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Cielo senza nubi, sole senz'ombra, campi nudi dalle zolle lucenti,
smosse dagli aratri che preparano la semina del granoturco: file di pioppi
spogli oppure biondi nel sole, come altissime spighe. Il colore fulvo
che ravviva ogni cosa ha per solo contrasto il verde intenso del frumento
alto una spanna, e l'azzurro del cielo; brividi d'oro corrono anche nell'azzurro
e nel verde.
Promessa di Primavera: gioia e pace nella mia terra, oggi anch'io vado
a salutare Madre cabrini nella casa ove nacque in Sant'Angelo Lodigiano.
E' superbia chiamarla così! Io non sono altro che una figlia della
terra di Madre Cabrini...
Mi vengono incontro, nel diffuso oro dell'aria, la mole potente della
Rocca di Regina Visconti della Scala - mattone lombardo del più
bel rosso acceso - e il campanile della cattedrale alto sui tetti del
Borgo (Ada Negri)
Così la poetessa lodigiana vide il nostro paese nella primavera
del 1935. Ma già nel 3° secolo d.C. fra l'azzurro del cielo
e il bel verde dei campi, piccole case di mattoni macchiavano come fiori
rossastri le rive del Lambro, ove i due rami gemelli s'incontrano.
Erano le abitazioni delle genti romane della famiglia degli Acilii, venute
fin quassù da Roma a bonificare la nostra terra. Ed erano genti
cristiane. Ne fa fede una lapide funeraria ritrovata (con copioso materiale
di scavo) appunto sulle sponde del Lambro, un tempo navigabile.
Sono tegoloni, mattoni, monete della seconda metà del III secolo,
anfore e vasi da uso domestico, alcuni conservatissimi perchè sepolti
nella sabbia viva dalle alluvioni del fiume, al punto che mantengono sul
fondo tracce di sostanze combuste. Fu trovata in località Belfiorito,
anche la fornace che fabbricava queste tegole e vasi, diffusi in tutta
la zona. Interessante tra questo materiale due pelvis con impresso il
timbro della famiglia Acilia. Segni dunque di una comunità nemerosa
laboriosissima.
Si rivendica così l'origine romana del nostro paese e la nostra
discendenza dalla tribù degli Acilii. Fin quando queste genti romane
abitarono nel nostro territorio? Purtroppo non ci è dato finora
rispondere a questa domanda.
Periodo Medievale
Della terra di Santo Angelo si parla per primo in un antico documento
che risale al principio del sec. XI. Ma più che del Borgo, si parla
del Castello di Cogozzo che sorgeva presso il Lambro. Nel 1193 era posseduto
dai Milanesi. I pavesi ed i lodigiani lo assediarono (16 giugno), ma invece
di utile e di gloria ne ebbero danno, perchè molti di essi perirono
nel Lambro.
Nel Natale del 1198 fu fatta la pace tra Lodi e Milano col patto che i
Milanesi cedessero: Cavacurta, San Colombano, Graffignana, Cogozzo, Valera,
Gradella e Roncadello, con l'obbligo però di distruggere le fortificazioni
di San Colombano e Cogozzo (le più importanti). Ove era situato
il Borgo ed il Castello di Cogozzo? Io ritengo fosse vicino al Lambro
sull'area dell'attuale villa Santa Maria, fecente parte di un sistema
difensivo militare sul fiume.. Vicinissimo a Graminello infatti, sulla
sponda opposta del fiume si erge una torre medievale. La Villa Santa Maria
è poi edificata su fondamenta castellane e la località conserva
poi ancora il nome di Cogus (Cogozzo).
In un documento dell'Archivio Vescovile di Lodi si parla di un certo arciprete
Gerardo della Chiesa plebana di Santo Angelo e del suo successore Bozo
il quale l'anno dopo esercitava il diritto di decima anche nella terra
di Cogozzo. Esisteva fin d'allora un centro abitato a Sant'Angelo, ben
distinto dal Cogozzo, il quale oltre al castello aveva anche una Chiesa.
Ne fornisce la prova il documento del 1210 che distingue: la "Plebes
de Santo Angelo", la "Ecclesia de Cogozzo" e la "Ecclesia
de Graminello".
In un atto di vendita del 1461 si parla poi della cessione di due mulini
"sul Lissone in territorio di Ghigotio nella terra di S. Angelo".
Al principio del 1200 i milanesi riedificarono il castello, distrutto
dai lodigiani e lo vollero leggermente spostato a Nord-Est, in posizione
più eminente. Lo vediamo ancora oggi nella sua antica struttura
romanica imponente.
