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La Battaglia sui libri

Siegfried Frey

Le guerre milanesi.
La campagna del 1515
Battaglia di Marignano

quarto capitolo, da "Storia
Militare Svizzera" compilata
per incarico del Capo dello
Stato Maggiore Generale,
Sprecher v. Bernegg,
Colonnello-Comandante di
Corpo, da Storici svizzeri
sotto la direzione del
Colonnello M. Feldmann e
del Capitano H.G. Wirz.
2° fascicolo, Berna 1936.
Editore: Commissariato
centrale di guerra
(Intendenza degli stampati).
In deposito presso
A.Arnold, libreria, Lugano.
Edizione italiana del capitano
Celestino Trezzini.
Tipografia Bentelli S.A.
Bumpliz-Berna

Epilogo
Dopo la ritirata di Marignano, nella Confederazione non si volle ammettere la sconfitta. Il 24 settembre la Dieta di Lucerna ordinò la messa di picchetto di 30.000 uomini, di 22.000 dei quali si fece immediatamente la ripartizione. Siccome poi si temeva per i possessi del Ticino meridionale, contemporaneamente la Dieta decise che ogni cantone mandasse 10 uomini a Lugano e 20 a Locarno, in rinforzo di quelle guarnigioni. Tutti questi contingenti dovevano trovarsi riuniti il 4 ottobre a Bellinzona. Uri e Svitto furono incaricati di fornire un certo numero di buoi con formaggio e ricotta per il vettovagliamento. Berna, Friburgo e Soletta ebbero l'ordine di lasciare a Domodossola i loro contingenti, che si trovavano ancora colà. Ma di tutte queste decisioni non vennero eseguite se non quelle che riguardavano Lugano e Locarno, mentre la grande leva ordinata dalla Dieta non ebbe più bisogno di muoversi.
Le misure di protezione prese in favore del Ticino meridionale si rivelarono come assai necessarie. Giacchè alla fine di settembre, prima ancora che i rinforzi previsti si fossero riuniti, un corpo francese di 6.000 uomini si avanzò dalla linea della Tresa per impadronirsi di Lugano, di Locarno e possibilmente anche di Bellinzona. Il primo obbiettivo dell'attacco era Lugano. Il borgo fu preso e la guarnigione dovette rifugiarsi nel castello. In seguito i Francesi si diressero su Locarno, che saccheggiarono il 1° ottobre. Ciò fatto, essi si mossero contro Bellinzona.
All'annuncio di questi avvenimenti minacciosi, la Dieta di Lucerna decise il 4 ottobre non già di spedire nel Ticino l'intero esercito di 22.000 uomini previsto il 24 settembre, ma che Uri, Svitto ed Unterwalden vi mandassero i loro contingenti regolari. Ma già in antecedenza questi cantoni gottardisti avevano fissata la partenza delle loro truppe al giorno stesso della seduta. La Dieta decise allora che ogni cantone dovesse aggiungere 50 uomini per la difesa di Bellinzona.
Frattanto a Milano era stato messo il punto finale alla tragedia di Marignano. Il 5 ottobre il duca Massimiliano consegnava il castello nelle mani degli assedianti, contro la volontà della guarnigione confederata, come egli stesso lo ebbe a certificare l'8 ottobre con documento notarile. L'11 ottobre le truppe della guarnigione svizzera arrivavano a Bellinzona con tutti i feriti capaci di fare la via.
Dal 12 al 14 ottobre i cantoni di Uri, Svitto ed Uterwalden risolvettero di mettere in campo tutte le loro forze colle rispettive bandiere cantonali, quando cioè ricevettero la notizia che i Francesi, dopo la resa del castello di Milano, concentravano nuove truppe sui confini settentrionali del ducato allo scopo di strappare ai Confederati i loro possessi meridionali. Il 17 ottobre, alcuni distaccamenti di queste truppe della Svizzera primitiva giungevano a Bellinzona ed immediatamente un centinaio di uomini agli ordini del nidwaldese Arnoldo di Winkelried partiva per Lugano in aiuto di quella guarnigione minacciata. Questo drappello giunse proprio all'ultimo momento utile. Infatti, la guarnigione assediata era già in procinto di cedere ai Francesi il castello di Lugano contro il pagamento di 6.000 scudi e di tre mesi di soldo. Entro il 24 ottobre arrivarono anche alcuni dei gruppi di 50 uomini, che i cantoni dovevano fornitre, ossia quelli di Glarona, Berna, Friburgo, Soletta, Basilea ed Appenzello. Saputo di questi rinforzi, i Francesi si ritirarono nuovamente nel ducato. Così fu stornato il pericolo, che correvano i territori meridionali del Ticino.
