La Battaglia sui libri

o

Inganni don Raffaele

Origini e vicende della
Cappella Espiatoria Francese
a Zivido, presso Melegnano
(1515-1606) (1639)


Milano, Stabilimento Tipografico
Ditta Giacomo Agnelli
nell'orfanotrofio Maschile, 1889

PARTE II - Cappella Espiatoria presso Zivido e sue vicende
Francesco i ritornato in Francia pens� di porre in esecuzione quelle promesse che fatte aveva al Dio degli eserciti poche ore prima di dar principio alla seconda lotta cogli Svizzeri; lotta che gli doveva procurare tanta gloria e tante inimicizie.
Infatti per dimostrare e la sua piet� verso Colui che d� e toglie le corone, e la sua gratitudine per essere uscito illeso e trionfante da tanti pericoli, seguito da alcuni di sua corte, si rec� a visitare la santa Sindone, che a quei tempi si venerava in apposita cappella a Chambery. (nota 39)
E certamente allora avrebbe anche dato mano a far costruire sul luogo de' suoi trionfi la votata Cappella espiatoria, sotto il titolo di Santa Maria della Vittoria, onde raccogliervi le ossa dei prodi caduti sul campo di battatglia, se Massimiliano re dei Romani, geloso per la recente e gloriosa conquista francese, non avesse colle proprie schiere invasa la Lombardia, spavaldamente minacciando di rovinare Milano (3 aprile 1516) se non gli apriva le porte.
Cessato ogni strepito di guerra per l'improvvisa fuga di Cesare (nota 40), Francesco I, coadiuvato dal Connestabile di Francia, Carlo di Borbone, allora governatore del Ducato, s'adoper� per rendere più gradito ai Milanesi il suo governo, nella convinzione di meglio consolidarlo.
Se non che, abbindolato dai troppo facili intrighi di corte, si lasci� indurre al richiamo del Connestabile (1517) per sostituirvi il Visconte di Lautrec, Odetto di Foix (cugino del celebre Gastone) (nota 41); il quale per le sue crudelt� distrusse l'opera incominciata dall'antecessore e risvegli� nei Milanesi, non solo l'odio verso Francia, ma ben anco quei sentimenti di nazionale dignit� e di amor patrio, che le avversit� politiche avevano già da tempo in essi sopito.
Pass� cos� di male in peggio tutto il restante dell'anno senza che il Re cercasse d'impedire quanto si faceva dal Lautrec; ch� anzi, prestando egli fede alle assicurazioni di perfetta tranquillit� e contentezza dei Milanesi dategli da chi aveva interesse ad ingannarlo (nota 42), si propose di dar principio alla progettata Cappella espiatoria. Scrisse egli adunque al suo intendente generale delle finanze in Lombardia, il magnifico Sebastiano Ferreris, perch� iniziasse pratiche presso i proprietari dei campi, ove due anni prima erasi svolta l'orrenda lotta più sopra descritta, e li acquistasse in nome suo, onde liberamente potesse tradurre in atto quanto aveva allora promesso su quello stesso terreno.
Obbed� sollecitamente il Ferreris al regale comando e, aperte le relative pratiche coll'illustrissima Famiglia Brivio, cui appartenevano que' terreni, convenne per l'acquisto; ed il giorno 19 gennaio dell'anno 1518 fu steso dal pubblico notaio milanese Francesco besozzo l'atto, pel quale il signor Carlo Brivio, in nome proprio, del fratello e della madre D. Lucrezia Visconti, cedeva agli agenti del cristianissimo re di Francia, Francesco I, duca di Milano, una vigna di centoventicinque pertiche detta il Santo Eusebio posta nel territorio di Zivido, pieve di S. Giuliano, Ducato di Milano, nella quale si doveva fabbricare una chiesa ed un monastero "ordinis Coelestinorum Franciae observantiae, sub titulo, seu nomine Divae Sanctae Mariae Virginis Matris Christi della Victoria, in petia infrascripta terrae vineae, ubi, et in qua, ac partibus circumstantibus, fuit de anno 1515 proxime praeterito commissum praelium seu commissa pugna inter Majestatem suam, et ejus felicissimum exercitum parte una, ac gentes exercitus D.D. Maximiliani parte altera". (nota 43)
Ultimato che fu questo atto e firmato da ambo le parti, il magnifico Sebastiano Ferreris ne trsmise notizia al Re, il quale sollecitamente ordin� che subito si principiasse la fabbrica già in massima stabilita.
Predisposta ogni cosa, si diede mano alla costruzione della chiesa e dell'attiguo monastero, come chiaramente si rileva da un motivato di causa del 1553: "Facta dicta emptione eo anno (1518) dictum Monasterium et dictam Ecclesiam sub nomine Sanctae Mariae del la Victoria inchoatum fuit constru et fabricari in dicta petia terrae…". (nota 44)
Mentre per� si lavorava alacremente all'erezione di questa chiesa destinata a tramandare ai posteri la memoria de la munificenza e della piet� del re Francesco I, si lavorava da non pochi in Lombardia, e segretamente in Milano, a minarne il dominio.
Infatti continuavano le atrocit� del Lautrec; il quale, non contento d'avere sottoposti i Milanesi ad aggravi, a tasse spietate, a proscrizioni e confische ingiuste, ricorrendo spesso anche al patibolo, giunse persino (il che suscit� fierissimo sdegno nei cittadini) a sbarazzarsi dell'oppositore suo Gian Giacomo Trivulzio, facendolo denunciare al Re quale cospiratore, col mezzo della propria sorella Contessa di Chateaubriand, donna ricca di bellezza, ma ad un tempo miserabile d'onest�. tent� il Trivulzio di scagionarsi dell'accusa, ma giunto alla corte di Francesco I, fu da costui brutalmente respinto. La qual cosa l'accor� tanto, che se ne mor� in Chartres il giorno 5 dicembre dello stesso anno (1518), dopo circa ventiquattro anni di fedelissimo servizio a Francia a danno della patria sua, la quale per più secoli fu trastullo miserando di esosi stranieri. (nota 45)
A questi fatti, che servivano mirabilmente a diminuire la fama del munificente e pio Monarca di Francia, non che a scuotere in Lombardia la sua potenza, resa ormai insoffribile per tante enormit� in nome suo commesse, s'aggiunse ad affrettare la catastrofe la morte dell'imperatore Massimiliano (12 gennaio 1519) e la elezione in suo luogo di Carlo V re di Spagna (28 giugno 1519): ci� che suscit� grave dispetto nell'animo di Francesco I, il quale pure ambiva alla corona imperiale.
