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Arnold
Esch
I mercenari svizzeri in Italia.
L'esperiena delle guerre milanesi
(1510-1515)
tratta da fonti bernesi
Alberti Editore
per la
Società dei Verbanisti
Verbania-Intra, 1999.
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Rimpatrio.
La marcia di ritorno attraverso le Alpi dall'esame dei libri contabili:
itinerario, spese specifiche; problemi per i rifornimenti, problemi con
le diverse monete. Il bilancio umano: conflitti con la legge, con i padri.
La vita quotidiana a casa: l'avventura della guerra allo specchio di consultazioni
ufficiali e nei discorsi da taverna. Epilogo: veterani insieme in viaggio
per Gerusalemme. L'apertura dell'orizzonte a tutto il mondo: i mercenari
sulle Alpi, in Medio Oriente, in Oriente.
Come all'andata, possiamo accompagnare le truppe elvetiche anche nella marcia di ritorno,
utilizzando un tipo di fonti che nel fondo "Carte inutili" dell'Archivio
di Stato di Berna sono rappresentate in modo molto consistente: i conti
delle spese sostenute dai capitani di campo e furieri bernesi. Di tali
libri delle uscite, riguardanti le spedizioni italiane, interessanti anche
per le notizie sulla topografia e la viabilità nell'Italia settentrionale,
si sono conservati per questi anni i seguenti registri:
· 1503. Contabilità del furiere Peter Schaffer per la guerra
contro Bellinzona (Bellenzkrieg), da marzo 16: spese di primo equipaggiamento
(formaggio, burro, molto pesce) e durante la marcia con l'itinerario Berna - Lucerna - Uri - Gottardo - Bellinzona - Ascona -Re -Sempione - Briga - Sion - Aigle - Friburgo - Berna
(UP 66 no.14).
· 1511. Contabilità del capitano Kaspar Wyler (senza data)
per la cosiddetta "spedizione del rigido inverno" 1511 (partenza, Berna 27 nov.;): spese di primo equipaggiamento (carne, formaggio, sale,
ferri di cavallo, ecc.) e durante la marcia con l'itinerario Berna - Lucerna - Flüelen - Urseren - Airolo - Bellinzona
e ritorno (UP 66 no.36).
· 1511. Contabilità del furiere Rudolf Tillier "sulla
marcia verso Bellinzona" (la cosiddetta "spedizione del rigido
inverno" 1511): spese per i rifornimenti fino a Bellinzona e durante
la marci con itinerario Berna - Lenzburg -Uri (poi solo le date) e ritorno
(UP 66, no.17).
· 1512. Contabilità del capitano Burkhard von Erlach per
la cosiddetta "spedizione di Pavia", 1512: spese di primo equipaggiamento
e durante la marcia Berna - Zurigo - Coira - Engadina - Trento - Verona - Pavia - Alessandria.
Pubblicato (però solo un terzo circa delle annotazioni e senza
evidenziare le parti omesse) da von Rodt (come in no.17), pp.242 sgg.
(B II 319 no.14).
· 1512. Contabilità del provveditore dell'arsenale Hans
Augsburger per la cosiddetta "spedizione di pavia", 1512: spese
per il trasporto di cannoni con itinerario Berna - Zurigo - Coira - Engadina - Trento - Verona - Pavia - Alessandria - Ivrea - Aosta - Gran
San Bernardo - Vevey - Friburgo - Berna. Pubblicato da Walser (come in n.17),
pp.265-268 (UP 16 no.32).
· 1515. Contabilità (senza data) probabilmente del maestro
dei cannoni (cfr. spese per i calcatoi, per il trasporto dei cannoni sul
lago di Ginevra) in occasione della seconda spedizione 1515 (partenza
da Berna 23 giugno;): spese durante la marcia con itinerario Berna - Friburgo - Aigle - Gran
San Bernardo - Aosta - Ivrea ecc. in direzione Pinerolo (UP 16 no.392)
· 1515. Contabilità del provveditore dell'arsenale, tra
l'altro per la prima o la seconda spedizione del 1515. Menziona "Asinus
il cannoniere", con le spese per il fabbisogno dell'artiglieria ("fondere
le palle di cannone, depurare il salnitro"), per resina, pece, pale
da polvere, traliccio per sacchi con le palle di cannone, ecc., come pure
con le spese "per varcare il San Bernardo e verso Yverdon" (UP
22 no.76).
