenti all'ultimo quarto del Quattrocento
e al primo quarto del Cinquecento; tra queste, per il 1512, prevalgono
vere e proprie liste di truppa. Di norma tali liste riportano semplicemente
il numero complessivo degli arruolati, ma non i loro nomi (come B II 319
no.3, con alcuni nomi alla fine, poi i nn.5, 9, 10, 11, 11a, 12, 13, 23,
ecc.); oppure i nomi dei soli reclutati della città, ma non quelli
del territorio (come i nn.1, 2 - predisposti come lista di nomi -, poi
i nn. 6, 8, ecc.); oppure, alla fine, danno anche i nomi dei soldati del
territorio (come i nn. 1a, 16, 17, 18, 21, 24, 32, 33, 39, ecc.). Soltanto
queste ultime saranno prese in considerazione.
Simili liste si trovano, qua e là, anche nel fondo delle "Carte
inutili", come quella UP 22 no.6 per la spedizione di San Gallo e
Appenzell, intrapresa nel 1490; no.8, lista di uomini a cui sono stati
consegnati balestre e fucili, del 1497; UP 66 no.27 elenca i 46 nomi degli
artiglieri per la spedizione di Digione, del 1513; il no.78 i nomi di
50 soldati destinati al presidio di Bellinzona (libro paga di Anton Bütschelbach,
ottobre 1515); no. 82, un libro paga di gabriel von Diesbach, del 151;
UP 86b no. 4 sulla "spedizione intrapresa in Lombardia, per soccorrere
quelli di Uri" (senza data, forse del 1503) con 46 nomi di Meikirch,
Wohlen, Jegenstorf, Schüpfen e altri luoghi. Infine la lista di truppa
dei Bernesi per la guerra contro i Tedeschi (Schwabenkrieg) del 1499,
conservata nell'Archivio municipale di Berna.
Nelle città svizzere, liste di questo tipo si trovano un po' dappertutto,
e talvolta in straordinaria densità. In relazione a Soletta esistono
ad esempio, nei verbali del Consiglio, non meno di 10 liste di truppa
per i soli anni 1510-1515 (per i reclutati della città sono indicati
i nomi, per quelli del territorio i soli numeri); in relazione a Biel,
per gli anni 1511-1515, le liste di dieci diversi reclutamenti. Anche
Lucerna conserva, per l'epoca delle guerre milanesi, una cospicua raccolta
di libri paga, di liste di truppa e simili.
Certamente esistono anche in Italia, e già per tempi molto remoti,
dei libri paga che riportano dei nomi. Se ne menzionano qui alcuni. Un
registro di Rieti, del 1396, che dà ai 19 mercenari elencati anche
un volto, per poterli identificare in caso di necessità: "Iohannes
de Perusio, niger oculis, sine pilis in barba; Baptista de Gonessa, iuvenis
gracilis cum dente anteriori avulso; Grassus de Aquila, cum naso longo
et magno", e analoghi brevi ritratti. Non mancano informazioni sulle
milizie mercenarie del primo Rinascimento, tratte per esempio dal libro
spese del condottiero Micheletto Attendolo (per così dire la contabilità
dell'imprenditore di guerra) di una compagnia di ventura del 1432, oppure
dai libri contabili dell'esercito di Francesco Sforza, conservati per
maggio-giugno 1452; i nomi tuttavia sono conosciuti solo in minima parte.
Rende particolarmente interessante il materiale bernese il fatto che tutta
la leva di un territorio fosse documentata, con i nomi, fin dagli angoli
più sperduti, e che essa possa essere seguita, distinta per coscritti
e volontari e articolata secondo le vallate o i distretti amministrativi,
attraverso diverse liste. Per poter rimanere il più vicino possibile
agli uomini, l'indagine sarà circoscritta a una sola regione, cioè
all'Oberland bernese, dal cui isolamento non escono facilmente i nomi
di singole persone, o addirittura di interi gruppi di persone, e a una
sola spedizione, quella del 1512, detta "di Pavia", che è
particolarmente ben documentata, ma che dopo l'ottimo studio di E. von
Rodt, del 1812, non è più stata trattata sulla base dei
tipi di fonti in questione.
Prima però sarà utile presentare succintamente la costellazione
politica del periodo. La spedizione italiana, intrapresa nel 1494-95 da
Carlo VIII, re di rancia, aveva distrutto, con un colpo solo, tutta la
raffinata architettura della politica italiana dell'equilibrio, rivelatolo
scarso peso degli stati regionali e avviato, sulla penisola, la lotta
delle grandi potenze per l'egemonia in Europa. La Confederazione elvetica,
che solo di recente, con la vittoria su Carlo il Temerario, si era conquistata
una posizione di forza, e che come diretta vicina era interessata agli
sviluppi italiani e ivi impegnata attraverso i vari trattati, i cosiddetti
Capitolati, stipulati con Milano (sette fino al 1498), fu subito coinvolta
nei contrasti tra la Francia da una parte e gli Aburgo-Spagna dall'altra.
In un primo momento essa servì come serbatoio di mercenari, molto
ricercati del resto, ma dopo il temporaneo allontanamento dalla Francia,
avvenuto nel 1509 (il trattato per l'ingaggio delle milizie, concluso
nel 1499 con il re di Francia, non fu rinnovato, fu invece accolta un'offerta
da parte del pontefice), seguì anche interessi propri. Forza propulsiva
di questa politica meridionale attiva, anzi aggressiva, furono soprattutto
i cosiddetti "cantoni interni" che si erano mostrati poco interessati
alle guerre di Borgogna - come dall'altra parte a Berna e ad altre città,
con lo sguardo rivolto a ovest, importava tutt'al più la sorte
della Savoia, sicchè esse accolsero le spedizioni in terra italiana
con riserva. "Non abbiamo da vendere, a Milano, né formaggio,
né burro", ribattè laconicamente Soletta alla richiesta
di partecipare al presidio di Bellinzona. Dopo i primi caotici attacchi
(le cosiddette spedizioni "di Chiasso" 1510, e "del rigido
inverno" 1511) e i successivi trionfi (Pavia 1512, Novara 1513),
la disfatta di Marignano (1515) fece maturare la convinzione che una politica
così espansiva superasse le forze della Confederazione, e causò
un riavvicinamento alla Francia. A questo punto, gli svizzeri si ritirarono,
per sempre, nel loro guscio.