Fu in questo tempo che il Re di Francia, quasi a consolidare i suoi diritti sul Ducato di Milano, feudo dell'Impero, fra le molte concessioni e donazioni da lui fatte e sancite, ordin� al Ferreris che assecondasse il desiderio dei RR. PP. Celestini dimoranti alle Vittorie di Zivido ed acquistasse per essi dal magnifico signor Brivio altre venticinque pertiche di terreno attigue alle già comperate l'anno antecedente. Si adoper� il Ferreris a tale intento e le ottenne dal signor Carlo Brivio, come chiaramente si rileva dal già citato documento B; nel quale si legge che il prefato signor Carlo Brivio, "suo et nominibus quibuscumque, die octavo julii 1519 praefato Illustrissimo Domino Generali, nomine praefati serenissimi Regis ad commodum et utilitatem praedictae Ecclesiae seu monasterii Ordinis Coelestinorum Franciae de observantia, sub titulo seu nomine Sanctae Mariae de la Victoria … alienavit perticas vigintiquinque terrae ex et de petia una terrae vineae sita in territorio dicti loci Zividi, plebis sancti Juliani, diocesis Mediolani, cuitunc dicebatur ad Novellam, cui toti petiae terrae tunc cohaerebat ab una parte superscripta terrae vineae perticam centumquindecim, ut supra primo loco vendita, cui dicitur ad vineam S. Eusebii; ab alia praefatorum Dominorum Brippiorum, ab alia strata, et ab alea Domini Nicolai della Strata, et ipsis perticis vigintiquinque venditis cohaerebat ut supra seu similiter et ipsa tota petia erat perticarum centum triginta vel circa" (nota 46). Contenti i RR. PP. Celestini per questa nuova donazione, si accomodarono definitivamente nel possesso delle Vittorie, colla persuasione di vivere in pace i giorni loro sotto l'egida protettrice del cristianissimo Re di Francia. Ben presto per� questa loro pia convinzione doveva cangiarsi in assoluto disinganno: imperocch� l'efferatezza del Lautrec aveva spinti molti signori e nobili milanesi a rifugiarsi in Reggio, citt� pontificia, per ivi concertarsi col Morone sul modo di togliersi dal giogo di Francia.
Allo stesso scopo si erano pure uniti in lega l'imperatore Carlo V ed il pontefice Leone X (8 maggio 1521), i quali di comune accordo nominarono duca di Milano Francesco II Sforza, allora rifugiato in Trento. Anzi a lui diedero denari, coi quali, e coll'aiuto del Cardinale di Sion, assold� truppe per coadiuvare l'impresa.
Contemporaneamente il Signor di Lescun per ordine del fratello Lautrec apriva le ostilit� coll'invadere gli Stati della Chiesa ed assediare la citt� di Reggio, dalla quale fu poi seriamente battuto. Si mossero allora gli alleati e, presa Parma, entrarono direttamente il Lombardia, sconfiggendo Lescun all'Adda.
Ritornato il Lautrec dalla Francia, dove si era recato per provvedere uomini e denari, e vista la gravit� del pericolo, ordin� immediate opere di difesa alla parte più debole delle mura di Milano, mentre dal canto suo inferociva rabbiosamente contro gli inermi cittadini. (nota 47)
Gli Imperiali intanto guidati dall'Avalos conte di Pescara ed i Pontifici da Prospero Colonna si avanzarono sino a Melegnano, dove, conosciuta l'intenzione del Lautrec, presero sollecitamente la via di Chiaravalle, passando dinnanzi ai celebri campi della Vittoria di Zivido e riempiendo cos� di terrore i poveri Monaci celestini, i quali, certo, devono avere presagita la fine della loro quiete e peggio. Da Chiaravalle gli alleati passarono a Vigentino, oltre il quale, superato e vinto un fortilizio eretto dai Francesi, sollecitamente nell'istessa notte si diressero a Porta Ludovica, e per essa, stata loro aperta da alcuni coraggiosi cittadini impazienti di scuotere l'efferato giogo dell'inumano governatore, entrarono in citt� proclamando duca Francesco II Sforza (19 novembre 1521).
A tale annuncio il Lautrec fece entrare precipitosamente nel Castello quanti uomini gli fu possibile in tanta sorpresa e confusione, mentre col restante delle truppe egli usciva dalla citt�, dirigendosi verso Monza in attesa degli eventi. Conosciuto in seguito che lo Sforza si avvicinava a Milano, tent� d'arrestarlo; ma inutilmente, ch� questi fece il suo ingresso nella citt� il giorno 4 aprile 1522, confermando per suo governatore Geronimo Morone.
Quale fosse la letizia de' Milanesi nel vedersi ormai liberi da quel tiranno e per di più nell'avere per Duca un proprio concittadino, stimato ed amato, basterebbe, per farsene un'idea, leggere quanto scrissero in proposito il Grumello, il Sepulveda, il Guicciardini ed altri.
Ma se i Milanesi gioivano, i Monaci celestini residenti S. Maria della Vittoria di Zivido provarono una scossa s� dolorosa, da essere costretti a pensare pel loro avvenire. Per quanto per� essi temessero, � certo che non venne loro recata molestia alcuna; imperocch� n� il fisco n� il Duca si occuparono di loro, come chiaramente si rileva dalle seguenti linee vergate nel documento B: "Preafati Religiosi fuerunt et steterunt quiete et pacifice et nemine contradicente, scientibus etiam, videntibus, et pacientibus, et in aliquo non contradicentibus … ac aliis agentibus et successive scientibus, videntibus et pacientibus Illustrissimo Duce Mediolani et ejus agentibus nec non agentibus Camerarum Regiae et Ducalis … Itemque verum est … quod … dicta bona superius descripta, numquam fuerunt per agentes Majestatis Caesarae, neque Majestatis Regiae et nec Excellentiae Domini Ducis, nec per aliquam Cameram Caesaream, regiam, ducalem, in toto vel in parte tenta, possessa, neque gavisa …"
Ma se i Monaci celestini erano lasciati in pace contro ogni loro aspettazione, il Lautrec era invece preso di mira; talch� il giorno 27 aprile fu totalmente sconfitto dagli alleati del Duca unito al popolo milanese presso la Bicocca sulla vecchia strada di Monza.
Ritornato per necessit� in Francia, il Lautrec si vide sostituito dal Bonnivet, il quale a sua volta si mostr� molto inferiore all'opinione che si aveva di lui, essendo egli, dopo molte e sfortunate vicende, stato rotto ad Abbiategrasso dal duca Francesco Sforza seguito da una scelta squadra di Milanesi, che colle spoglie dei vinti portarono il terribile flagello della peste nella già tanto esausta Milano (aprile 1524).