· 1515. Contabilità del capitano Jakob von Wattenwyl per
la "terza spedizione in Lombardia", dal 21 agosto 1515: spese
di primo equipaggiamento (scodelle, torce, sale, spezie, corde, grasso
per carri, ecc.) e durante la marcia con itinerario St.Beaten - Interlaken - Hasli - passo
del Grimsel - (Ober)gesteln - passo del Gries - Domodossola (molteplici annotazioni
fino al 12 settembre, con esplicita menzione di un contingente dell'Aargau)
Sempione - Visp - passo della Gemmi - Kandersteg - Berna (UP 66 no.57).
Tali conti, che di norma documentano le spese del capitano e del suo stato
maggiore, del furiere o del provveditore dell'arsenale, sono stati utilizzati
da sempre per ricostruire l'itinerario che, per via delle annotazioni
quotidiane, si rispecchia fedelmente in essi. E così anche nel
1512: "Spesi martedì a Müstair, per la cena, nel monastero
(Müstair, 18 maggio 1512) 5 fiorini e 15 "kreuzer"…;
spesi mercoledì a Glorenza (19 maggio), sull'Adige, per la prima
colazione…; a Silandro sull'Adige…; a Merano…; a Trento…;
a Rovereto…; nei boschi veronesi" ecc.
Le circostanze particolari di una marcia alpina si riflettono in spese
specifiche: ogni salita impegnativa si ripercuote nella lista spese in
quanto, per esempio, richiede ulteriori cavalli da tiro per il trasporto
dei cannoni: "Paga per portare i cannoni da Bergün, varcando
la montagna, verso Zuoz nell'Engadina" (la salita cioè del
valico dell'Albula tra Bergün e Zuoz); quattro giorni (da sabato
a martedì) per il passaggio vero e proprio delle Alpi, circa 125
km da Coira a Müstair attraverso il valico dell'Albula e il passo
del Fuorn, una buona media considerando il trasporto dei cannoni! E sempre
di nuovo le spese per le guide delle bestie da soma che accompagnavano
l'esercito da Coira fino ad Alessandria: "hanno consumato…;
per ogni cavallo 6 "kreuzer" al giorno; per ferrare i loro cavalli".
Da questi conti si desumono inoltre tutti i mestieri coinvolti nell'equipaggiamento
e nel rifornimento di una tale spedizione: pagamenti effettuati "al
funaiolo per la corda", "al fabbro per la ferratura dei cavalli",
"al bottaio per fare le botti da soma e i barili", "all'oste
Dalla Cicogna", "al sellaio…", "al carraio".
Oppure, come viene formulato nitidamente, con parole di fresco conio,
nelle carte contabili relative alla spedizione di Digione del 1513: somme
"le quali abbiamo consumato fabbricando, sellando e carrando".
E anche al più antico mestiere del mondo spettava la sua parte:
pagamento per le prostitute al momento del congedo ad Alessandria.
Durante la marcia di ritorno del 1512 - partenza da Alessandria il 24
luglio - vediamo i Bernesi diretti, passando per la Val Padana, verso
Nord per la Val d'Aosta, con ripetute soste in piccole città oppure,
strada facendo, nell'aperta campagna ("...presso una singola casa
spese tre libr. Per il mangiare, ...presso un mulino..."). All'imbocco
della Val d'Aosta s'imbattono, ai piedi del Montjovet, nella prima salita
impegnativa, che fa lievitare subito la spesa. "Ai garzoni che ci
aiutano a passare la montagna, che si chiama Monschuwett". Essi prendono
il ponte romano di Pont-Saint-Martin, poi ad Aosta girano a destra in
direzione Gran San Bernardo, di nuovo con ulteriori spese per un aiuto
aggiuntivo: libr.26 ½ "per i garzoni che ci hanno dato una
mano per passare la montagna con i fucili".
Durante la sosta, nell'ospizio del valico, "sul San Bernardo nel
monastero", fu consumato, come si può dedurre dal prezzo di
2 libr. E 8 soldi, solo un modesto spuntino. Cosa si potesse mangiare
lassù e quale fosse l'aspetto del locale per gli ospiti di passaggio,
può essere ricostruito, con precisione, sulla base di inventari
e conti tardomedievali dell'ospizio. Questa cosiddetta "stupha",
cioè il locale riscaldato, così importante a quell'altezza
(quota 2473 m!) in tutte le stagioni anche per i viaggiatori, era predisposta
per grandi affluenze (una volta furono acquistate, con unica ordinazione,
quattro dozzine di sedie, "pro emptione III duodenarum postium pro
stupha"). Dietro alle finestre ricoperte di carta (come risulta da
un pagamento "pro duobus quaternis papiri pro fenetris stuphe Montis
Jovis") i viaggiatori si riunivano intorno a un grande tavolo di
noce, "mensa magna nemoris nucis", seduti su sedie e su cassapanche,
dotate di serratura e rivestite di ferro, e sotto un candelabro pendente,
"unum candelabrum pendentem".