Mutevoli erano le costellazioni politiche durante i pochi anni in cui
la Confederazione intervenne da sovrana nelle vicende dell'Italia settentrionale:
nel 1512, l'anno che più ci interessa, la situazione era tale che
la Confederazione procedette, con le sue truppe ufficialmente assoldate
dalla "Lega Santa" di Giulio II e di Venezia, contro il ducato
di Milano rivendicato e occupato dalla Francia. I sudditi bernesi, a cui
il governo chiese il parere disponendo una consultazione ufficiale, non
si erano espressi, evidentemente, in favore di una spedizione contro Milano.
Ma alla fine Berna dovete seguire la volontà della maggioranza
degli altri cantoni. D'altronde anche nell'Oberland bernese continuava
a prevalere il clima francofobo, come rivelano le risposte, molto argomentate
e fornite dopo ampio dibattito nella consultazione ufficiale della primavera
1513, circa l'offerta di pace da parte francese (lo Hasli e il Niedersimmental
in particolare erano decisamente contrari, altri però meno). Le
attese del papa e l'approvvigionamento di cui Venezia si era fotto carico,
indussero l'esercito elvetico a fare un largo giro verso est, dunque a
dirigersi vero Milano da Verona, e non direttamente dal nord. La trionfale
"spedizione di Pavia" (Pavierzug) finì già dopo
poche settimane con la conquista della città, avvenuta il 15 giugno.
La Francia, che ancora poco prima era uscita vincitrice dalla battaglia
di Ravenna (11 aprile 1512), dovette abbandonare Milano, dove i confederati
con prepotenza insediarono come duca il giovane Massimiliano Sforza, figlio
di Lodovico il Moro. Milano divenne protettorato elvetico.
In tale contesto s'inserisce il reclutamento bernese del 1512. Disponiamo,
relativamente ad esso, di una documentazione ricca come per nessun altro
e non già perché si trattasse del momento di massima espansione,
da parte della Svizzera, nell'Italia settentrionale, ma perché
il capitano bernese Burkhard von Erlach dovette difendersi dall'accusa
di non aver correttamente amministrato i soldi ricevuti per pagare gli
stipendi. Le liste di truppa si trasformarono in atti per un'inchiesta
giudiziaria, e proprio in ciò sta la specifica "chance"
della loro conservazione.
In primo luogo si presenta il materiale bernese. Ecco le liste di truppa
e altri elenchi di nomi, disponibili per l'anno 1512, messi in un approssimativo
ordine cronologico, tratti dall'Archivio di Stato di Berna, B II 319,
con il rispettivo numero:
1. Lista di arruolamento relativa alla spedizione di Pavia, datata 29
aprile 1512 (B II 319 no.13), edita da von Rodt, pp.195-199; 1000 uomini,
suddivisi per numero secondo i distretti (Oberland: cfr. tabella).
2. Lista di truppa "che menziona, con nome, tutti i soldati, appartenenti
al drappello di Lor Signori di Berna, e provenienti dai loro territori"
(no.16): elenca, articolati per distretti, i nomi di 631 coscritti e 171
volontari della città e territorio. Finendo con Lenzburg, è
meno completa della seguente (no.24); manca, cioè, tutta la parte
occidentale, da Aigle a Brugg.
3. Lista di truppa (no.24); 1008 nomi, è completa (esclusa Biel),
ma elenca, articolati per distretti, i nomi dei soli coscritti della città
e territorio (pp.1-42); i nomi dei 307 volontari invece si trovano in
una lista a parte (pp.43-55), senza suddivisione regionale (ma nell'ordine
come in no.16). Riporta i distretti in parte in ordine diverso, i nomi
di persona con ortografia diversa. Dietro i nomi, successive annotazioni
("dimesso", "morto a Pavia", "ha avuto passaporto"
e simili).
4. Lista dei volontari (no.17): 337 nomi (e 25 cancellati) senza esplicita
suddivisione regionale, ma nello stesso ordine come in no.16; contiene
ancora nomi che già mancano in no.18.
5. Lista relativa alla distribuzione di una somma di denaro, messa a disposizione
da Zurigo; distribuzione avvenuta a Walenstadt, dunque il 12 maggio 1512
(no. 42, pp.1-5); "ad ogni soldato che si congiunge al drappello
di Lor Signori 10 denari", con la menzione di alcuni capisquadra,
o persone di fiducia, per la distribuzione (per es. Obersibental: 40,
ha incassato Hans Gering). Segue, a p.10, la nota di pagamento di 1 fiorino
renano, a Coira, da darsi a ciascun combattente, effettuato ai capisquadra:
per es. "Hans Gering ha ricevuto 40 fiorini renani per quelli di
Obersibental".
6. La lista dei volontari relativa alla rassegna avvenuta a Coira, metà
maggio (no.18): "La nuova lista di tutti i volontari: 1- dei volontari
che sono stati arruolati a Coira" (pp.3-14). 305 nomi nell'ordine
regionale come in no.16; segue una lista di nomi (con rispettive aggiunte
dietro i nomi come in no.24) di ulteriori 107 volontari arruolati soltanto
a Coira (pp.15-19); 2- "i volontari arruolati tra Coira e Dietrichs
Bern", cioè tra Coira e Verona (una lista analoga dei "volontari
arruolati tra Coira e Dietrichs Bern" con 117 nomi senza indicazione
del luogo d'origine in no.24, pp.56-60); 3- "quelli aruolati soltanto
a Villafranca" a fine maggio (p.19), 7 nomi senza indicazione del
luogo d'origine. Seguono a p.27 appunti del cassiere.