Ridiscese allora in Italia Francesco I con numeroso esercito: occup� egli senza colpo ferire la citt� di Milano (26 ottobre 1524) resa quasi deserta dalla pestilenza ed abbandonata dal Duca impotente a difenderla; indi corse a Pavia nella speranza d'averla con un assalto generale; ma vedendo come gli assediati sapessero resistere e ad un tempo molestarlo, si ritir� al Barco aspettando che quella citt� si arrendesse per fame, senza punto sospettare che gli alleati sarebbero accorsi in aiuto di essa; ci� che si avver� add� 3 febbraio 1525 con grande svantaggio del Re: il quale all'alba del giorno 24 di quello stesso mese si trov� attaccato su tutta la linea dagli alleati; ed abbench� valorosamente si pugnasse dai suoi, egli dovette rassegnarsi ad una completa disfatta ed a cadere ferito nelle mani dei nemici. Consegnata la propria spada al vicer� De Lannoy, fu condotto a S. Paolo (nota 48), e di l� a Pizzighettone (28 febbraio), da dove scrisse alla madre sua la nuova del subito disastro con quella espressione, rimasta pur celebre: "Madame, tout est perdu, fors l’honneur (Signora, tutto � perduto, fuorch� l’onore)".
Finalmente ai 18 di maggio re Francesco fu condotto a Genova e di l� in Ispagna, ov'ebbe campo di persuadersi, ma troppo tardi, che meglio sarebbe stato per lui il consacrare l'ardore delle sue armi alla difesa del suo Stato e le ricchezze del suo paese al benessere del suo popolo, anzich� spargere tanto sangue per la conquista di una terra di cui non poteva conservare il possesso, come i fatti ebbero a comprovarglielo.
Quali si restassero i già timorosi Monaci celestini domiciliati a S. Maria della Vittoria presso Zivido all'annuncio di tanta sfortuna � più facile immaginarlo che descriverlo. Tuttavia, sperando essi che la nobile e generosa loro nazione fosse per rimediare a tanta iattura, continuarono, sebbene trepidanti, nell'adempimento delle loro mansioni. Ma allorch� seppero del trattato di pace stipulato a Barcellona il 29 giugno 1529 tra il Pontefice e l'Imperatore da una parte e Francesco I dall'altra, trattato col quale questi rinunciava per sempre alle sue pretese sul Ducato di Milano, sfiduciati, rivolsero la loro mente alla patria lontana. Vissero a malincuore alcun poco ancora in questa terra, che loro richiamava alla memoria una splendida vittoria del munificentissimo loro Re; ma poi, desiosi dell'antico chiostro, abbandonarono definitivamente il convento annesso alla Cappella espiatoria di Zivido, vendendo prima tutto quanto era per essi alienabile (1532-1533).
Rimasto cos� il monastero senza abitatori e la chiesa senza chi l'officiasse, il sommo pontefice Paolo III dopo qualche tempo dalla sua elezione (1534) pens� ad erigere in beneficio l'abbandonato possesso dei PP. Celestini di Francia conferendolo al m.r. D. Diego de Mendoza coll'obbligo di adempiere agli oneri inerenti; come risulta dal seguente passo del documento B: "…et post eorum recessum, quum dictum Monasterium, Ecclesia et bona essente derelicta, Monasterium et Ecclesia praedicta Sanctae Mariae de la Victoria, ac bona praetenta fuerunt per olim Sanctum Paulum Papam tertium erecta in beneficium et unitum cun Ecclesia Sancti Eusebii ibi contigua (nota 49) et de eis omnibus per praefatum Pontificem provisum fuit in favorem domini Didaci de Meldosa ..."
Trascorsi alcuni anni costui pens� di ritirarsi rassegnando le proprie dimissioni al Sommo Pontefice, che provvide poi colla nomina di un altro spagnuolo, D. Martino Jbara o Yubara: "…quod dictas Ecclesias… resignavit in manibus praefati Summi Pontificis, qui de illis providit Reverendo Domino Martino Yuare, con istrumento rogato, die 14 octobris 1545 per dominum Nicolaum Castellum Curiae Archiepiscopalis Mediolani notarium".
Siccome add� 10 agosto del 1552 moriva, in civitate Victoriae regni Biscaliae il suddetto D. Martino, cos� il Sommo Pontefice allora regante Giulio III, nomin� in suo luogo D. Uberto Stracio o Strazza (1553), al quale, non garbando forse troppo la vita eremitica di S. Maria della Vittoria presso Zivido, si determin� presto a rinunciare a quel beneficio.
A costui fu sostituito il canonico mantovano D. Massimiliano Delfino, che a sua volta si dimise per ritirasi altrove.
A quest'epoca pare si stabilisse nel beneficio delle Vittorie qualche altro individuo senza canonica istituzione, imperocch� il vescovo di Lodi e due altri prelati, incaricati dal Papa di conferire in nome di lui quel beneficio a D. Ercole Strazza, fecero inserire nella relativa investitura la seguente espressione: "… amoto quoque illicito detentore, quod fuit intimatus praefato D. Dionisio Heredia et D. Ludovico Brugora de mandato Joannis Simonetae senatoris et delegati …".
Dovendosi dopo qualche anno procedere ad altra nomina, stante la nuova vacanza del beneficio sunnominato, il Sommo Pontefice deleg� a provvedervi l'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, cardinale di S. Prassede, conferendogli in pari tempo l'assoluto possesso di quei beni. (nota 50)
Scoppiava in questo tempo la peste a Roma, causata dal grande concorso di gente per l'acquisto del giubileo (1575); onde presto si propag� anche in Lombardia ed in modo speciale nel contado e nella citt� di Milano. Allora l'arcivescovo Carlo Borromeo, che in quella terribile e luttuosa circostanza erasi fatto tutto a tutti, pens� di approfittare dello stabile alle Vittorie di Zivido onde raccogliervi i poveri che stavano rinchiusi nel recinto o portico di S. Stefano Maggiore a Milano. Concepita questa idea la mise subito in esecuzione, mandando nel suddetto Monastero pi� di trecento poveri sotto la sorveglianza di due Padri cappuccini. (nota 51)