Il Fiamma dice che il castello fu ultimato l'8 ottobre 1224. da quest'epoca
fu chiamato Castello di S. Angelo e non si nomina più la rocca
di Cogozzo, distrutta. Al principio del 1300 il castello divenne proprietà
dei Torriani, ma per poco. Nel 1312 Guido della Torre, morendo, lasciò
eredi del feudo i suoi quattro figli, i quali furono scacciati da Luchino
Visconti figlio di Azzone che pose al governo della terra lodigiana il
suo bastardo Bruzzo. Cinque anni dopo (1319) morto Luchino, Bruzzo fu
scacciato a furor di popolo.
Periodo Visconteo
La potente famiglia dei Visconti diviene padrona del castello, fortilizio
possente a base quadrata disegnata nell'austero stile romanico. Dopo il
male governo di Bruzzo, bastardo di Luchino, sale al potere l'arcivescovo
Giovanni Visconti, il quale nel 1354 lo dona al nipote Giovanni Visconti.
Divenuto Duca di Milano il famigerato Barnabò Visconti, donò
il castello a sua moglie Regina, della famiglia della Scala di Verona,
che restaurò la nobile dimora, tenendola per sua "favorita
dimora".
Sono di quest'epoca (1381) per volere della nobile Signora l'apertura
delle finestre gotiche e la costruzione della magnifica torre mastra,
spendendovi 100.000 fiorini d'oro. Il paese si spostò poi verso
levante unendosi a quello di San martino in Stabiello; venne poi edificato
un ricetto chiuso da mura e da torri, di cui ancora si scorgono tracce
evidentissime.
Nel 1385 muore Barnabò Visconti per opera di una congiura diretta
dal nipote Gian Galeazzo, Conte di virtù. L'annuncio è portato
da fidi servi a Regina della Scala, la quale da S. Angelo ripara subito
a Verona, lasciando nel castello i figli che vennero purtroppo imprigionati
nella torre e poi uccisi nel castello di S. Colombano. Gian galeazzo lascia
in eredità il castello al figlio Giovanni Maria, che al tempo della
sua gioventù era venuto a Sant'Angelo a divertirsi, quando il castello
e le terre erano riservate alla cacce della casa ducale. Alla sua morte,
dovuta alla congiura dei nobili milanesi, stanchi delle sua tirrannia,
successe il fratello Filippo Maria.
Questi affitta tutto il territorio di Sant'Angelo per 6.000 fiorini a
Clemente di Pietra, pavese, che fu poi Podestà di Sant'Angelo,
e che fece erigere nel 1433 la cappella di San Clemente nella Chiesa di
Santa Maria. Morto Filippo Maria Visconti senza eredi maschi (la figlia
naturale Bianca Maria era andata sposa al capitano Francesco Sforza) i
milanesi si levarono in armi contro la Repubblica ambrosian. Lo Sforza
che guidava i rivoltosi, all'assedio di Milano, espugnava prima il castello
di Sant'Angelo, "forte per mura e per fossa" (5 agosto 1449).
Purtroppo il castello ed il borgo non poterono resistere all'impeto delle
bombarde e dopo tre giorni capitolarono.
Questa vittoria però costò cara allo Sforza, perchè
avendo ordinato a Manno Barile, uno degli eccellenti capitani del suo
tempo, che con 300 cavalli guadasse il Lambro, avvenne che in località
"guado della Guattera", cadde nel fiume, ed impigliato nella
pesante armatura, affogò.
Nel 1540 "Sant'Angelo posto sul fiume Lambro, cinto da mura, al presente
quasi tutte sfasciate, era popolato da 5.000 anime ed assai famoso per
il suo mercato che si tiene ogni mercoledì, uno dei maggiori mercati
per bestiame, carne, corame e lino". Le fortificazioni del borgo
furono subito restaurate con mura e torri che partendo dal castello giravano
verso Est per continuare a Sud ove ancora si alza la torretta Girona,
poi a Ovest per ricongiungersi al castello.
I Conti Attendolo Bolognini
Francesco Sforza, divenuto Duca di Milano, non era ancora padrone di Pavia
ove era Prefetto d'armi Matteo da Bologna detto il Bolognini, uomo di
grande pietà e di provato valore militare che, per avere prestato
notevole servizio ai Visconti, aveva avuto l'onore di aggiungere al suo
nome il titolo di Attendolo. Costui pressato dai Veneziani a cedere il
castello e le terre di Pavia, per evitare una nuova guerra alla sua città,
e forse indotto dalla contessa Agnese del Majno, sua ospite e madre di
Bianca Maria, propose a Francesco Sforza di nominarlo Conte e Feudatario
del Castello e Borgo di S. Angelo; in cambio egli avrebbe ceduto al Duca
il Castello di Pavia. Ciò fu convenuto, ed è del 15 Marzo
1452 la patente ducale a Matteo da Bologna "suo affine e compare"
nella uale lo nomina "per li di lui buoni serviggi e fedeltà"
conte di S. Angelo.