7. Lista di pagamenti, effettuati a Coira e Dietrichs Bern/Verona, per
gli arruolati della città di berna (no.15, pp.5 sgg.), con i nomi
dei 35 fucilieri (pp.18-19) e - annotati però soltanto a Pavia
a metà giugno - di 13 feriti (p.20; ediz. Von Rodt, pp.221 sgg.;
cfr. anche B II 319 no.21, p.2), con specificazione della ferita.
8. Lista di pagamenti no.23) effettuati a Verona (pp.5 e 7): un ducato
a persona; menzione di sole cifre, senza nomi, ma con i capisquadra; pagamento
dello stipendio alla truppa e altro (pp.9-10); a pp.11-14, nomi in ordine
regionale, probabilmente ultima retribuzione per i malati che tornavano
a casa; annotazione su doppi stipendi (p.17) e sulle truppe di artiglieria
(a pp.31 e 37, sono menzionati 11 cavalli da tiro per i cannoni pesanti
e 20 per il trasporto degli archibugi); pp.33-36 conti di debito.
9. Lista di pagamento di un ducato a ciascun mercenario, "Ribolla"
(Rivalta o Rivarolo, cfr. von Rodt p.219) 5 giugno (no.15, p.1); scheda
vuota.
10. Lista di pagamento della seconda mensilità, avvenuto a Pavia,
seconda metà di giugno (no.19). Menziona i capisquadra, per il
resto soltanto numeri.
11. Lista di pagamento di 2 denari grossi (Dickpfennige) pro capite, avvenuto
a Pavia (no.20). Menziona i soli capisquadra.
12. Lista dei fucilieri e dei feriti (no.21): dà i nomi di 72 fucilieri
(pp.1-2, compilata prima dell'arrivo a Pavia, con annotazioni dopo Pavia)
e di 18 feriti (p.2).
13. Annotazione di Burkhard von Erlach sull'organico della truppa e sulla
somma a disposizione per gli stipendi, prima e dopo l'arruolamento avvenuto
ad Alessandria, luglio 1512 (no.29): prima 1446 uomini (prima e seconda
mensilità), ora 1069 uomini (terza mensilità). Somme ricevute
e pagate per stipendi e soprassoldo. Nessun nome. Cfr. von Rodt pp.232
sgg. (da correggere: 1446 e 1069); inoltre la relativa contabilità
di sua mano, nn. 44 e 47.
14. Lista dei soldati a doppio stipendio (no.25), con l'eventuale aggiunta
(in inchiostro più chiaro) del soprassoldo, o delle gratificazioni:
70 nomi, o posizioni. Suddivisa in membri dello stato maggiore e personale
di servizio, cittadini, capisquadra. Forse la lista è stata redatta
all'inizio della spedizione. Segue annotazione su problemi relativi al
pagamento del soprassoldo ad Alessandria (no.26).
15. Lista dei soldati a doppio stipendio, Alessandria luglio 1512 (no.27).
Suddivisa come no.25.
16. Lista del secondo arruolamento, in data 1512 giugno 26 (no.12):
reclutamento di 2000 uomini "per rinforzo di coloro andati prima
in Lombardia", in cifre (Oberland: cfr.
tabella).
17. Lista di arruolamento di 50 uomini per "rinforzare Lugano e Locarno"
(no.11a); senza data, ma probabilmente connessa alle liste che seguono;
senza nomi. Probabilmente ne fa parte anche il no.43.
18. Lista relativa alla seconda mensilità per la spedizione di
Lugano, dal (1512) agosto 29 (no.32): 41 nomi, di cui 8 dall'Oberland.
19. Lista relativa alla terza mensilità, dal settembre 27, pagata
a Lugano (no.33): a causa del cambio della guardia, molti nomi nuovi di
cui 8 dell'Oberland; f.5a: "in seguito i soldati che non ho più
messo in conto a Lor Signori, e che sono morti": 12 nomi, nessuno
dell'Oberland.
20. Lista relativa alla quinta mensilità, dal novembre 22 (no.39):
49 nomi, di cui almeno 4 (in quanto in parte senza indicazione del luogo
d'origine) dell'Oberland.
21. Lista relativa alla sesta mensilità, dal dicembre 19
(no.40): 49 nomi, mancano in gran parte accenni al luogo d'origine.
Sull'arruolamento dell'aprile 1512, cioè quello relativo alla "spedizione di
Pavia", occorrono alcune considerazioni generali. Composta di 6000
uomini, la truppa elvetica era poco numerosa, e anche i 1000 uomini di
Berna rappresentavano solo una parte di quello che la città poteva
offrire. Un anno prima infatti, in relazione alla coscrizione di 5000
uomini per la spedizione nell'Italia settentrionale, Berna aveva chiesto
all'Obersimmental non 40, ma 200 uomini, e all'Hasli non 34, ma 160; negli
anni successivi il numero degli arruolati aumentò considerevolmente
a causa della quantità delle coscrizioni (fino a 3 per anno); e
l'ampio arruolamento del 1525 per la spedizione contro i contadini del
Bundschuh chiederà, con 6000 uomini, un ulteriore sacrificio ai
sudditi di Berna e metterà in luce la potenza militare raggiunta
dalla ormai più grande città-stato a nord delle Alpi.