L'intervento energico dei Confederati, soprattutto la tenacia dei cantoni primitivi, aveva saputo conservare i possessi meridionali del Ticino. Invece andò perduto per la Svizzera il settore subalpino posto a ponente degli stessi, ossia la Val d'Ossola. La Dieta di Lucerna del 24 settembre aveva contato sulla presenza in Domodossola di 250 uomini pronti a difendere quella piazza. In realtà, la guarnigione non contava se non una trentina di soldati, che per giunta difettavano di viveri. I cantoni occidentali, che erano stati incaricati della difesa di Domodossola, mostrarono di far ben poco caso di questa importante missione. Dopo la resa del castello di Milano, reparti di lanzichenecchi sul punto di essere licenziati si diressero su Domodossola. La mancanza di chiaroveggenza sull'importanza, che questa vallata aveva per la Confederazione, e le manovre proditorie del bernese Giovanni di Diesbach fecero si che Domodossola e tutta l'Ossola andassero per sempre perdute per la Svizzera.
Prima ancora che questi ultimi avvenimenti suggellassero definitivamente la battaglia di Marignano, il re di Francia, colla mediazione della Savoia, aveva tentato di entrare in trattative di pace coi Confederati. Il 7 novembre 1515 si giunse a Ginevra ad un progetto di trattato, che nelle parti essenziali riproduceva gli accordi di Gallarate. Esso prevedeva in più un'alleanza degli Svizzeri colla corona francese, in virtù della quale il re poteva levare soldati nella Confederazione, nel caso che i suoi territori in Francia o in Lombardia venissero minacciati. Quest'alleanza, che implicava il riconoscimento della dominazione francese nell'alta Italia, incontrò l'opposizione di quei cantoni, che fino allora erano stati l'anima della politica antifrancese.
La discordia sorta fra i cantoni confederati a proposito della pace colla Francia e il lavorio fatto dagli avversari di Francesco I per trascinare nella primavera nuovamente gli Svizzeri contro la corona francese, crearono nella primavera del 1516 una situazione sommamente pericolosa. L'imperatore riuscì ad arruolare con danaro inglese 15.000 uomini dei cantoni antifrancesi di Zurigo, Basilea, Sciaffusa, Uri e Svitto. Coi volontari della Turgovia e dei Grigioni o venuti dagli ambienti antifrancesi degli altri cantoni, questo esercito salì a 22.000 uomini. Queste truppe calarono in Italia nel marzo del 1516 attraverso i passi dei Grigioni e per il Tirolo. Verso la fine del mese esse arrivavano sotto le mura di Milano.
Era imminente una lotta fratricida su quel terreno già tanto bagnato di sangue confederato. Giacchè non meno di 10.000 uomini erano accorsi sotto le bandiere francesi dai cantoni francofili, specialmente da Berna e dal Vallese, il cui vescovo, fuori del proprio paese, era l'anima dell'opposizione contro la Francia. I fratelli stavano contro i fratelli. Ma lo scontro non avvenne. Per varie ragioni, tutto si ridusse ad una dimostrazione militare. Senza combattere, la maggior parte dei soldati rientrarono alle proprie case.