Poi scendono, via Bourg St. Pierre e Sembrancher, nel Vallese inferiore,
e dopo aver attraversato il lago di Ginevra da Villeneuve a Vevey, percorrono
il Vaud verso Friburgo. Ora tirano fuori dal grande "watsack",
che hanno fatto fare appositamente, pagandolo un ducato, il grande stendardo
(probabilmente lo stendardo d'onore conferito da Papa Giulio II agli Svizzeri
dopo la vittoria di Pavia) e lo fissano ad un'asta acquistata solo qui,
a Friburgo. Un'ultima sosta lungo la Sense, e poi, all'inizio di agosto,
l'entrata trionfale a Berna.
Dalle altre spedizioni i mercenari dell'Oberland saranno tornati a casa
ancora più rapidamente: la marcia di ritorno delle terza spedizione
1515 passava, come risulta dal libro delle uscite dello stato maggiore,
per i valichi del Sempione e della Gemmi, e portava dunque direttamente
a casa. In quest'occasione, per passare la Gemmi, bastava un solo giorno:
"al mattino della domenica ancora a Leukerbad", ma già
"a Kandersteg la domenica sera". Con questa spedizione, poco
decorosa, non si erano assentati a lungo e probabilmente non avevano ancora
consumato i 22 formaggi portati dall'Hasli per i valichi del Grimsel e
del Gries: partenza in direzione Italia a fine agosto, inizio della marcia
di ritorno a Domodossola il 13 settembre, con arrivo a Frutigen la sera
del 16 settembre.
Dai libri delle uscite di altre spedizioni risultano ancora più
chiaramente le difficoltà di un attraversamento delle Alpi, come
ad esempio quello effettuato, pochi mesi prima della spedizione di Pavia,
in occasione della cosiddetta "spedizione del rigido inverno"
del 1511. Gli Svizzeri verso la fine dell'anno, a causa dell'assassinio
di due inviati ufficiali da parte delle forze di occupazione francesi
a Lugano, si spinsero fino alle porte di Milano, allarmando, per il corso
caotico della spedizione e per tanti orrori di guerra, tutta l'Italia
settentrionale. Passare due volte per il Gottardo in pieno inverno (infatti
a Natale erano di nuovo ad Airolo: "consumato lo spuntino il giorno
di Natale ad Airolo..."), non era un divertimento, come dimostrano
i conti del capitano e del furiere responsabile per i rifornimenti. Senza
contare i pericoli inerenti a un tale attraversamento delle Alpi, durante
il quale poteva succedere di tutto, come a quel mercenario svizzero di
fine Cinquecento, recentemente riapparso con le membra disaggregate, ma
con tanto di armi e monete, dal ghiacciaio del valico del Teòdulo.
Il gelo rendeva difficoltoso il viaggio con la nave sul lago dei Quattro
Cantoni ("quelli che per il gelo sono approdati con la nave alle
sponde del lago di Lucerna..."); poi il valico doveva prima essere
reso praticabile, per alcuni tratti, dagli abitanti del luogo ("a
quelli di Unseren, per liberare la strada: 6 libr. 3 batzen"). Siamo
a conoscenza di queste complicazioni appunto perchè avevano causato
spese aggiuntive.
Anche i rifornimenti dovevano poi passare per il Gottardo tutto innevato:
portare 74 sacchi di farina e 66 sacchi d'avena da Uri a Bellinzona, risultava
quindi caro, con 110 libr. Per le some. Ogni servizio pagato fu registrato
con precisione: per chi selezionava le palle di cannone; per il corriere
che recapitava le missive a Berna; per chi portava l'alabarda del capitano;
per i servizi relativi ai rifornimenti, "a un garzone che ha dato
una mano per insaccare la farina".
Anche durante questa spedizione del 1511, una buona parte di formaggio
non venne consumata, ritornò dunque per i valichi alpini; non da
ultimo, probabilmente, per via dei forti saccheggi effettuati nell'Italia
settentrionale (per il pane, nel paese nemico, fu spesa una somma minima);
e passò così nei libri contabili dal lato del dare a quello
dell'avere: "In tal modo ho incassato per il burro avanzato 28 batzen;
per una forma di formaggio, avanzata e venduta, 8 batzen".