Già i rapporti numerici, come appaiono in tali liste, si possono
dedurre certe informazioni - qui appena accennate perché altro
ci interessa. Per esempio sul rapporto tra il numero degli arruolati in
città e quelli nel territorio, del resto non sempre uguale, ma
volta per volta variabile: dei 1000 uomini (per menzionare soltanto alcuni
valori estremi) reclutati con la prima coscrizione del 1512, 81 provenivano
dalla città di Berna (cioè un rapporto di 1:12); dei 4000
uomini della terza coscrizione, avvenuta nel 1515, 168 (un rapporto di
1:23). Questi dati non sono senza importanza per rispondere alla domanda,
se il contributo dato dal territorio fosse stato proporzionale, se fosse
stato sentito come adeguato oppure come ingiusto; la risposta determinerà
necessariamente anche il giudizio sulla protesta contadina del 1513 (la
quale ovviamente non aveva soltanto aspetti quantitativi) che denunciava
tale sproporzione. Dallo stesso contesto si desume inoltre il rapporto
tra il numero degli arruolati e quello, supposto, degli abitanti: un compito
difficile, però, per l'Oberland, anche se di questi uomini già
prima troviamo alcuni accenni nelle visite pastorali (per es. Adelboden
per il 1453: "sub cuius regimine seu animarum cura sunt VIIIxx foci
vel circa"). La tabella dimostra che tra i singoli distretti, il
numero dei reclutati differiva leggermente e che nella fascia superiore
non cresceva più in modo lineare: infatti, dato il numero complessivo
di 1000-3000-5000 coscritti, Thun e Freigerich ne reclutavano 34-120-200,
Spiez 4-20-30, l'Obersimmental invece 40-120-200. Analogamente sarebbe
da confrontare, per le corporazioni cittadine, il numero complessivo dei
loro membri con quello dei reclutati tra essi.
Altrettanto interessante - e importante per la valutazione dell'arruolamento
spontaneo - è il rapporto tra il numero dei coscritti e quello
dei volontari. Per la spedizione di Pavia, all'inizio, era di 1000 a 307,
con grandi oscillazioni tra un distretto e l'altro, le quali difficilmente
possono essere spiegate in termini generali (qualche volta bastava forse,
in una vallata, l'esempio di un singolo risoluto che facesse il primo
passo): nell'Hasli, su 34 coscritti, ci sono solamente 2 volontari, nel
Niedersimmental invece 22 su 30. Sulla falsariga del metodo adottato in
seguito e basato sui nomi, si potrebbe inoltre esaminare la questione
se, nel susseguirsi delle diverse coscrizioni, fosse stato d'obbligo osservare
un principio di rotazione nella scelta delle reclute, o se ognuno avesse
potuto rimanere o partire come voleva, purchè fosse raggiunto il
numero richiesto.
Tali domande che riguardano la situazione demografica e il rapporto ra
città e campagna e che la ricerca storiografica contemporanea volentieri
si pone, trovano qui una loro risposta. Quante informazioni dunque si
possono ricavare da liste che, a lungo, sono state utilizzate prevalentemente
per cogliere i cronisti sul fatto di aver sbagliato le cifre: ciò
illustra bene quanto l'edizione di cronache, le fonti normative e la critica
delle fonti hanno prevalso sulle fonti poco appariscenti, come quelle
qui esaminate, immerse nella loro quotidianità. Tuttavia neanche
dell'ordinamento militare, del decorso della spedizione, della problematica
politica vista con l'occhio del Consiglio di Berna o della Dieta elvetica
si parlerà in seguito, ma del singolo, al quale, immerso nella
massa, riusciamo ad avvicinarci come non mai: si potrebbe tentare addirittura
la prosopografia di una spedizione militare.
Guardiamo ora dunque ai singoli, menzionati uno per uno nelle liste di
truppa, cioè ai vari Friedrich von Stouffen, Philipp Rouber e Cristan
Ruby, alcune dei quali - sull'esempio dell'Oberland (che forniva quasi
esattamente un quarto di tutto il contingente bernese) - seguiremo attraverso
diverse liste, accompagnandoli nella loro marcia verso l'Italia. E prima
di tutto soffermiamoci, per un momento, sui nomi della cui popolarità
e diffusione ci informa un tale quadro istantaneo degli arruolati, con
i suoi mille e più uomini.
Chi nella prima estate del 1512 partiva per l'Italia, in gran parte si
chiamava Hans. E non solo quelli dell'Oberland: uno su quattro soldati
del Niedersimmental, uno su tre di Lenzburg portavano quel nome. Ma già
per Peter, secondo in ordine di frequenza, la distribuzione regionale
è più accentuata (se le proporzioni, ricavate dal nostro
materiale, sono corrette): uno su re arruolati dell'Obersimmental si chiamava
così, tra quelli dell'Emmental (dove il nome è ancora relativamente
requente: 9 su 69) invece uno su otto. Quasi nessuno porta il nome di
Paul, l'altro principe degli apostoli. Sovente appaiono Cristan/Kristen,
Niklaus/Claus/Glewe, Ueli (Ulrico) in varia grafia. Dato il patrono delle
chiese nel Simmental, ci si sarebbe aspettati, colà, anche qualche
Moritz (Maurizio). Raramente ci si imbatte, dappertutto, in un Michael,
e lo stesso vale per Jörg (Giorgio); abbiamo però due Filipp
nell'Obersimmental. I Rudolf aumentano nel settentrione, verso Lenzburg
a Aarau, e lo stesso (escluso l'Obersimmenta) sembra si possa dire per
i Benedikt/Bendicht. Nessun Lienhard si trova nell'Oberland (ma 4 su 66
residenti a Burgdorf si chaimano così), nessun Urs o Franz, nessun
Marx o Fridli. Per i cognomi si riscontra qua e là una certa continuità,
come nel caso di Frutigen: gli Zuiricher/Zürcher, presenti ben tre
volte tra gli arruolati del 1512, sono rappresentati nell'attuale elenco
telefonico 45 volte, gli Schanz 23 volte, i Wandfluh 12 volte, gli Zumkehr
e Sarbach rispettivamente 8 volte, gli Zobrist due volte!
Per questi Hans, Peter, e Cristan - quando si tratta di volontari e non
di coscritti - l'avventura inizia con l'arruolamento, con l'incontro con
il reclutatore o, più spesso, con i discorsi lusinghieri e stuzzicanti
del coetaneo, già arruolato, della porta accanto. Disponiamo, proprio
per l'Oberland, di diverse testimonianze personali che ci presentano un
vivace quadro di questo momento di tentazione, di decisione. Si tratta
di deposizioni di uomini che, interrogati dalle autorità per appurare
le responsabilità relative alla trasgressione del divieto di farsi
arruolare e "all'istigazione per la spedizione contro i veneziani"
del maggio 1509 (cioè durante la spedizione della Lega di Cambrai
contro Venezia), nel loro linguaggio semplice tentano di descrivere, di
motivare e di giustificare la loro decisione.
