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Georg
Thurer
Guido Calgari
Marignano,
fatale svolta della
politica svizzera
Alcuni fatti e alcune
riflessioni per i
giovani Confederati,
nel 450° della
battaglia 1515-1965
1965
Comitato per la celebrazione
del 450° di Marignano
Talacker 16, 8022 Zurich
Composizione, stampa e
rilegatura: Huber & Co. AG,
Frauenfeld.
Zincotipi: Schwitter AG. Zurich
Stampato in Svizzera.
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L'impresa
di Pavia, 1512
Prima della grande spedizione di Pavia, i Confederati avevano iniziato
due campagne che riuscirono disgraziate e vergognose; basterà farne
qui un rapido cenno. Nell'alleanza conclusa tra gli Svizzeri e la Santa
Sede, auspice il vescovo di Sion, i primi s'erano impegnati a fornire
seimila uomini a Giulio II°, onde combattere i nemici della Chiesa,
identificati in quel momento nei Veneziani. Nel 1510 si ebbe la rottura
aperta tra il Pontefice e il Re di Francia, mentre Venezia veniva guadagnata
alla causa di Roma, e quando l'attacco generale contro i Francesi fu pronto,
lo Schiner domandò i seimila soldati previsti dalla capitolazione.
Cominciò allora in ogni Cantone il più intenso lavorio diplomatico,
svolto dal Re di Francia e dall'Imperatore, ma in modo particolare dal
primo e con straordinaria abilità; fu una strategia di corruzione
e di esaurimento, cui corrispondeva l'impreparazione militare e finanziaria
del partito papale, che ebbe come prima conseguenza di ritardare di due
mesi l'arrivo degli Svizzeri sui campi di Lombardia. Lo svolgimento della
guerra nell'alta Italia riuscì pertanto vantaggioso a Luigi XII°
che stava rioccupando la Lombardia, e gli Svizzeri presero la via del
ritorno (settembre 1510); questa infelice spedizione si chiamò
"di Chiasso". Da ciò, sdegno del Papa, irritazione della
Dieta contro Giulio II°, risentimento di tutti contro lo Schiner,
rivolta della "decànie" superiori del Vallese, ribelli
al loro Principe-vescovo, e fuga dello Schiner a Roma, dove gli riuscì
di calmare il Pontefice, ottenendo il cappello cardinalizio e l'incarico
di nuove trattative con gli Svizzeri.
Il Re di Francia soffiava nel fuoco, chè l'alleanza con gli Svizzeri
avrebbe potuto consentirgli la conquista dell'intera Europa; dice con
la consueta sua intuizione il Guicciardini: "… Ma niuna cosa
più premeva al Re di Francia che il desiderio di riconciliarsi
gli Svizzeri, conoscendo da questo dipendere la vittoria certissima, per
l'autorità grandissima che aveva allora quella nazione, per il
terrore delle loro armi, e perché pareva che avessino cominciato
a reggersi non più come soldati mercenari né come pastori,
ma vigilando, come in repubblica bene ordinata, e come uomini uniti nell'amministrazione
degli Stati …" ("Storia d'Italia", vol. III, libro
VII). Le trattative di Luigi fallirono tuttavia un'altra volta e ciò
sopra tutto per l'irriducibile opposizione dei Cantoni primitivi. Questa
opposizione si andava estendendo anche ai Confederati del nord e dell'occidente,
con una sorda irritazione del popolo verso ciò che fosse francese
e lombardo, e crebbe in modo inaspettato quando si seppe dell'uccisione,
avvenuta per opera della guarnigione francese di Lugano, dei messaggeri
di Friburgo, Berna e Svitto. Così, verso la metà del 1511,
la Confederazione fu di nuovo in guerra contro la Francia. Si tratta della
"fredda campagna invernale" - novembre e dicembre - che culminò
in un disastro. I Francesi usarono con astuzia la loro strategia di spossamento,
attirarono gli Svizzeri nella pianura per rifugiarsi poi nelle piazzeforti;
gli alleati papali e veneziani non si lasciarono vedere; i viveri cominciarono
a mancare, e allora i Confederati si abbandonarono a rapine, incendi e
violenze d'ogni sorta; finalmente, fu la ritirata disordinata e furibonda.
Ora, tornava alla ribalta Matteo Schiner; malgrado la vittoria di Gastone
de Foix, il lunedì di pasqua del 1512, gli Svizzeri rafforzarono
l'alleanza col Papa. Per la prima volta, in molti anni, in tutto il territorio
della Confederazione ci fu unità di propositi, dal governo delle
Città ai montanari delle più remote vallate, in ogni ambiente
e in ogni classe; se ne trova un'eco in una missiva del cappellano glaronese
Ulrico Zwingli: "I Confederati ritengono che non è lecito
a ogni tiranno furioso di assalire impunemente la Madre comune dei cristiani.
Essi … intendono ristabilire per il meglio le cose della Chiesa e
dell'Italia". Diciottomila soldati furono arruolati in breve tempo,
dai passi dei Grigioni condotti in Italia e concentrati a Verona, consenziente
la Repubblica di Venezia che s'era alleata agli Svizzeri.
Da Verona partì dunque la spedizione di Pavia che in poco più
di tre settimane spazzò via i Francesi dall'Italia. Mai s'era visto
un più grande esercito di Svizzeri, né mai tanto animoso
e concorde; protetto alle spalle dai Veneziani, si spinse deciso verso
occidente; dove, come sull'Adda, mancavano i ponti, i soldati si gettarono
a nuoto reggendo sul capo l'alabarda e cacciando i nemici che tentavano
d'impedire la formazione di teste di ponte. In tutte le contrade di Lombardia
risuonò il grido di gioia della liberazione: "Giulio! Gli
Svizzeri son vincitori!". Ulrico Zwingli scriveva esultando: "Grazie
agli Svizzeri, tutta l'Italia, le coste liguri e la Lombardia sono ora
libere"; Niccolò Machiavelli, che stava in quel momento componendo
"Il Principe", definiva gli Svizzeri "armatissimi e liberissimi";
letterati di Lombardia scrivevano: "Nelle come nelle borgate e nei
villaggi echeggiano le trombe, squillano le campane". Dotti, religiosi
e predicatori esclamano dai pulpiti: "Voi siete il popolo di Dio,
voi avete umiliato i nemici della sposa di Cristo!"; il Papa saluta
i Confederati quali "Difensori della libertà della Chiesa"
e manda loro quelle preziose bandiere che ancora oggi si possono ammirare
nei musei della patria; al barone Ulrico di Hohensax, che quale pupillo
di Hans Waldmann era anche borghese di Zurigo, inviò in dono una
preziosa spada gemmata.
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