Gli avvenimenti compiutisi in Milano e ne' suoi dintorni radicarono nella Confederazione la persuasione che così non si poteva più continuare. La Dieta di Zurigo del 7 luglio diede ai deputati in partenza per le loro case questa istruzione: "gli uni si dicono francesi, gli altrui imperiali; questo stato di cose deve cessare e tutti devono essere unicamente dei Confederati". Le trattative continuarono allora senza interruzione. Il 27 settembre 1516 venne approvato a Friburgo il progetto di una pace generale, che fu poi firmata nella stessa città il 29 novembre dello stesso anno sotto il nome di Pace perpetua. Quale guadagno territoriale di due decenni di lotta la Pace perpetua lasciava ai Confederati ed ai Grigioni le signorie di Lugano, Locarno, Mendrisio, Valmaggia e la Valtellina con Chiavenna. L'Ossola invece rimase definitivamente perduta.
I Confederati avevano incominciata la loro politica italiana come mercenari al soldo straniero; l'avevano poi continuata per conto e con obbiettivi propri. Ora riprendevano il loro atteggiamento iniziale. A partire da questo momento, infatti, il soldato svizzero combatterà sui campi di battaglia d'Europa, ma soltanto come stipendiato. Fu così anche nell'Italia settentrionale. L'alleanza del 5 maggio 1521, conchiusa in Lucerna con Francesco I di Francia, aveva, negli anni immediatamente seguenti, dato ancora una volta ai Confederati l'occasione di mettersi in evidenza nelle grandi battaglie, che vennero combattute nell'alta Italia. Le clkausole di quel trattato mettevano a disposizione del re di Francia per le sue guerre un corpo di truppe, che andava da un minimo di 6.000 uomini ad un massimo di 16.000. In forza di quest'alleanza, le truppe mercenarie svizzere al soldo francese ebbero una parte precipua nella battaglia della Bicocca del 27 aprile 1522 e in quella di Pavia del 24 febbraio 1525. Il più schietto entusiasmo e la frenesia di battersi, veramente, non bastarono anche in queste due occasioni a dare la vittoria ai Confederati. Le due sconfitte subite al soldo della corona di Francia sono un po' la conferma del disastro di Marignano, il quale rese impossibile alla Svizzera la continuazione della sua politica di grande potenza nell'alta Italia, senza tuttavia pregiudicare la fama del valore militare della fanteria confederata.
Per quanto la sconfitta di Marignano - grave, decisiva e definitiva per gli effetti avuti - fosse la conseguenza di deficienze politiche e militari dei Confederati, ancora una volta tuttavia essa aveva messa in pienissima luce la condotta eroica di un popolo di guerrieri.
Le cause di natura militare del fallimento finale del tentativo fatto dai Confederati di fare nell'Italia settentrionale una politica autonoma di grande potenza non si possono separare con un taglio netto dalle cause politiche generali e dalle economiche. E' un groviglio inestricabile di cause e di effetti e le deficienze militari sono assai spesso unicamente il frutto di attriti politici. Questo fu il caso in modo speciale per quel che riguarda la mancanza di preparazione delle operazioni strategiche durante le campagne nell'alta Italia. Prima delle grandi operazioni o i piani mancavano affatto o, se c'erano, non vi era coerenza nella loro esecuzione. Durante le guerre di coalizione contro la Francia, il difetto stette specialmente nell'assenza di una sufficiente intesa tra i coalizzati. Ma gli stessi contingenti cantonali mancavano per lo più di direttive comuni bastantemente chiare. Però questo vezzo di abbandonarsi al caso ed all'irriflessione non si riscontra soltanto nelle combinazioni generali di natura strategica; esso si faceva sentire fino nella tattica del combattimento. Molte, troppe cose erano lasciate semplicemente al buon senso dei singoli gruppi, invece di essere regolate da stretti ordini del comando superiore.