Un tale Jörg Schober racconta per esempio che il calzolaio Mathis,
mentre stava comperando nel suo negozio un paio di scarpe, gli avrebbe
detto: "Se vuoi fare la guerra, dì a Stefan Schnelling (che
incontreremo di nuovo tre anni dopo durante la spedizione di Pavia) e
ad altri che vadano a Sitten, là c'è danaro assai";
lui stesso li avrebbe raggiunti dopo otto giorni. Un parrocchiano di Boltigen
riferisce invece di essersi trovato nei campi dello Schlatt quando venne
da lui Hans Agerder (anch'egli presente nel 1512, ma stavolta come membro
del contingente ufficiale) e gli disse: "Hans, tu non vuoi andare?"
Ed egli rispose: "No, ma dove dovrei andare?" E Agerder disse:
"I giovanotti vogliono tutti andare via stanotte…". Così
egli, finito il lavoro, "sarebbe andato a casa, avrebbe indossato
altri vestiti, sarebbe partito e arrivato a Sanen": decisione individuale,
di un momento.
Che il reclutamento clandestino avvenisse tra vicini, porta a porta, e
per le vie più traverse (Peter Wolf l'ha saputo da Stefan Karlin
e questi da Philipp Rouber…), lo apprendiamo anche dalle deposizioni
di un certo Peter Pfander residente nella Lenk. Egli affermò di
essere stato in Adelboden per motivi di lavoro (per lavorare doveva dunque
attraversare il passo dell'Hahnenmoos), "quando venne da lui e da
altri Peter Jaggy della Lenk, e disse a loro di andare da Jacob Gander,
questi pure residente nella Lenk" (anche nel 1512 i Jaggy e i Gander
non restarono nelle loro valli). La casa di Jacob Gander, egli stesso
in contatto con Peter Jaggy di Frutigen, "pullulava già di
volontari che mangiavano e volevano partire"; prima però Gander
aveva fatto presente che avrebbe smentito ogni allusione al suo ruolo
di intermediario (e infatti lo negò quando anch'egli venne interrogato,
descrivendo la riunione dei giovani a casa sua come fastidiosa ed equivoca).
Il reclutamento era infatti vietato e perciò si svolse clandestinamente:
un giovanotto venne invitato a partire nel cuore della notte, "venerdì
poco prima di mezzanotte"; un altro reclutatore fece venire gli interessati,
per prudenza, dal campo direttamente nel bosco. Il reclutatore, e comandante
di truppa, era d'altronde Anthoni Bütschelbach; si è conservata
una lettera scrittagli da Hans von Diesbach, buttata giù frettolosamente,
che lo invitava a prendersi cura del reclutamento nel Simmental: "Caro
Antony, ti mando 20 corone, e recati subito nel Simmental e porta con
te tutti gli uomini fiati che puoi avere, e vieni ad Aosta dove troverai
mio cugino Ludwig, e danaro, e tutte le informazioni…".
Traspare dagli stessi interrogatori il modo in cui procedevano i reclutatori,
che ovviamente non si presentavano come tali. La conversazione iniziava
- nei campi, in trattoria, durante una cavalcata insieme - in modo assolutamente
innocuo, con allettanti allusioni: era il reclutatore che voleva essere
interpellato, possibilmente lasciando iniziare l'altro: "Ho buone
nuove". "Quali buone nuove?", chiese Aberli. Il reclutatore
si dà per informato; parla di soldi, non accende vaghe brame per
l'Italia: Lombardia o Piccardia (tutti, anche quelli che ancora stavano
con gli Sforza, sarebbero finiti poi con il re di Francia), era indifferente
l'interlocutore. Eppure ci piacerebbe sapere se, dell'Italia, i reclutatori
non abbiano presentato un quadro allettante al giovane contadino della
valle dell'Hasli, dove il commercio con questo paese ha lasciato tracce
perfino nella lingua! E la conversazione - se si svolgeva a un livello
un poco più alto - finiva forse, con lo sguardo rivolto ad altri,
con un'apparente riconoscimento personale: "Tanti uomini, come a
te, non ho mai affidato a nessun altro", una tentazione, un riconoscimento
di cui si andava fieri ancora durante l'interrogatorio. "Altri come
te già da tempo hanno colto l'occasione!" (e con stupore l'interlocutore
sente scorrere nomi a lui noti). E chi non offre poi i suoi servizi come
capitano: il fonditore di campane Hans Zender, il macellaio Hans Schindler…
Pertanto ci giunge notizia, per il 1509, del successo raggiunto dai reclutamenti
effettuati nei dintorni di Berna, e delle pratiche ivi adoperate: due
di Amsoldingen sono stati arruolati a Thun da un uomo di Uri; a Buchsee
si presenta come reclutatore "das Wälchi von Wiblisburg",
un presunto tessitore di lingua francese di Avenches; soltanto nel piccolo
villaggio di Baggwil si fanno arruolare per la spedizione italiana in
quattro, di cui tre evidentemente fratelli. Vi era anche un prete a diffondere
la notizia che il primo punto di raccolta sarebbe stto Aosta. E' ancora
Cristan Saler di Saanen che spedisce lettere e corrieri per tutto il Simmental.
Come fonti storiche, tali interrogatori vanno letti con cautela in quanto
le deposizioni servivano agli imputati per giustificarsi, sicchè
possono essere stati distorti i fatti. Tuttavia una volta compresa la
probabile direzione della distorsione, si può anche correggerla
in una certa misura. Gli interrogati si presentavano più insignificanti
di quello che effettivamente erano, ingrandivano il ruolo degli altri
e facevano credere che ai loro occhi l'arruolamento non poteva non sembrare
autorizzato. Non si svolse questo "a suon di tamburi", pubblicamente
dunque, e non di nascosto? E i nobili non si presentarono di persona?