Cessata la peste nel 1577, S. Carlo don� inter vivos i suddetti beni all'Ospedale maggiore (nota 52); il quale, vedendo forse la necessit� di pronte riparazioni e non potendo porvi mano (tanto era stremato di mezzi ed aggravato di debiti contratti durante la passata moria), ordinava, a scopo d'utilizzarne il materiale, la demolizione delle due chiese contigue di S. Maria della Vittoria e S. Eusebio, dove riposavano ancora le spoglie di molti tra i caduti nelle due giornate del settembre 1515.
Se non che nel 1580 i RR. PP. Celestini di S. Pietro in Milano reclamarono per s� i beni suddetti, suscitando cos� una seria contestazione, ultimatasi poi amichevolmente con atto, stipulato e rogato dal pubblico notaio Giov. Battista Landriano ai 12 luglio 1586, pel quale l'Ospedale continuava nel possesso e nell'amministrazione di detti beni, dichiarati comuni coi suddetti Padri, ritenendo una parte per s� e due per essi: "Quodque donec dicta bona vendantur ut supra, Hospitale remaneat ad eorum possessionem, et tenutam, pro sua tertia parte, et pro aliis duabus dictum Monasterium, et melioramenta, et reparationes, quae fieri contigerit ab hodie in antea in dictis bonis, fiant per ambas partes ad ratam superscriptam, data semper notitia praefato Monasterio, et non aliter fieri possint, quoniam sic …"
Siccome poi le nominate chiese della Vittoria erano in demolizione, cos� venne accollato ai detti Padri celestini l'obbligo di far celebrare od adempire nela loro chiesa di Milano tutte quelle officiature che, sebbene non conosciute, fossero in seguito emerse a carico del Monastero delle Vittorie: "Quodque, si in futurum reperiatur praefatum Monasterium obligatum est ad aliqua divina officia, vel alia ad cultum divinum pertinentia ad illa teneantur ipsi RR. Religiosi in sua Ecclesia, et ita promiserunt…"
Riguardo poi al materiale delle chiese suddette venne stabilito che lo si conservasse sul luogo per le opportuna riparazioni degli stabili annessi: "Quodque omnis materia, sive soluta, sive solvenda, si quae reperiatur praeparata pro melioramentis, dictorum bonorum, remanere debeat dictis bonis, attenta conventione…".
Diciassette anni dopo l'Amministrazione dell'Ospedale maggiore, costretta dall'urgentissimo bisogno di sovvenire alle necessit� dei poveri, che ogni d� correvano in gran copia al prefato Ospitale, e di estinguere diversi debiti contratti per detta causa, venne nella determinazione di alienare i suddetti beni: "Cum sit quod Venerabile Hospitale Magnum Mediolani sit in magna necessitate constitutum, tum ob magnum pauperum concursum ad ipsum Hospitale confugientium, tum etima ob qualitates temporum, et propterea nullus alius modus reperiatur, quod aliqua ipsius Hospitalis Immobilia bona alienare, ut succurreri possit aliqua in parte ipsius Hospitali indigentiis, et propterea rebus bene discussis…".
A tale scopo il giorno 19 settembre, die veneris, dell'anno 1603 fu combinata l'asta, ed il primo di ottobre ne venne affisso l'annuncio al pubblico colla clausola che detti beni dovevano rimanere indivisi coi RR. PP. Celestini di S. Pietro in Milano.
Tra coloro che adirono all'acquisto il migliore offerente fu l'illustrissimo sig. Carlo Brivio (discendente diretto dell'omonimo primo venditore); onde a lui furono ceduti quegli stabili per la somma di lire imperiali settemila mediante atto rogato dal pubblico notaio Leonardo Zucchinetto add� 8 agosto 1605.
E poich� nell'acquisto fatto dal signor Brivio non era compresa l'area su cui già sorgevano le menzionate chiese, essendo essa rimasta in possesso della Curia arcivescovile, cos� quegli si rivolse a S. Em. l'arcivescovo cardinale Federico Borromeo chiedendo di poterla rilevare e dichiarandosi pronto ad ottemperare fedelmente a quelle qualsiansi condizioni che all'Em. S. fosse piaciuto imporgli.
Il pio e dotto prelato sottopose la questione al suo vicario generale mons. Antonio Albergato perch� la studiasse e provvedesse in proposito. Costui, prima di dare una risposta, deleg� il M. R. Proposto Vicario Foraneo di S. Giuliano a rilevare, in unione a tre probi viri, lo stato ed il valore del terreno richiesto. Avutane precisa informazione, decret�, di pieno accordo coll'Eminentissimo Arcivescovo, che si annuiva pienamente alla supplica ricevuta da parte dell'illustrissimo sig. Carlo Brivio, purch� venisse da costui adempito alle seguenti ingiunzioni: Facesse cio� trasportare nel cimitero di S. Maria in Zivido le ossa dei defunti che riposavano nel terreno già prima occupato dalla chiesa di S. Maria della Vittoria compresa in quella di S. Eusebio; stabilisse la somma di lire imperiali centoquindici (valore del fondo chiesto), e l'assicurasse su altro suo tenimento, e col relativo frutto facesse celebrare ogni anno, nella predetta chiesa di Zivido, un officio con messe a suffragio di quei defunti; inoltre, aggregasse pure il tenimento delle Vittorie da lui recentemente acquistato dall'Ospedale maggiore la suddetta area, ma non la destinasse ad usi sordidi. "Duximus petitioni praefati D. Brippii satisfacere et propterea tum auctoritate nostra ordinaria quam etiam vigore sacri Concilii Tridentini aliasque omni meliori et validius possumus, in primis ossa omnia defunctorum in dicta petiola terrae existentia exhumari et in coemeterium Ecclesiae Sanctae Mariae loci Zividi transferri, ibique reponi debere per presentes decernimus, et postquam ossa defunctorum ut praefertur translata fuerint, petiolam praedictam terrae profanamus et profanatam fore et esse declaramus et ad profanos usos, non tamen sordidos, reducimus et reduci concedimus prout etima dicta translatione secuta ut supra… concedimus… transferimus… dominium et possessionem dicta petiolae terrae et hoc pro dicto praetio librarum centum quindecim imperialium quas volumus et mandamus cum effectu implicari in aliqua proprietate idonea… ex cujus fructibus et redditibus celebretur in dicta Ecclesia Zividi annuale unum cum illo missarum numero ad ratam dictorum fructuum in perpetuum pro animabus dictorum defunctorum…"