Per opportunità diplomatica la cerimonia della consegna della rocca
di Pavia al Conte, avvenuta il 16 Settembre 1447, fu resa meno solenne
dall'assenza di Bianca Visconti. Il Bolognino, cavaliere senza macchia,
rendeva i tesori custoditi nel castello, rifornimenti copiosi, armi di
ogni sorta, un forziare ricco di 17.000 fiorini d'oro e cofanetti di belle
gemme.
Nel Libro delle "Historiae" (Memorie civili della città
di Pavia), scritte da G. Bassi, nell'anno 1452, si legge: "Recò
giubilo grande al popolo tutto lo spettacolo della pompa solenne, con
la quale Matteo Bolognino, castellano di Pavia, ne fu egli coi suoi discendenti
aggregati alla famiglia Attendolo, che era il casato di Francesco Sforza,
e con la quale il medesimo fu altresì creato Conte di S. Angelo,
per adempimento delle due promesse fattegli nel 1447, mentre lo Sfoza
ebbe da lui con la sua consegna, il possesso del Castello di Pavia. Nel
giorno adunque di San Giorgio, cioè a dire il 24 Aprile, il conte
e cavalier Caton Sacchi nostro concittadino e primario lettor di leggi,
come agente ducale, ammantatosi di ricchissima veste di broccato, ascese
per alcuni gradi un palchetto che erasi a ciò preparato nella cattedrale;
quivi ad esso Matteo, ch'era davanti a lui genuflesso, diede primieramente
il cognome di Attendolo e poscia in mano porgendogli sguainata la spada
in segno di mero e misto imperio, di plenaria giurisdittione e di podestà
di coltello, lo investì del feudo, o sia della contea di Sant'Angelo,
per sè, suoi figlioli, eredi e successori maschi all'ora nati,
e che da matrimonio legittimo erano per nascere. Furono assistenti a cotal
funzione per maggiormente honorarla: il Vescovo di Pavia, Giacomo Borromeo
ed il conte Giovan Manfredi Podestà; coi quali pur trovaronsi molti
cavalieri e segnatamente fra questi il Conte Georgio Scaramuccia Visconti,
Rolando Georgio da Pinerolo; Francesco Bottigella giureconsulto, Antonio
Eustacchio e Piero Cavatio della Somaglia".
Il Primo Castellano di Sant'Angelo ebbe lunga vita. Moriva il 4 Gennaio
1464 a 80 anni e fu sepolto a Pavia nella Cappella di Santa Maria in Pertica,
oggi distrutta. Si conserva però nel cortile dell'università
la pietra tombale del I° Conte di Sant'Angelo Lodigiano. A lui succede
nel titolo il figlio e poi i nipoti: "generosa stirpe" come
li chiamò l'Alberti nel suo libro: "Le famiglie nobili milanesi".
Il 6 Ottobre 1469 i Bolognini furono investiti del titolo feudale di Olevano
e Cerreto; il 21 Gennaio 1477 della Contea di Ovada ed Oleggio e 10 anni
dopo del feudo di Bereguardo. Parecchi membri della nobile casata furono
insigniti dell'ordine dei Cavalieri di Malta. Molti furono ambasciatori
nelle corti reali, imperiali e ducali, ove ebbero stima e posti insigni.
Altri si distinsero nelle armi specie al servizio degli spagnoli ai quali
furono fedelissimi. Nella religione si fecero notare per la loro grande
carità e generosità.
La famiglia aumentò la propria potenza anche per i matrimoni che
la legarono alla migliore nobiltà. Soltanto poche eccezioni segnarono
qualche macchia sul loro stemma, come il Conte Paolo (amico dell'Innominato)
che vissuto al principio del 1600 fu confinato fuori dallo Stato di Milano
ed abbe i suoi beni confiscati.