Alle deficienze del comando faceva riscontro una assenza incredibile di disciplina. Non è possibile di sceverare esattamente qual cosa fosse più palese: se la mancanza di buone direttive o l'indisciplinatezza nell'esecuzione degli ordini ricevuti. Qui precisamente abbiamo un esempio tipico dell'influenza reciproca, che cause ed effetti ebbero tra di loro. Una cosa evidentissima, per i Confederati d'allora come per noi lontani osservatori, è l'incapacità delle truppe svizzere a sopportare pazientemente l'immobilità. Infatti, in tutti gli assedi i Confederati fecero sempre miseramente fiasco. Non potevano assolutamente soffrire di starsene inattivi davanti alle mura di una fortezza. Per questo genere di guerra essi mancavano totalmente di qualsiasi attitudine. A ciò fa riscontro l'irrefrenabile ardore bellicoso che nel tumulto della guerra s'impadroniva dei Confederati, quando si trovavano in faccia al nemico. Qui appare, in modo che non può essere più evidente, l'elemento assolutamente irrazionale della loro abitudine di battersi senza tanto riflettere. Schinner aveva saputo toccare abilmente questa corda. Meglio di qualsiasi altro egli sapeva che la caratteristica dei Confederati era di non saperla durare, ma che in compenso si scagliavano come leoni all'assalto là dove altre truppe non avrebbero osato farlo. Questo modo di fare la guerra ha qualche cosa di primitivo. E sta in perfetta consonanza con questo carattere primitivo il fatto che i Confederati tennero poco conto dei progressi della tecnica. Presso di loro, il valore personale e l'impetuosità contavano più che non l'impiego dei nuovi mezzi di combattimento. L'inferiorità dei Confederati in fatto di materiale di guerra, soprattutto in artiglieria, non proveniva tanto dalle impossibilità economiche e tecniche, quanto piuttosto dal poco conto che essi facevano dei mezzi tecnici.
Infine, fu precisamente in occasione delle guerre sui lontani campi di battaglia italiani che si fecero sentire in modo affatto particolare gli inconvenienti della struttura politica della Confederazione. Se già in patri il governo della cosa pubblica soffriva nn solo della mancanza di unità di intendimenti, ma anche delle difficoltà che s'incontravano dal punto di vista costituzionale ogni qualvolta che si trattava di prendere una decisone all'unanimità dai cantoni sovrani costituenti la Confederazione, quanto più questi inconvenienti dovevano farsi sentire laggiù nella pianura lombarda. Non ostante le frequenti comunicazioni, il contatto tra il paese e le truppe in campagna era da una parte e dall'altra deficiente. In generale poi, questo contatto non avveniva tra un'autorità politica centrale ed un esercito confederato unitario. Ordinariamente, le relazioni si producevano dai capitani ai singoli cantoni e, viceversa, da questi ai propri ufficiali sotto le armi. L'esercito rappresentava così una fedele immagine della patria. La mancanza di un piano generale, anzi le discordie sulla scelta degli obbiettivi militari e politici e l'insufficienza tecnica dei mezzi di comunicazione fecero sì che le operazioni guerresche dei Confederati in Italia fossero bene spesso semplicemente una serie di fatti casuali, più che la successione di operazioni militari coerenti.
Ciò malgrado, la gloria militare degli Svizzeri giunse allora al suo apogeo; ciò malgrado essi ottennero, per poco tempo, è vero, dei risultati sorprendenti, che stavano veramente in aperto contrasto con quanto è detto più sopra. Questa fama ed i benefici effetti politici che ne vennero, sono il frutto dello spirito di sacrificio e dell'ardore guerriero del soldato svizzero. La tattica della fanteria confederata esigeva eroismo personale e disprezzo della morte. Queste alte qualità militari erompevano sempre naturalmente ogni qualvolta le truppe confederate si trovavano in faccia al nemico; appena se lo vedevano davanti, gli piombavano addosso. L'entusiasmo, che i singoli provavano nel combattimento, l'amore irresistibile per la guerra tosto che sorgeva un'occasione di battersi, permisero alla Confederazione di fare per alcuni pochi anni la politica autonoma di una grande potenza. Il frutto di questa politica fu l'acquisto dei nostri territori meridionali, oltre la barriera delle Alpi, frutto che è sopravvissuto ai secoli. Se anche nei secoli posteriori gli acquisti meridionali non furono più, in generale, contestati alla Svizzera, lo si dovette ancora alla fama di un popolo agguerrito e valoroso, che agli occhi dell'universo i Confederati si erano acquistata nell'alta Italia.


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