Se in questi casi i conti varcarono, per così dire, le Alpi con
le truppe, altri libri delle uscite, che permettono di avere notizie sulla
stessa mrcia, restarono sul posto: il conto del sindaco (Amman) della
vallata di Unseren ci conferma, con le sue spese per il vino d'onore distribuito
ai drappelli di passaggio, che erano tanti i mercenari svizzeri, diretti
in Italia, che passarono per il Gottardo: "...perchè volevano
raggiungere il re (di Francia); ai drappelli quando si marciava verso
Locarno; a causa dei cannoni".
Anche in occasione della spedizione di Bellinzona del 1503, i rifornimenti
bernesi presero la via del Gottardo. Peter Schaffer, che era il responsabile
per il passaporto, rimaneva qualche volta indietro, come si può
desumere dalle sue carte contabili ("Ho mangiato ad Uri perchè
sono rimasto là"), per ricongiungersi poi alla truppa: "quando
da Uri cavalcavo dietro verso Airolo, e sono rimasto 3 ½ giorni
sul valico", consumato 3 fiorini, "consumato sul Gottadro",
dice una corrispondente annotazione isolata, sul risvolto. Ci piacerebbe
vederlo lassù, sul valico innevato, non importa cosa lo abbia trattenuto
così a lungo, se il tempo (siamo a fine marzo) o l'incarico: n
ogni caso è lui personalmente a condurre il piccolo drappello di
rifornimento all'accampamento: "quando ho condotto le 4 some all'accampamento".
Le quattro guide delle bestie da soma, prese in servizio, portarono i
rifornimenti via Airolo a Bellinzona e il trasporto venne a costare 4
fiorini renani.
Per il tesoriere non era ovviamente facile, nell'ambito di tali spedizioni,
orientarsi tra le diverse valute e distinguere, convertire e contabilizzare
correttamente la grande varietà di monete. Tra le carte di una
di queste spedizioni si trova un'annotazione casuale, che dà un'idea
di tali difficoltà. Da una parte dovevano essere registrati i sacchetti
con il loro contenuto: "un sacchetto contiene 7 fiorini, 17 kreuzer,
e 69 kreuzer per un fiorino fanno cento e due fiorini per sacchetto; di
sacchetti ce ne sono 14; ...uno dei sacchetti contiene 7 fiorini e non
di più". Dall'altra parte dovevano essere separatamente elencate
le diverse monete portate con sé, fissando le parità: "tre
corone per 4 fiorini, fa di cento fiorini, 75 corone"; senza peraltro
perdere il controllo sull'insieme, "fanno3 mila e 3 fiorini e 26
kreuzer". Sarebbe molto interessante analizzare più da vicino
l'aspetto finanziario di queste spedizioni, approfondendo in tale contesto
la questione se e in quale misura ci si servisse, durante queste imprese,
anche del trasferimento valutario senza contanti, per mezzo di accreditamento
o di assegno.
Impariamo dunque a conoscere, attraverso questi conti, le spedizioni italiane
e le marce di ritorno attraverso le Alpi in tutta la loro quotidianità,
dal banchetto d'addio a Berna ("Partendo, abbiamo mangiato dalla
[corporazione dei] Niedergerbern; all'oste Dal Tiratore... quando volevamo
partire"), fino al primo pasto di nuovo a casa ("A Berna presso
[la corporazione] degli Oberpfistern nella notte in cui siamo arrivati;
all'oste Zum Distelzwang").
Erano dunque di nuovo a casa, ma molti erano cambiati. Alcuni non recuperarono
più il ritmo operoso della vita quotidiana, diventarono invece
banditi e briganti, continuando, come risulta dagli atti giudiziari di
quegli anni, a vivere in patria le esperienze delle guerre italiane. Altri,
con la loro individuale decisione di partecipare alla guerra, sfidando
il divieto delle autorità e nonostante tutti i dubbi espressi dalla
famiglia, si erano allontanati dai loro genitori. I conflitti generazionali
esplodevano in questo contesto con estrema violenza, come quello tra Hetzel
padre e figlio. Ne siamo al corrente per via del loro carteggio epistolare
conservatosi solo perchè, a causa della morte violenta del padre
(fu linciato, nel 1513, dai contadini in rivolta per i peccati politici
del figlio), le lettere sono finite tra gli atti istruttori del consiglio
di Berna: "Tu hai consegnato alla morte tuo padre, come Giuda ha
consegnato alla morte Dio [...] E' stato tirato sotto tortura, sicchè
dopo era più lungo, nella misura di un piede, di quant'è
normalmente. [...] Che il diavolo ti avesse rotto il collo già
da un pezzo! [...] Non dovrai mai più chiamarmi madre [...], anche
se dovessi darmi all'accattonaggio", gli scrive la madre. Che "tua
madre ti avesse annegato facendoti il primo bagno", scrive il padre
aggiungendo ulteriori maledizioni di una veemenza che ricorda il Vecchio
Testamento. La frattura tra le generazioni, sentita in modo molto forte
all'epoca, ha trovato la sua espressione nella rappresentazione teatrale,
nelle immagini e negli annali di quel periodo e soprattutto come confronto
tra Svizzeri vecchi e giovani.