E non vi furono rassegna di truppa ad Aosta, a Ivrea, a Cremona? E non
disse il von Erlach al von Diesbach di scendere dal cavallo e di far salire
lui perché i soldati lo sentissero meglio: come avrebbero potuto
non credere che tutto fosse in regola? Dato che in tali interrogatori
si rischiava la vita e ogni parole era, di conseguenza, ben ponderata,
eventuali correzioni nelle deposizioni meritano un'attenzione particolare:
le cancellazioni infatti denotano ancora più marcatamente la direzione
della distorsione. Anzi: uomini che norma parlano un linguaggio semplice,
diretto, nell'angoscia provocata dall'interrogatorio, improvvisamente
imparano ad esprimersi in modo differenziato: quello gli avrebbe detto,
"Si, va bene", oppure: "Sia così", oppure:
"Si, bene che me l'hai detto".
Ciò che rendeva così efficaci i reclutamenti, spingendo
tanti uomini ad arruolarsi, erano in buona parte motivi economici. Relativamente
agli arruolamenti per le spedizioni italiane e francesi di questi anni,
se ne parla anche esplicitamente negli interrogatori. "La sua grande
povertà l'avrebbe costretto a partecipare alla spedizione contro
Digione…"; "non ho niente e soffro grande povertà",
afferma un soldato semplice dell'Emmental. Cosa allora dovrebbe fare un
padre di cinque o sei figli, se fossero proibiti gli arruolamenti, rispondeva
Signau, indignato, nel contesto di una consultazione ufficiale organizzata
dal governo bernese. Date queste condizioni di vita, doveva essere allettante
la prospettiva di poter trovare qualche soldo appena al di là dei
monti: "Avrebbe voglia di partire, perché non ha né
moglie né figli, e Jörg sulla Flüe offrirebbe vestiti
e viveri".
Accanto a dichiarazioni esplicite come queste, che senz'altro tendevano
talvolta alla drammatizzazione, disponiamo anche di indizi che fanno pensare
a motivi economici. L'inventario ufficiale delle proprietà confiscate,
per esempio, apre un inatteso squarcio sul tenore di vita di alcuni cittadini
di Thun, i quali nonostante il divieto avevano preso parte alla spedizione
del 1495 nell'Italia settentrionale. Ovviamente non mancavano neppure
qui i poverissimi: "Non ha niente"; "Non ha niente se non
il suo vestito". Più interessante invece il caso di quelli
che - come risulta dall'inventario - pur non appartenendo ai ceti più
bassi, si trovavano momentaneamente in difficoltà: il segantino
non aveva ancora potuto iniziare i pagamenti della segheria da lui acquistata
e il barbiere aveva pagato solo in parte la sua bottega; i debiti di altri
ammontavano a due, tre, cinque volte il valore di tutte le loro masserizie.
In queste circostanze, significava molto poter tornare da una spedizione
militare in Italia con tre mensilità in tasca.
Non di meno, per il figlio ed erede di un agiato contadino, su, in Heiligenschwendi,
non potevano essere questi i motivi quando, con grande dolore del padre,
lasciò la fattoria, e forse anche in diversi altri casi le ragioni
furono ben più intime. Mentre uno partì perché senza
moglie, l'altro scappò, altrettanto esplicitamente, perché
ne aveva una con la quale non andava più d'accordo. E dalla deposizione
del reclutatore Michel Glaser, poi giustiziato, apprendiamo con quanta
irrequietezza "il giovane Hans Frisching andava su e giù per
la Chiesa dei Frati scalzi a Berna dicendo che non voleva rimanere in
nessun caso". Soprattutto: via da qui!
Tutti questi elementi, messi insieme, costituiscono una sindrome definita,
da Schaufelberger, "smania per il campo", o "la voglia
di guerreggiare". Un impulso, difficile da spiegare, che tlavolta
prende le sembianze dell'irrazionale istinto dei lemming che si buttano
nell'abisso. E a ciò corrisponde la semplicità di certe
dichiarazioni rilasciate durante gli interrogatori con i quali si tentava
di scoprire le pratiche illegali di reclutamento: "Kläwe lang
dice che egli e altri erano nell'osteria del Montone a prendere un bicchierino
prima di andare aletto…, e uno disse: 'Io voglio andarmene'. E un
altro disse: 'Io pure'. Negli interrogatori, gli uomini certamente si
fingevano ancora più ingenui di quanto comunque fossero, come se
una cosa fosse sicura: "Nessuno lo avrebbe reclutato, … perciò
non sa neanche che sia stato il primo a iniziare gli arruolamenti".
E poi una cascata di analoghe spiegazioni: "Nessuno lo avrebbe istigato,
ma quando gli altri si erano mossi, anch'egli si era mosso di sua iniziativa;
… di sua iniziativa, nessuno lo avrebbe…". Irresistibile
era l'impulso ad arruolarsi, e in tali masse che "la carne elvetica
divenne meno costosa delle carni di vitello".
Spesso il male si contraeva nelle osterie, come in quella "Al Montone",
prendendo il solito bicchierino serale. Uno zurighese, in congedo dall'Italia,
si era "aggirato per le trattorie bernesi aspettando un reclutamento
interessante"; per l'osteria "Dal Cacciatore", sempre a
Berna, passò anche lo spillaio Jörg Schmalenbach, nella speranza
di un nuovo reclutamento. In questi posti correvano le voci sull'entità
delle tangenti pagate dal re di Francia ai governanti; la proprietaria
della trattoria "Della Chiave", situata a Berna nella Rathausgasse,
distribuiva di nascosto denaro proveniente da parte pontificia; quivi
alcuni attendevano la prossima occasione per guadagnarsi la vita come
mercenari.