Nel 1504 Sant'Angelo venne infestato dalla peste unitamente a Codogno
e Pizzighettone, e nel 1516 fu saccheggiato dagli svizzeri in ritiro dalla
Lombardia. Quando i Francesi presero il Ducato di Milano (1499) il conte
Giovanni Matteo Attendolo Bolognini (amicissimo del Duca Ludovico il Moro)
non lo abbandonò e lo seguì in prigionia prima a Novara
e poi in Francia. Dopo la morte del Duca ritorna a Sant'Angelo, ma inpazzisce,
uccide un custode e cerca di assassinare la moglie, Principessa Agnese
de Corrigia, che pur amava teneramente, fino al punto che i famigliari
furono costretti a chiuderlo in una segreta munito di catene.
Nella seconda metà del sec. XV il castello ebbe una vita fiorente.
I nobili castellani favorirono opere di bonifica fra le quali la creazione
della nuova roggia bolognina con un imponente acquedotto che attraversa
il Lambro meridionale.
Fu ospite del nostro castello Leonardo da Vinci, come ne fa fede un suo
accenno nel Codice Atlantico conservato all'Ambrosiana. L'epoca d'oro
però fu di breve durata. I francesi si erano impossessati anche
dei beni di Sant'Angelo; ma il Re di Francia Luigi XII è costretto
a firmare le pergamene per la restituzione di detti beni ai fratelli Giovanni
e Galeazzo Bolognini Attendolo.
Francesco I° Re di Francia, scende poi in Italia con poderoso esercito,
ed a Marignano vince la famosa battaglia di Ognissanti e diviene Duca
di Milano. Anche Sant'Angelo deve cedere all'usurpatore. Si tenta allora
di scuotere il giogo. Francesco I° torna nuovamente in Italia per
la riconquista della Lombardia, tentando a Pavia la cacciata degli spagnoli
di Carlo V. Nel Gennaio 1525 le truppe francesi presidiavano il castello
di Sant'Angelo comandate dal principe Pirro di Gonzaga. La popolazione
saputo che il Duca d'Avalos marchese di Pescara (marito della poetessa
Vittoria Colonna) con un contingente di truppe spagnole si recava da Milano
a Pavia puntando su Sant'Angelo, si concentrò, come sempre avveniva
nelle gtristi giornate d'invasione, nel Borgo fortificato. Si alzarono
i due ponti levatoi, si sbarrarono le porte e si attese trepidando. Il
piano del Marchese di Pescara, che doveva portare aiuto a Carlo V, assediante
Francesco I° in Pavia, era semplice: conquistare e demolire la fortezza
di Sant'Angelo per non evere nemici alle spalle, e vi riuscì.
Paolo Giovio nel libro V della sua "Vita del Marchese di Pescara",
descrive anche nei minuti particolari ed in numerose pagine le fasi delle
sanguinose giornate di Sant'Angelo. Il Generale disponeva di forze preponderanti
ed aveva altresì i migliori comandanti dell'esercito spagnolo,
quali: il conte Lanoia, il Principe di Borbone, il Conte di Leyna, il
Conte Da Capua, il Marchese del Vasto ed altri valorosissimi. Fu facile
aprire una breccia nelle mura di cinta del borgo nel lato Ovest, in località
Terraggio.
Al suono a stormo delle campane che annunciavano la caduta del borgo tutti
cercarono rifugio nel castello, ma era tanta la ressa che il ponte levatoio
non potè essere alzato a tempo, nè si poterono chiudere
le poderose porte, si che coi cittadini sgomenti, entrarono pure nel Castello
le truppe vincitrici. E tale era il risentimento degli spagnoli per le
gravi perdite subite, che la vendetta fu feroce: tutto andò distrutto
e bruciato; il sacco del borgo e del castello fu concesso ai soldati;
il borgo che il Giovio chiamava già "abbondante di tutte le
cose, et assai celebre per un frequentatissimo mercato". Durante
il sacco, il Principe Gonzaga, il fratello suo, il nipote Cagnino, alcune
Dame ed ancelle ed i capitani francesi, vennero rinchiusi in una sala
vicino alla cappella perchè non avessero a subire altre ingiurie
dalla bassa soldatesca.
Questa vittoria influì grandemente sulle sorti della battaglia
di Pavia, in modo sfavorevole alle armi francesi. Venne fatto prigioniero
lo stesso Re Francesco I° e rinchiuso nella torre di Pizzighettone,
da dove scrisse alla madre la storica frase: "Tutto è perduto,
fuorchè l'onore!". Nel 1528 presidiava il castello il Conte
di Leyna, padre della Monaca di Monza dei Promessi Sposi manzoniani, che
fu fatto sloggiare da uno dei Medici, Duca di Urbino. Ma il Di Leyna volle
prendersi la rivincita e con l'aiuto di Ludovico III, principe di Lugo,
venne con 7.000 uomini a mettere assedio a Sant'Angelo, attaccando la
guarnigione, "con l'occasione di una continua piova che rendeva inutili
gli archibugi, ed accostati i suoi con le spade e picche, diede l'assalto
valorosamente et non potendo quelli di dentro tenere le corde per fare
il fuoco ed essendo necessità virtù combattere colle armi
bianche, sbigottiti, cominciarono a ritirarsi dalle mura, et la fortezza
vi fu così espugnata".