Il bilancio umano di tali spedizioni era spaventoso anche per le perdite,
in particolare dopo le grandi sconfitte di Melegnano-Marignano 1515, Bicocca
1522, Pavia 1525. Andando oltre le affermazioni generiche, oltre il rapido
accenno degli storici alle migliaia di morti e invalidi, seguiamo di nuovo
il piccolo destino individuale. Così troviamo ad esempio l'appunto
del bernese Hans Frisching sulla morte del figlio Ludwig - a soli 14 anni
- nella battaglia di Melegnano; nell'intimità del diario di famiglia,
non destinato al pubblico, il padre annota con sdegno: "il venerdì,
il giorno della Santa Croce in autunno, è morto, colpito da uno
sparo attraverso tutt'e due le cosce il nostro sopra menzionato figlio
Ludwig, nella infame battaglia di Milano, provocata dall'infame malfattore,
assassino e traditore, il vescovo del Vallese [il cardinale Matthäus
Schinner] e dai suoi seguaci. Che Dio non perdoni mai loro tale misfatto.
E all'ora della sua misera morte contava 14 anni, 15 settimane e un giorno".
Oppure sentiamo la moglie di un disperso di Erlach, il quale, come mercenario,
"era partito tre anni fa per le Puglie e di cui si dice che sia morto";
essa ora chiede al Consiglio il permesso "di prendersi un altro"
per marito.
Le guerre milanesi, le esperienze individuali di quel periodo, intaccavano
la sostanza della Confederazione; ebbene, il cronista bernese Valerius
Anshelm non finisce mai di asserirlo e documentarlo: "Così
l'Italia ha largamente macinato e consumato il vecchio nucleo di una Confederazione..."
Così come i contadini, nel 1513, non tolleravano più la
politica del Consiglio e contestavano con veemenza a "Lor Signori"
la svendita dei loro sudditi su quel bancone da macellaio che era la guerra
- un'immagine molto diffusa all'epoca -, allo stesso modo possiamo supporre
un cambiamento anche nei mercenari dell'Oberland che ora tornavano dall'Italia.
Non necessariamente essi desideravano la pace, infatti dopo questi successi
forse aspiravano più che mai a essere impegnati nuovamente sullo
scacchiere italiano. Non necessariamente giudicavano in modo più
corretto la situazione politica italiana: come avrebbero potuto, rinchiusi
com'erano nel cameratismo di una truppa combattente? Di certo, però
riuscivano a esprimere più chiaramente di prima una propria opinione.
Un'occasione per farlo era data dalle cosiddette consultazioni ufficiali
(Ämterbefragungen), attuate dal Consiglio bernese, soprattutto nel
periodo delle guerre milanesi, per sondare l'umore nel paese. Le risposte,
conservate nello stesso fondo "Unnütze Papiere" dell'Archivio
di Stato di Berna, rappresentano una fonte straordinaria e ci offrono
la possibilità di afferrare il processo attraverso cui si formava
l'opinione politica negli strati bassi della società. Dunque i
comuni rurali del Simmental, del Frutigen, dell'Hasli si riunivano in
assemblea nei consueti luoghi per esprimersi corporativamente su questi
problemi: se Berna dovesse intraprendere la spedizione di Pavia (1512);
se Berna dovesse accettare l'offerta di pace da parte francese (1513)
o rinnovare l'alleanza con il Papa (1513). Ciò significava in concreto:
quanto importante è Milano per noi? Qual'è la nostra posizione
tra l'Imperatore, il Papa e la Francia? In quelle circostanze difficilmente
si può pensare che i vari Hans, Peter e Cristan, tornati dalla
guerra, non avessero una loro opinione su temi sperimentati sulla propria
pelle: non avranno accettato, senza commento, i primi voti-guida da parte
della "rispettibilità", cioè del ceto superiore
dei contadini! Proprio le risolute prese di posizione contro il mercenariato
e le pensioni da un lato, e l'effettivo mercenariato di massa dall'alto,
rivelano l'esistenza di tensioni interne.