E perché non avrebbero dovuto? Non erano i Signori stessi a far
soldi con la guerra e con la politica estera, forse nelle stessa locanda,
nel salottino accanto? Un interrogatorio ci offre un vivace quadro di
una tale situazione, quando i quattro "Venner, i più alti
rappresentanti del governo, responsabili per l'amministrazione militare
dello Stato, dopo la seduta del Consiglio municipale bernese e prima di
lasciarsi, vogliono ancora prendere un bicchierino insieme: fra loro Graffenried
e Dittlinger. Essi scelgono il "Leone" nella Gerechtigkeitsgasse,
il cui oste, Michel Glaser, coglie l'occasione, forse anche provocata,
per consegnar loro in gran segreto delle tangenti francesi: "Venite
proprio nel momento giusto, ero in procinto di cercarvi". E subito
fu rissa. "Graffenried reclamava e imprecava: 'Quanto vuoi dare a
gente come noi? Ci darai certo cento corone!'; poi prese la parola detto
Dittlinger: 'Beviamo e stiamo allegri'. Mentre mangiavano e bevevano,
Michel dette a Graffenried un bigliettino con dentro 60 corone: 'Questo
vi regalo per un buon anno; io non vi ho dato niente per il buon anno,
e questo qui mi è stato dato perché io lo dia a chi voglio,
perché il re (di Francia) desidera la pace, che sarebbe lodevole,
utile e onesta per la Confederazione'!". Ugual biglietto fu consegnato
anche a Dittlinger.
E già si sono compromessi! I Signori devono sopportare l'invadenza
degli agenti francesi, i quali vengono a chiamarli perfino durante le
sedute consiliari (di quale agente si sarebbe trattato? "Non saprebbe
rispondere bene, causa le deficienze del proprio cervello"). A un
ex sindaco fu chiesto, durante la Dieta generale di Baden, perché
votava contro il re di Francia, avendo ricevuto 1500 franchi; egli rispose
per le rime, dimostrandosi altrettanto poco signorile: "Non gli sarebbero
stati offerti più di duecento scudi e non avrebbe voluto prenderli".
Per questo si poterono sentire durante un interrogatorio, avvenuto a Berna,
le gravi parole: "Quando Lor Signori i Confederati chiudono la seduta
del Consiglio zurighese, il re (di Francia) può sapere entro cinque
giorni che cosa hanno deliberato". Era invero "un gioco…
che non tutti capivano".
Gli effetti di questo "gioco" di corruzione intorno a stipendi
e pensioni erano funesti, e il cronista contemporaneo Valerius Anshelm
di Berna non si stancò mai di descrivere questo malcostume con
fervida immaginazione e con modi sempre nuovi, anzi vide in esso la radice
del morbo che aveva colpito i confederati. Con il denaro straniero si
sarebbero accresciute l'avidità e la corruzione, la discordia,
l'invidia e lo spirito di rivolta, con i soldi stranieri provenienti da
paesi stranieri sarebbero arrivati anche i loro costumi, la scellerata
soldatesca avrebbe portato nella Svizzera opulenza e raffinatezza, mancanza
di scrupoli ed egoismo.
L'atteggiamento ambiguo di chi avrebbe dovuto saper, le risposte volutamente
vaghe di coloro a cui il popolo guardava, emergono ancora dagli stessi
interrogatori, per giustificare in questo contesto l'uomo comune: "Ha
dunque detto il nobile Wilhelm von Diesbach: 'Non te lo ordino e non te
lo suggerisco, ma se vuoi venire dall'Hetzel, avrai un buon posto'."
A ciò corrisponde la speranza che i Signori, infine, avrebbero
chiuso un occhio, che essi con benevolenza "stenderebbero il cielo
sopra o guarderebbero attraverso le dita" e per farsi capire l'interrogato
"tenne aperte le dita, le allargò e le mise davanti agli occhi".
Tutto ciò è importante per cogliere l'atmosfera di quegli
anni, anche se con i provvedimenti presi il 29 aprile 1512 - leva ufficiale
con iscrizione anche dei volontari - si rimaneva sul terreno della legalità.
Da una settimana però al governatore bernese ad Aigle era noto,
da un interrogatorio, che alcuni mesi prima, nel Vallese inferiore, due
dei figli di Wilhelm von Diesbach avevano voluto saper, durante una cena,
se ora, nell'inverno, fosse possibile raggiungere l'Italia settentrionale
passando per le Alpi vallesi ("transire per montes Vallesii pro eundo
apud Mediolanum vel apud Vigonye"). Mai, di fatto, si sapeva chi
conducesse dei mercenari dove e per conto di chi!
Quanto lavoro informativo e organizzativo comportasse - nel libero gioco
tra offerta e domanda - una mobilitazione illegale, è reso palese
dall'arruolamento ufficiale. Dal registro delle lettere spedite dalla
cancelleria, tenuto dal cancelliere di Stato, si desume infatti, quanti
sforzi richiedesse l'avviamento (a parte le spese: ogni lettera scritta
costava al consiglio 1 soldo). Già durante l'autunno e l'inverno
precedenti - nel contesto dunque della cosiddetta "spedizione del
rigido inverno" (Kaltwinterfeldzug) condotta, nel 1511, nell'Italia
settentrionale - vengono scritte 38 lettere per "tenersi pronti armati,
per la campagna che quelli di Schwyz avevano intrapreso contro il re di
Francia", due volte 51 lettere relative a questa leva, 29 lettere
per "lasciare a casa i drappelli di questa campagna", 57 lettere
per "arruolare il numero stabilito" e "aspettare in armi";
e in seguito ancora 38 lettere per sapere il nome di coloro che, contrariamente
a quanto giurato, "hanno disertato la bandiera e perciò sono
stati disobbedienti, e per trasmettere a Lor Signori i nomi". E poi
a cavallo tra il 1511-12: 54 lettere relative a un ulteriore arruolamento,
34 lettere per un altro arruolamento ancora, 38 lettere relative alla
rassegna delle truppe, 44 lettere per l'accertamento del numero dei coscritti,
43 lettere riguardanti la punizione di chi non era partito.