Avendo il signor Brivio ottemperato pienamente alle avute ingiunzioni, mons. Antonio Albergato a lui cedeva ogni e qualsiasi diritto sull'area, "in qua alias, ut fertur, constructa erat Ecclesia sub titulo S. Eusebii, positam inter bona appellata della Vittoria, in plebe S. Juliani dioc. Mediol.," con atto rogato dall'attuario arcivescovile di Milano Giacomo Antonio Cerutto add� 16 settembre 1606.
Desiderando per� il sig. Carlo Brivio di riunire al suo possesso anche le due parti dei beni della Vittoria che per contratto era tenuto ad amministrare a beneficio dei RR. PP. Celestini, chiedeva ad essi una permuta di fondi, offrendo loro, in cambio dei terreni domandati, un tenimento di maggior valore da lui acquistato dall'Ospedale maggiore alla Costa di Lambrate. Vedendo quei Religiosi l'importanza dell'avuta esibizione, impetrarono tosto dalla Santa Sede l'autorizzazione di poter passare a tale contratto.
Il Pontefice allora regnante, Paolo V, incaric� il reverendissimo mons. Andrea Perbenedetto vicario generale dell'Arcivescovo di Milano e mons. Ottavio Abbiati detto Ferreris, arciprete del Duomo, perch�, presa cognizione della cosa, ne dessero relativa sentenza.
Diffatti, avendo essi conosciuto essere vantaggiosissima per RR. PP. Celestini una tale permuta, l'approvarono con sentenza del 26 giugno 1609 rogata dal notaio attuario della Curia arcivescovile di Milano Giacomo Antonio Cerutto.
Rientrati cos� nel possesso Brivio i beni della Vittoria, non era da presumere che si conservasse il Monastero, tanto più che erano già state demolite le due chiese; e, circa venti anni dopo, quest'ultimo testimonio della munificenza di Francesco I, rammemorante la sua splendida vittoria sugli Svizzeri e la conseguente conquista del Ducato di Milano, subiva gli effetti del piccone demolitore per lasciar luogo alla sistemazione di quei terreni destinati a campi irrigatori. (nota 53)
Se non che, dopo più di due secoli e mezzo di silenzio, solo ogni tanto interrotto dal ripetersi della sbiadita tradizione orale conservataci dai più vecchi della villa, questo monumento doveva rivivere per la storia e per l'archeologia.
Ed invero, nel 1886-87, per un concorso di varie circostanze, come gi� si � detto nella introduzione della presente memoria, si scoprvano alla profondit� variante dai trenta centimetri ad un metro e mezzo circa, nella parte nord-ovest dei campi detti della Vittoria di Zivido, le fondamenta delle due chiese di S. Eusebio e di S. Maria (Cappella espiatoria) insieme a quelle dell'attiguo Monastero dei Celestini di Francia, dalle quali si pu� facilmente arguire l'importanza del distrutto monumento.
Presentano esse un grandissimo quadrilatero, due lati del quale, il settentrionale cio� e quello di mezzod�, hanno la dimensione di m.71, laddove quelli di ponente e di levante ne misurano 83,50.
Esclusa la muraglia di levante, dello spessore di m.1,50 a mattoni - nella quale si osservano ancora le parti inferiori dei finestroni che davano luce ai sotterranei, ingombri di materiale per essere stati distrutti i rispettivi volti, - le altre tre, la settentrionale cio�, la ocidentale e quella di mezzod�, sono costrutte in calcestruzzo e non più robuste di m.1,25.
Le fondamenta poi della Cappella espiatoria di S. Maria, meno lo spessore (m.1,60), sono eguali ed identiche ai tre lati del monastero or ora menzionati. Esse rappresentano tre navi: due laterali, larghe ciascuna m.3,60, ed una centrale di m.11,20 su di una lunghezza complessiva di m.29 circa.
Quelle di S. Eusebio, unite alle prime, sono affatto identiche a queste nella forma e nello spessore, ma ne differenziano pel coro ad angoli ottusi dello spessore di m.2,30, per la lunghezza totale di m.33, e per la qualità del materiale, essendo la superficie di esse coperta da uno strato di calce cristallizzata.
Di quanto si ergeva sopre queste massicce fondamenta non si conoscono oggid�, oltre alla già citata pietra sacra dell'altare di S. Maria delle Vittorie, nella quale si conservavano le reliquie dei SS. MM. Saturnino e Donato vescovi (nota 54), che due colonne di granito - cedute nel 1846 circa dal compianto marchese Annibale Brivio alla nobile Famiglia Greppi, che le dispose a sostegno di un portico in una casa di sua propriet� sita in Milano al n.10 di via S. Marta, - più alcuni pezzi, pure in pietra e conservanti tuttora il profilo delle modanature architettoniche, che svelano la loro antica pertinenza ad una delle due chiese distrutte.
Restano per� ancora, a testimonianza della terribile tragedia svoltasi nel 1515, 13 e 14 settembre, sui campi di Zivido, due lapidi intere, e parte di una terza recentemente rinvenuta negli scavi praticati sull'area della distrutta chiesa di S. Francesco grande in Milano e dall'egregio signor cavaliere Forcella premurosamente donata al Museo patrio archeologico.
Di questa, che accenna ad un nobile francese ferito presso S. Giuliano in una delle due battaglie combattute da Francesco I contro gli Svizzeri, e morto add� 29 dello stesso mese ed anno, diamo il fac simile alla Tavola III unitamente allo schema dell'intera lapide ricostituita sopra l'iscrizione riportata (bench� inesattamente) dal padre Placido Puccinelli nella sua opera "Memorie antiche di Milano", 1650, pag.73, n.32.
Riguardo poi alle due lapidi state, non � molto tempo, incastonate nelle pareti della nave di S. Maria in Zivido e che riguardano, l'una Francesco di Borbone duca di Castelreale, cugino del re Francesco I e fratello del conte Carlo di Borbone gran connestabile di Francia, e l'altra il principe Gilberto Lorris, entrambi gloriosamente caduti sul campo di battaglia, chi scrive crede opportuno di presentare ai cortesi lettori l'erudita illustrazione recentemente fattane dal chiaro e dotto signor Jules de Lauri�re, segretario generale della Societ� Archeologica di Francia, il quale ne prese ripetute volte gli appunti sul luogo stesso. Voglia l'egregio signore perdonare tale libert� all'amico e confratello suo.
"La premi�re de ces plaque mesure 0m,76 de haut sur 0m,48 de large. Elle est entour�e d'un l�ger filet en saillie. La partie sup�rieure contient l'inscription suivante, en caract�res de 0m,02 de hauteur tr�s lisibles:

FRANCISCI . DE . BORBONIO
CASTRIHERALDI . DVCIS . FORTI
SSIMI . BELLO . HELVETICO . AD
MARIGNANV . EXTINCTI . CORDI
ET . INTESTINIS . CAROLUS
FRATER . HOC . MONVMENTV
POSVIT.

"L’�scusson qui occupe le centre de la plaque est celui de Fran�ois de Bourbon de Montpensier, duc de Ch�tellerault, d�sign� dans l'inscription.
"Ai-dessous de l�cu existait une autre insciption qui devait occuper toute la partie inf�rieure de la plaque. Malheureusement on ne peut en lire � la premi�re ligne que … FRANCOYS DE BOVRBON DE et quelques lettres � la seconde ligne, entre autres vers la fin de cette ligne … DVC DE … Le reste est enti�rement effac�.
"Il s’agit donc du d�p�t du coeur et des entrailles de Fran�ois de Bourbon, duc de Ch�tellerault, fils de Gilbert de Bourbon, comte de Montpensier, et de Claire de Gonzague, et mort � la bataille de Marigna. Son fr�re Charles (le Conn�table de France) a pris soin de faire �lever le monument.
"Le titre du duc de Ch�tellerault, qui figure dans l'inscription, etait de cr�ation r�cente, puisque c'�tait en faveur de Fran�ois de Bourbon que la vicomt� de Ch�tellerault avait �t� �rig� en duch�-pairie, en 1514, par Louis XII. Apr�s la mort de Fran�ois, ce titre passa � son fr�re Charles le Conn�table.
"Fran�ois de Bourbon avait environ vingt-cinq ans lorsqu'il succomba; son fr�re a�n�, le duc Charles, n� le 27 f�vrier 1489, ayant vingt-six ans et quelques mois au moment de la bataille.
"La mort de ce prince, qualifi� de vaillant guerrier, mise en premi�re ligne parmi le pesronnages du plus haut renom qui succomb�rent dans cette m�morable journ�e, est rapport�e par tous les anciens historiens, Guichardin, Martin du Bellay, Pasquier le Moine, l'auteur du Journal d’un Bougeois de Paris, Marillac dans son Histoire de la Maison de Bourbon.
"L'inscription, comme on le voit, et le monument, qu'elle accompagne, ne sont consacr�s qu'au coeur et aux entrailles du guerrier, conserv�s au champ d'honneur o� il trouva la mort. Nous savons, en effet, par un autre t�moignage, le Journal manuscrit d'un Bourgeois de Paris (nota 55), ce que devint son corps. "Les corps, dit-il, du duc de Ch�tellerault, du seur de Roye, du sieur d'Imbercourt e du sieur de Bucy furent embaum�s et mis en coffres de plimb et furent apport�s en France pour �tre inhum�s aux lieux de leurs seigneuries".
"C'est donc � la chapelle Saint-Louis d'Aigueperse, lieu de la s�polture des Bourbons, comtes de Montpensier, qu'a d� �tre d�pos� le corps de Fran�cois, duc de Ch�tellerault, aupr�s de son p�re, Gilbert de Bourbon, mort � Pouzzoles le 5 octobre 1496, de sa m�re Claire de Gonzague et de son fr�re Louis II de Bourbon.
"La seconde plaque qui, dans la chapelle de Zivido, fait face � celle de Fran�ois de Bourbon mesure 0m,60 de haut sur 0m,55 de large. Une bande � l�ger relief en fait l'encadrement. La partie sup�rieure du champ est occup�e par un �cu sans couronne … � une fasce … accompagn�e de trois aigles �ploy�es deux en chef, una en pointe. Au-dessous de l'�cu on lit l'inscription suivante, plac�e dans un cartouche � queues d'aronde:

PRINCIPIS GILBERTI LORRIS
PRAESLES CANDE ET PEROVS
DOMINI ARMIGERI STRENVI
QVESTORIS BURBONI DVCIS PRESIDIS
REGII BELLO HELVETICO EXTICTI
RELIQVIE ADSVNT DIE 14 SEPTEMB
1515

"Les caract�res sont en belles capitales r�guli�res de 0m,02 de hauteur. Dans le mot HELVETICO l'H et l'E sont li�s, de m�me dans ADSUNT le T est form� par la sur�l�vation du dernier jambage de l'N. Le B de SEPTEMB est travers� par un trait oblique, abr�vation de BRIS.
"Le personnage de cette inscription est moins facile � d�terminer que le pr�c�dent. Le mot Principis ne doit pas �tre pris, croyons nous, dans le sens litt�ral de Prince, mais dans l'un des autres sens donn�s par Du Cange, celui de superior dominus, haut, puissant, �minent seigneur.
&"Il s'agit donc de la d�pouille mortelle ici pr�sent de Gilibert Lorris, �minent seigneur de Proesles, Candes et P�rous, �cuyer et intendant du duc de Bourbon, qui commandait pour le roi, mort dans la guerre contre le Suisses, le 14 septembre 1515.
"On serait tent� de rattacher le Gilibert Lorris de notre inscription � la famille de Lorris, dont le P. Anselme cite plusieurs personnages, sans toutefois d�passer la fin du XIV si�cle; Eudes de Lorris, qui vivait sous saint Louis, Gilles de Lorris, �v�que de Noyon de 1314 � 1328, Robert de Lorris, conseiller du roi, mort en 1380, ses fils Jean de Lorris, seigneur d'Ermenonville, chambellan du roi et Gu�rin de Lorris, ce dernier mort en 1380. On est d'autant plus port� � faire ce rapprochement que les armes attribu�es � cette famille sont d'or � une fasce d'azur accompagn� de trois aigles, deux en chef, une en pointe. Un recueil de pi�ces originales aux manuscrits de la Biblioth�que nationale, n.1755, mentionne le m�mes armes � Gilles de Lorris. Ces armes, on le voit, ne diff�rent de celles du marbre de Zivido que par la nature des aigles qui a Zivido, sont � deux t�tes. Mais nous ne trouvons, � la suite d&'aucun de ces noms, la qualification de seigneur de P�rous, Candes, etc…, qui figure dans l'inscription.
"Nous devons plut�t croire que notre Gilibert Lorris doit se rattacher � un Gilibert Lorry, �cuyer, maison et domaine de Coudde, ensemble les terres et seigneuries du Peroux et de Butenvai, domaine de la Fin et pr�v�t� de Bor, paroisse d'Aude, tous noms formant l'article Gilibert Lorry dans le Repertoire des noms f�odaux ou noms de ceux qui ont tenu fiefs depuis le XII si�cle jusque vers la fin du XVIII par Joseph de B�tancourt.
"Et ici il ne faut pas tenir compte de certaines diff�rences dans l'orthographe des noms propres transpos�s en latin, apr�s avoir pass� probablement par des interm�diaires italiens. Maison et seigneurie de Coudde, si toutefois il y a bien Coudde sur la pi�ce originale, laisse entrevoir avec une certaine certitude le Candes du marbre en question. Quant � P�roux et P�rous, n'est-ce pas le m�me nom? (nota 56)
"Quoi qu'il en soit, l';inscription nous r�v�le l'existence d'un Lorris, �cuyer du duc de Bourbon, et qui trouva la mort, le second jour de la bataille, en combattant aux c�t�s du prince. (nota 57)
"Le passage suivant de Pasquier Le Moine vient jeter un certain jour sur le fait: "…. Mondit seigneur le Conn�table y dona furieusement et hardiment mal accompagn� et me semble qu'il n'avait que deux hommes de sa maison avecques luy, dont en estoit l'ung son ecuyer et �toit ledit seigneur mont� sur ung tr�s mauvais cheval qui le mist en un tr�s grand danger…"
"Ainsi, pendant que Pasquier Le Moine se borne � dire que le Conn�table �tait accompagn� d'un �cuyer, l'inscription, qui vient compl�ter son r�cit, nous fait connaitre le nom et les qualitàs de ce vaillant serviteur, et nous apprend qu'il succoma dans la battaille.
"Mais si cet historien, mi-prosateur mi-po�te, ne d�signe pas particuli�rement ce pesronnage, nous devons croire qu'il comprend, � la suite del plus illustres victimes de la bataille, au nombre des autres morts qualifi�s de plusieurs gens de bien qui se montr�rent bons et loyaux serviteurs du Roy:
Desquels de leur mort et douleur
Ne puis �crisre rien de leur
Fors que Dieu par provision
Du malheur en face bonheur
Et soit aux �mes � bonheur
De la supr�me vision. Amen.