D'altra parte quelli che avevano partecipato alle guerre milanesi avranno
avuto un peso, in tali assemblee, nel processo formativo delle opinioni:
erano convinti di conoscere i problemi sui quali Berna chiedeva ora un
giudizio; avevano visto Lugano, la cui annessione era ora in discussione;
conoscevano di persona i capi, la cui punizione si invocava ora. I cittadini
di Frutigen si riferiscono nella loro risposta espressamente a "soldati
che di recente sono venuti da Milano e hanno cognizione di causa".
E questi reduci di guerra non erano solo garzoni di stalla scappati (ovviamente
vi furono anche quelli che "sono andati via dai loro padroni, dalle
loro mucche e dalle loro stalle", come osserva l'Obersimmental in
una sua risposta): molti di essi occupavano una posizione sociale che
li legittimava senz'altro a partecipare a queste assemblee.
Che questi comuni rurali, diversamente dal governo a Berna, si rivolgessero
più ancora contro le pensioni che non contro il mercenariato, era
comprensibile in uomini che rischiavano la propria pelle (e non quella
dei sudditi) e che avevano temuto per lo stipendio, ridicolmente basso
in confronto anche alla più modesta pensione francese. Nelle risposte
traspare inoltre l'animosità della campagna contro la città:
sono proprio gli stessi Bernesi a non rispettare il divieto di mercenariato,
s'indigna l'Hasli; per piacere, parlate voi stessi con i vostri junker
nella città: ognuno di essi diventa capitano e poi ci porta via
i nostri omini, affermano i contadini di Aeschi; se non vi sentite abbastanza
forti per una tale milizia, vi aiuteremo volentieri, si offrono sarcasticamente
Büren e Seftigen (e non si potrebbe denunciare in modo più
chiaro la perdita di autorità da parte di un governo che contemporaneamente
dirige e proibisce il servizio mercenario). Vedendo le parole franche
e consapevoli, scelte per le risposte al governo, possiamo immaginarci
quale fosse il linguaggio adoperato nelle assemblee stesse!
Cogliamo in questa straordinaria fonte delle consultazioni ufficiali,
per così dire, la stoffa di cui erano fatti i 300 mercenari dell'Oberland,
partecipanti alla spedizione di Pavia. Alcuni di essi saranno intervenuti,
tornati dalla guerra, in tutte le assemblee successive (nove interpellanze
nel solo anno 1513; non ne conseguirà tuttavia un ordinamento basato
sugli stati provinciali, come il ceto dirigente della città ora
temeva), esprimendo in termini precisi e vivaci quello che pensava l'uomo
della strada dei problemi politici dell'epoca: qui li sentiamo parlare
direttamente, anche se in maniera collettiva!
Per le spedizioni italiane spesso erano stati reclutati nelle osterie.
E nelle osterie, nei luoghi di riunione delle corporazioni, si erano rinfacciati
le loro rispettive opinioni politiche e ciò spesso significava
semplicemente: arruolarsi da una parte oppure dall'altra. Un bernese dichiara
durante la cena nell'osteria "Dal Fabbro" di preferire il re
romano, cioè tedesco, al re francese, perchè ogni giorno
si pregava per lui nella messa, e inoltre il re romano non avrebbe fatto
perdere l'onore a tanti confederati, come invece aveva fatto quello francese;
tanto bastava per dar luogo a una baruffa scatenata. E nelle trattorie,
attraverso le cui porte spalancate erano state gridate le prime notizie
sulla vittoria o sulla disfatta, gli uomini raccontavano dopo il ritorno
le loro esperienze di guerra fatte in Italia, come a Interlaken, dove
un soldato, creduto morto, durante la cena riferì sulla catastrofe
di Marignano, alla quale era scampato poco tempo prima, e maledisse il
cardinale Schinner davanti ai presenti. C'era molto da raccontare, c'erano
cose inaudite da descrivere, atti eroici da gustare. Chi per una volta
aveva visto, stupefatto, 18.000 corone su un tavolo, ne avrà probabilmente
parlato ripetutamente. Si evocarono episodi minori, come quelli in cui
il narratore aveva visto puntati su di sé, per un attimo, gli occhi
dei suoi compagni: ad esempio, "quando quelli là volevano
ricorrere alle scale d'assalto per intimidire gli assediati, non riuscii
a trattenermi. 'Potete risparmiarvi il lavoro', dissi, 'abbiamo qui un
commilitone di Friburgo con il viso e le mani bruciate in modo tale da
non avere più niente di umano; basta che lo portiate davanti al
castello con il suo volto da spauracchio, e loro già si spaventeranno
assai", e simili fanfaronate. Nelle trattorie ora giravano, e venivano
esaminate, le monete straniere.
