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Georg
Thurer
Guido Calgari
Marignano,
fatale svolta della
politica svizzera
Alcuni fatti e alcune
riflessioni per i
giovani Confederati,
nel 450° della
battaglia 1515-1965
1965
Comitato per la celebrazione
del 450° di Marignano
Talacker 16, 8022 Zurich
Composizione, stampa e
rilegatura: Huber & Co. AG,
Frauenfeld.
Zincotipi: Schwitter AG. Zurich
Stampato in Svizzera.
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La
questione centrale: libertà oppure potenza? Lega o imperio?
Venne dunque dall'esterno l'imposizione a cessare una politica da grande
potenza, ma essa corrispondeva anche all'interno carattere della Lega.
Sarebbe perciò errato il ragionamento di chi attribuisce all'avversità
di un crudele destino, che ha nome Marignano, il fatto per cui la Svizzera
non sia diventata una potenza europea; si deve piuttosto dire che il breve
periodo della grandezza militare fu un'avventura che contraddiceva al
carattere stesso della Confederazione; in cambio di conquiste territoriali,
gli Svizzeri smarrirono il senso del loro piccolo Stato.
La Confederazione era nata quale alleanza di minuscole e libere comunità
che si assicuravano reciprocamente certi aiuti, entro determinati limiti
e confini; verso mezzogiorno, ad esempio, i trattati di alleanza dei cantoni,
ma non di tutti, impegnavano l'aiuto sino al Monte Piottino (Plàtifer);
più a sud, si sarebbe dovuto discutere, caso per caso. La preoccupazione
fondamentale dei primi Confederati era tuttavia la libertà delle
loro vallate o delle loro città. Anche le guerre del primo secolo
d'indipendenza erano state lotte per la libertà, contro i tentativi
di assoggettamento e contro il mondo feudale. Quando gli Svizzeri presero
Zugo non lo tennero quale paese di conquista, ma se ne fecero un'alleata,
come già si è detto.
Ma cento anni dopo il Morgarten, le primitive preoccupazioni s'erano affievolite
e la saggezza d'un tempo era dimenticata; occupata l'Argrovia nel 1415,
gli Svizzeri le imposero la loro "signoria", non le concedettero
né la dignità di Stato eguale ai loro, né la possibilità
di un autogoverno. I Cantoni "signori" mandavano nei paesi di
nuova occupazione i governatori (Fogti), scelti per turno, i quali davano
scarico alla Dieta della loro amministrazione. Per una politica di dominio
ci si era dunque allontanati dai principi della Confederazione.
L'impresa d'Italia giunse come inattesa occasione di grandezza; gli Svizzeri
agirono senza dubbio saggiamente rinunciando a spezzettare la Lombardia
in tanti piccoli baliaggi - come avvenne invece nelle terre ticinesi -
e preferendo la forma del "protettorato" sul Ducato di Milano.
Ma, fosse stato il Duca uomo d'altra tempra, capace di difendersi dalla
politica aggressiva del Re di Francia, come sarebbe potuto continuare
il "protettorato"? Non sarebbe venuto il giorno della riscossa
milanese? Anche senza la disfatta di Marignano, dunque, si sarebbe giunti
un giorno o l'altro alla prova che una Confederazione di piccoli Stati
affatto autonomi non aveva la possibilità di governare un grande
territorio quale la Lombardia o, più ancora, l'Italia settentrionale;
e ciò che né il Machiavelli né il Guicciardini non
compresero, ma che aveva capito bene l'ambasciatore fiorentino Vettori.
Con la spedizione di Pavia era stato facile assoggettare tutta l'Italia
subalpina, dal Veneto a Genova; non egualmente facile a una lega di minuscole
repubbliche, con mentalità e preoccupazioni divergenti, il dirigere
politicamente e militarmente un così vasto paese. Lo provò
subito la decisione dei cantoni occidentali, guidati da Berna, di abbandonare
il Piemonte di fronte a Franceso I° e di disertare l'impresa italiana;
né forza alcuna avrebbe potuto trattenerli; in base all'alleanza
tra i cantoni ognuno interpretava a modo suo l'offerta di pace del Re
e ognuno decideva di conseguenza. In due parole, gli Svizzeri non avevano
una politica estera.
Tutt'altra cosa nello Stato unitario, in particolare nell'unità
francese rafforzata dall'assolutismo della monarchia e dalla energia di
un Re autoritario quanto intelligente; là si perseguiva una solo
politica, tenacemente con l'astuzia o con la forza, e tutte le possibilità
dello Stato venivano piegate allo scopo. I Cantoni confederati non rinunciavano
invece per nessuna cosa al mondo alla libertà di decisione, non
arrendendosi mai e per nessun motivo a uno "stato di necessità"
politica o militare. Nella condotta della guerra, lo stesso criterio:
ogni Cantone i suoi capi, e la truppa tenuta a obbedire ai sui capi e
al governo cantonale, nn ad altri. Sarebbe stato necessario in Lombardia
un esercito permanente, con un comando unico; esso avrebbe tenuto in rispetto
i Francesi anche durante l'inverno, quando i passi alpini coperti di neve
e il pericolo delle valanghe trattenevano al di là delle Alpi i
Confederati. Ma era misura addirittura inconcepibile, per gli Svizzeri
di allora.
(Solamente verso la metà del secolo scorso, con la trasformazione
della "Confederazione di Stati" in un moderno "Stato federativo",
riconobbero i Cantoni la necessità dell'unità nell'esercito
e nei comandi; da quel momento, tutta la difesa venne accentrata, con
i suoi problemi di istruzione, di armamento, di gerarchia, di mobilitazione,
di condotta operativa e di bandiera; agli stendardi dei Cantoni venne
sostituita la bandiera federale svizzera; in caso di guerra, l'unità
è ancor più salda, grazie alla nomina di un generale).
Un'altra circostanza facilitò la vittoria dei Francesi. Essi disponevano,
come già s'è detto, di numerosa artiglieria. Era l'arma
nuova, frutto delle scoperte e delle invenzioni del Rinascimento, ed era
l'arma decisiva; Marignano lo dimostrò clamorosamente. Ma per costituire
un parco d'artiglieria occorrono capitali ingenti e unità tecnica,
cose impossibili nella Confederazione d'allora, possibili invece al Re
che sapeva impegnare tutta la nazione per lo sforzo bellico in corso.
(La sopra accennata trasformazione dello Stato nel 1848 ha consentito
alla Svizzera l'unità della politica estera e l'unità costantemente
aggiornata degli armamenti. Con ciò, non si è intaccato
profondamente il principio del federalismo; i 25 piccoli Stati confederati
sono sempre la fonte della libertà che conservano quasi inalterata
nelle faccende della loro politica interna, della loro cultura, della
scuola, della polizia e in altri campi ancora. E tuttavia si deve aggiungere
che le circostanze della vita internazionale, i problemi politici ed economici
che le ripetute crisi del mondo hanno imposto alla Svizzera tendono a
limitare sempre più la sovranità dei cantoni e la stessa
libertà dei cittadini, in favore dello Stato, cioè del centralismo
economico e amministrativo).
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