"Toutefois, si l'identification des noms de Gilibert Lorris de l'inscription de Zivido n'est encore �tablie que par conjecture, le deux marbres de Zivido n&'en sont pas moins deux documents authentiques d'un int�r�t incontestable pour le fait d'armes qui tient une page si importante dans l'histoire de France".
Finalmente, a rendere più facile ai probabili visitatori la conoscenza delle due localit� dove riposano in pace le ossa dei forti caduti nelle due memorande giornate del 13 e 14 settembre 1515, lo scrivente (fiducioso del consentimento dell'illustrissimo sig. marchese Brivio) ha pensato, anche a compimento delle sue ricerche, di distinguere i detti luoghi con due tavole di marmo, l'una delle quali:

PACI . ET . MEMORIAE
ILLUSTRUM
QVI DIMICATI
IN . BELLO . GALLICO . HELVETICO
DIE . XIII . ET XIV . SEPTEMBRIS . MDXV
HVC
GLORIOSE . OCCVBVERE

Sulla tomba esistente nella chiesa di S. Maria in Zivido dove si conservano, come sopra si � detto, parte delle ossa dei caduti; e l'altra:

LA PIETA’ ITALICA
SOL MEMORE
DELLE LOTTE STRANIERE
NEGLI STORICI RICORDI
QUI
SOTTO IL COMUN SEGNO
D'AMORE E DI PACE
LE OSSA COMPOSE DE' FORTI
CHE DALL'ELVEZIA
A DA FRANCIA TRATTI
A FAMOSA PUGNA
CADDERO IN QUESTI CAMPI
NEI GIORNI XIII E XIV SETTEMBRE
MDXV

Nel piedestalo d'un tronco di colonna eretto sui due tumuli presso la chiesa stessa; lasciando all'illustrissimo sig. marchese Giacomo Brivio il distinguere la localit� delle Vittorie e relativi avanzi del distrutto monumento secondo l'espresso suo desiderio.

o

indice sezione - indice inganni


sito di propriet� della Associazione Culturale Zivido
webmaster
wembaster