Il confronto delle spedizioni del 1510, 1511, 1512, 1513, 1515; il comportamento
coraggioso dei confederati a Novara nel 1513; la condotta equivoca dei
bernesi a Marignano nel 1515: tutto ciò sarà stato una fonte
inesauribile di conversazione. "Che in fondo tutti quelli presenti
a Novara dovrebbero essere fatti cavalieri", e che durante l'assedio
non chiudevano nemmeno le porte della città: sono parole che appartengono
a tali - sempre ripetuti - elogi, come fa supporre il cronista Fridolin
Sicher di San Gallo. Leggendo piccole cronache locali come quella di Fridolin
Bäldi di Glarus si ha la sensazione che queste siano state scritte
per intero in una siffatta prospettiva da taverna: egli vede i mercenari
- e ne risentono le sue informazioni - sempre e solo partire e ritornare.
Egli stesso partecipò, come uomo autorevole, solo più tardi
alle spedizioni italiane e si fece raccontare che la spedizione di Pavia
era stata diretta contro gli eretici! Indizio questo di quanto la propaganda
pontificia fosse presa alla lettera dall'uomo comune. Quando invece sul
piano politico gli eventi si accavallavano, come dopo la conquista di
Milano del 1512, il cronista di Glarus al momento non vedeva più
"nessun consigliere municipale qui nel borgo". Le cronache elvetiche
dell'epoca sono interessanti proprio per la loro prospettiva soggettiva,
ed è questa che interessa nel presente contesto.
E come il ricordo confortante, tanto più il ricordo autoaccusatorio
provoca eccitati discorsi da taverna, rimuginati di continuo: Marignano!
Era successo l'inconcepibile: "l'invincibile nazione", "invitta
dai tempi di Giulio Cesare", era stata sconfitta. Come sarebbe andata
la battaglia, se fosse iniziata qualche ora prima? E soprattutto: come
sarebbe andata, se i Bernesi e altri non si fossero ritirati prima? Un
tema inesauribile per i discorsi adirati e di rimprovero, giustificanti
e accusatori: in altri tempi, a Laupen e a Murten, allora sì che
ci si sarebbe comportati diversamente! Questo bilancio dei casi di solidarietà
elvetica è notevole (Laupen risaliva a ben 175 anni prima!), e
si vorrebbe sapere quali altre vette di argomentazione storica tale robusta
coscienza del passato avesse raggiunto nei concitati dibattiti da osteria.
Quando fu combattuta la battaglia di Marignano, mancavano solo nove settimane
al bicentenario della vittoria del Morgarten (1315-1515), duecento anni
senza "grave infamia e danno", come osserva il combattente Werner
Steiner di Zug. A prima vista ciò sembra, con tutta la sua precisione,
un calcolo postumo; la curiosa istituzione degli anniversari delle battaglie
(Schachttjabrzeiten) avrà tuttavia riportato in mente agli Svizzeri
tali date con una forza che oggi non ci immaginiamo. Perciò è
possibile che, dopo Melegnano, si ragionasse effettivamente su periodi
così estesi. E inoltre si parlava dei destini di singoli individui
con i quali ci si era seduti ancora poco prima allo stesso tavolo: 40
morti e dispersi solo di San Gallo, nessun villaggio nei dintorni senza
perdita, prigionieri venduti come galeotti, "uno l'ho visto con i
miei occhi perchè era riuscito a scappare".
Un epilogo. Incontriamo di nuovo, all'improvviso e insieme, alcuni dei
sopravvissuti di queste spedizioni italiane in un contesto completamente
diverso: nel 1519, in una comitiva di pellegrini su una galea veneziana
diretta a Gerusalemme! Dei 102 passeggeri almeno 18 erano Svizzeri e tra
questi Ludwig Tschudi di Glarus (che nel 1513 aveva condotto lo schieramento
di Glarus a Novara e aveva preso parte anche alla battaglia di Melegnano,
nel 1515); Melchior Zur Gilgen di Lucerna, che aveva partecipato alle
trattative con il pontefice, nel 1510, e a quelle con il re di Francia,
nel 1515; Hans Stockar di Sciaffusa (spedizione di Pavia, battaglie di
Novara e Melegnano); Werner Stein di Zug (Melegnano); Peter Falk di Friburgo,
uno dei quattro Svizzeri che, per un certo tempo, rappresentarono la Confederazione
a Milano e di cui, sopra, sono stati citati alcuni brani dalle lettere
scritte durante la spedizione di Pavia. Mancano i Bernesi, che tuttavia
presero alloggio a Venezia presso un vecchio oste di Berna. Siamo abbastanza
ben informati delle loro esperienze e delle loro sensazioni, perchè
da questa comitiva svizzera sono uscite e si sono conservate non meno
di quattro descrizioni di viaggio!