E poi la mobilitazione per la spedizione di Pavia, tre pacchi di fila
di lettere tipo stampati: "Scritto a quelli in città e in
campagna, per mandare i corrieri per il martedì dopo San Giorgio
(27 aprile) sulle vicende della guerra attuale: 38 lettere. Scritto a
quelli in città e in campagna per imporre un numero di uomini da
tenere pronti armati, aspettando ulteriori ordini: 57 lettere. Scritto
a loro in città e in campagna, di inviare il numero stabilito a
Lentzburg: 57 lettere". Di tale tenore erano le lettere che arrivavano
a Simmental, a Frutigen. All'Hasli, e cui davano esecuzione i sindaci
(Ammänner) delle valli o dei comuni, con una procedura (ora occa
aPhilipp Rouber e Jakob Jonner, la prossima volta a…) che non conosciamo
nei dettagli! Giacchè i responsabili per questa volta avevano fatto
partire i loro contingenti per l'Italia con pochi soldi, furono subito
scritte ulteriori 34 lettere con il sollecito "di consegnare qui
danaro per coloro che sono partiti e per i quali non è stato provveduto,
perché Lor Signori possano mandarglielo". E tutta questa marea
di lettere si poneva accanto alla corrispondenza ordinaria! Molto vi era
da scrivere ora, sicchè dovevano essere approntati "un nuovo
libro delle deliberazioni, un nuovo libro delle missive tedesche, un nuovo
manuale". Frattanto furono rilasciate ricevute per pensioni pervenute
dall'estero: "Scritte due quietanze per il nostro Santo Padre il
Papa relative a duemila fiorini di pensioni da pagare". E sempre
nuove ordinanze per assicurare un regolare approvvigionamento proprio
in tempi di guerra: "Scritto all'Oberland a proposito del burro,
di non farlo esportare; scritto a proposito dei maiali, di non farli comperare
di nascosto, ma di condurli al mercato pubblico; scritto all'Oberland,
di denunciare coloro che hanno accaparrato il formaggio di nascosto".
L'organizzazione di un reclutamento sommergeva di lavoro le cancellerie
municipali, ed è importante rendersene conto in concreto, considerando
le quantità numeriche: tutte le lettere dovevano essere scritte
a mano e tutte nello stesso tempo, perché la spedizione di tali
ordini di marcia non poteva avvenire nell'arco di più giorni. Con
tanti affari da sbrigare, in chiusura di questo quaderno, il cancelliere
si consolò con una frase di Seneca: "Seneca ad Lucillum: Omnia
aliena sunt, tempus tantum nostrum est".
Lo sforzo al quale le guerre milanesi sottoponevano tutto il paese, trova
riscontro anche nei piccoli archivi, in lettere di mobilitazione, libri
spesa, liste di truppa: a La Neuveville abbiamo la lettera di mobilitazione
bernese che chiede dieci uomini per la spedizione di Pavia "contro
il re di Francia", cinque un anno dopo per la spedizione di Novara,
con l'appuntamento all'osteria di Aigle. A Murten, tra le carte contabili
del sindaco, si trovano le spese di guerra concernenti la campagna di
Pavia, "quando i garzoni partirono per Roma", quelle relative
alle campagne italiane del 1515, "partendo per Milano" oppure
"partendo per la guerra". Ad esempio. "al capitano Tschan
Borgey 10 fiorini quando partì per la guerra; al capitano Bendicht
Counrad, quando partì per la guerra, 139 libr. per pagare i soldati;
ai balestrieri per 18 calzoni 18 lib.; per la seta che ha comprato per
la bandierina…". A Biel liste di truppa, con tutti i nomi, concernenti
diverse spedizioni, e con le rispettive spese: quanto è stato pagato
ad ogni milite per ogni giorno, a quanto ammontava il soprassoldo per
i fucilieri, quanto costavano la polvere da sparo e il piombo.
Era necessario ben ponderare quale fosse la miglior strada da prendere
per attraversare le Alpi. Per Berna e per le altre città più
ad ovest, la scelta era tra i valichi del Gran San Bernardo, del Sempione,
o il passo del Grimsel e del Gries, al limite quello del San Gottardo.
Così Soletta fece sapere nel maggio del 1513 a Berna che, secondo
gli esperti di strade, per i rifornimenti e per il viaggio in quel momento
forse sarebbe stato meglio "prendere il Gran San Bernardo e la Valle
d'Aosta… piuttosto che il Sempione". E abbiamo, dalla mano di
Bartlome May, un'analisi delle diverse possibilità per il contingente
bernese di attraversare, nell'agosto del 1515, le Alpi, quando la posizione
delle truppe francesi precludeva la via del Gran San Bernardo: "Perciò
è necessario che provvediate a trovare vitto nella Vallesia; prendendo
il Sempione per la Val d'Ossola, marciate verso Novara; se non volete
prendere la strada più corta, quella per la Gemmi: è molto
più vicino per Domodossola, sarete circa 3 giorni prima a Domodossola
che non via Aigle; potrete anche dividervi dalla parte dell'Hasli attraverso
il passo del Grimsel verso Val Formazza: è pure un percorso più
veloce che si può ben prendere con i cavalli".
Solo eccezionalmente i bernesi si spingevano, per l'attraversamento delle
Alpi, più verso Est: e così fu, per l'appunto, nel 1512
per la spedizione di Pavia, che ebbe la sua base di schieramento nella
terraferma veneziana. Il contingente bernese, giudicato particolarmente
male armato, ("la maggior parte era completamente priva di armatura
e di fucili"), si raccolse sotto il comando di Bukhard von Erlach
a Lenzburg; partì da lì il 6 maggio per raggiungere Coira
via Zurigo e Walenstadt, poi si diresse - dopo la rassegna e la distribuzione
del primo stipendio - via Lenzerheide e i passi dell'Albula e del Fuorn
e attraverso la Val Venosta verso Trento, dove raggiunse l'esercito elvetico
il 22 maggio. Quattro giorni dopo l'arrivo in territorio veneziano, gli
Svizzeri giunsero a Verona, abbandonata dai Francesi la notte prima. Qui
furono ricevuti dal cardinal legato, lo svizzero Matthäus Schinner.
Incominciò la marcia su Milano.
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