Questi Svizzeri si erano conosciuti in diverse spedizioni italiane e avevano
visto, come teatro di guerra, quei luoghi che ora riscoprivano da turisti:
Milano, dove Peter Falk, l'evidente organizzatore del viaggio, "un
uomo spiritoso che sa la lingua tedesca, italiana e latina", un tempo
era stato potente alla corte dello Sforza, ma ora anche il luogotenente
francese manda loro regali; e Venezia, dove Peter Falk, quale inviato
svizzero, aveva trattato con il doge. Quando un subalterno veneziano ora
si era permesso di ricordare agli Svizzeri alcuni fatti spiacevoli del
recente passato, "gli svizzeri sono sleali e non giovano a nessuno,
questo si trova senz'altro nelle cronache", essi intervennero subito,
e con successo, nelle alte sfere.
E furono anche riconosciuti: sull'isola di Cipro incontrarono un nobile
che aveva prestato servizio a Milano e che ora si dimostrava riconoscente;
incontrarono un mercenario svizzero ("egli mi si gettò al
collo piangendo di gioia per avermi trovato") che riscattarono dai
servizi veneziani insieme ad altri compaesani, dietro loro pressante richiesta,
e li ricondussero a caro prezzo in patria. Non si saranno stupiti neanche
quando il capitano della galea, subito dopo aver avvistato dei pirati,
si rivolse innanzitutto ai suoi passeggeri svizzeri ricordando la loro
lodata esperienza guerresca. Ed essi non se lo fecero ripetere due volte:
"Ci piacque moltissimo. Ne avevamo voglia..."; il racconto dello
stesso Zur Gilgen, per il resto assai laconico, si fa prolisso in questo
contesto. Essi sapevano il da farsi: elessero subito un capitano e un
cannoniere, mandarono gli altri passeggeri sotto coperta, presero le armi,
di cui avevano sentito a lungo la mancanza, poiché in Terra Santa,
come pellegrini, non avevano armi per potersi difendere dagli attacchi,
si avvolsero, in mancanza di meglio, in materassi, e cantando si prepararono
alla battaglia. E quando alcuni di loro morirono non per mano dei pirati,
ma in seguito a un'epidemia, non permisero al capitano della nave di ordinare,
come per "le altre nazioni", di buttare in acqua i loro morti
Peter Falk e Melchior Zur Gilgen), ma li rimorchiarono in una scialuppa,
per seppellirli in terra cristiana; e il comandante della nave, con molto
rispetto, non vietò loro ciò che sicuramente avrebbe proibito
ad altri.
Tale partecipazione ai destini individuali, raccontati con "le lacrime
agli occhi" dai mercenari (Svizzeri e Tedeschi meridionali) incontrati
all'estero, difficilmente si trova in altri rapporti di viaggio, se non
in quelli di questo gruppo, che aveva fatto l'esperienza della guerra
e del cameratismo. Questi mercenari e lanzichenecchi avevano iniziato
il loro servizio nell'Italia settentrionale, ora si trovavano già
nel Medio Oriente. E proprio in questi anni il loro orizzonte si allargò
con tale potenza esplosiva da abbracciare, in poco tempo, tutto il mondo,
soprattutto con le scoperte dei Portoghesi e degli Spagnoli, che rinfocolavano
la domanda di mercenari. A questa nuova situazione sembra già alludere
quella profezia fatta nel piccolo centro di la Neuveville nei pressi di
Berna: "La sorte dei navigatori verso oriente e mezzogiorno diventa
propizia". Si dimentica troppo facilmente che coloro che all'epoca
partivano per conquistare il mondo, spesso già avevano fatto la
guerra in Italia, che coloro che distrussero il regno degli Incas, già
avevano contribuito nel 1527 a saccheggiare la Roma rinascimentale.
Nella tarda estate del 1520 il Consiglio di Berna ricevette una missiva
da parte dell'incaricato d'affari portoghese a Roma, con cui lo si informava
che un suddito bernese al servizio del Portogallo, probabilmente un mercenario,
era morto in India e che gli eredi potevano farsi consegnare il suo lascito
in un ospedale di Lisbona.
Vasco de Gama non era ancora morto e già spuntava un bernese in
India! Non molto tempo prima, per i Bernesi al servizio di stranieri,
l'attraversamento delle Alpi aveva costituito la grande sfida: ora per
tutti si aprivano le vie del mare verso il mondo intero.
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