Continuarono le battaglie ed i saccheggi. Dal 1624 al 1644 "fu epoca
luttuosissima per carestia, guerre e pestilenze". Terribile la peste
del 1630. Di Saint Pol ebbe il castello con truppe francesi. Nel 1696
Sant'Angelo soffrì un sacco dai Bavari; e l'ultimo fatto d'armi
che riguardi il nostro castello fu quello accaduto nella notte dal 10
all'11 Settembre 1745. Duemila soldati spagnoli, aiutati dalla quiete
del posto, sorpresero 300 tedeschi, i quali a forze così numerose,
furono costretti a cedere le armi. Narra in proposito Carlo Botta che:
"lo spavento et le grida che andavano al cielo in Sant'Angelo in
quella occasione e molto d'orrore nessuno se lo immagina".
E poi ancora devastazioni per le frequenti guerre tra francesi e tedeschi,
miseria, carestie, mortalità di peste. Nel 1796 si fermarono ancora
in Castello (ospiti sgraditissimi) truppe francesi, comandate dal Marchese
di Bennont accorso poi a Lodi in aiuto a Napoleone. Anche la Rivoluzione
francese ebbe a Sant'Angelo le sue ripercussioni. L'albero della libertà
fu piantato in piazza; ma nella notte del 5 Giugno fu abbattuto, pare,
per opera di un certo Corbellini. E' naturale che dopo simili vandalismi,
incendi, saccheggi, poco o nulla sia rimasto delle antiche costruzioni
medievali che arricchivano il nostro paese.
Rimase il castello e traccia del borgo fortificato. Anche le chiese soffrirono
le ingiurie del tempo e delle devastazioni. Rimase il campanile della
fine del 1400, riaccomodato in divesre epoche e con diversi stili, alto,
snello, lanciato nel cielo a testimoniare quella fede che, battaglie,
miseria e fame non avevano saputo nè distruggere nè affievolire.
I Barazza
Parecchio si è scritto e molto fu detto, senza però nessun
documento storico, sulla famiglia Barazza, come di una famiglia spagnola
giunta fra noi e che presto si accaparrò la stima e la simpatia
dei popolani i quali, perseguitati ed angariati dai tributi dei castellani,
cercavano protezione ai nuovi signori. Comunque sia, pare certo che i
Barazza non fossero spagnoli, perchè appunto i Bolognini erano
degli spagnoli fedelissimi amici.
Famiglia non nobile, ma facoltosa, abitava oltre il Lambro in un pretenzioso
palazzotto le cui rovine furono poi adattate, e lo sono ancora oggi, a
dimora popolare. Si hanno notizie dei Barazza (archivio Parrocchiale)
fin dal 1500 al tempo del Conte Paolo, il quale lasciò un triste
ricordo di malvagità. I perseguitati che trovarono nei Barazza
protezione ed aiuto, si unirono e misero in effetto ribellioni e tumulti
ad ogni inasprimento di tributi o davanti a ritenuti sopprusi feudali.
Si unirono quasi in un partito chiamandosi Barazzini.
Nel 1624 (8 luglio) Tommaso Semenza ferito in una lite dai bravi dei Bolognini,
si ferma nella casa parrocchiale qualche giorno, ospite del parroco. Tre
anni dopo un altro Semenza Paolo anch'esso gravemente ferito, ottenne
le debite licenze vescovili, è ricoverato in una cameretta vicino
all'organo della Chiesa Parrocchiale. Pare che in seguito sia potuto fuggire
e mettersi in salvo nottetempo. Di questi episodi è piena la storia
di quegli anni. Queste ribellioni e lotte al potere costituito, diedero
occasione a mali intenzionati di perpetrare furti e saccheggi anche sui
beni dei poveri. E' del 5 maggio 1649 un monitorio del Vescovo di Lodi
a favore del Monte di Pietà locale, nel quale si precisa che "alcuni
figlioli di iniquità indebitamente si sono appropriati di oro,
argento, anelli, collane, gemme, mercanzia di qualsivoglia sorte, come:
denari, formento, vino, olio, peltro, rame, ottone, filo, tele,tovaglie,
lenzuoli, facioletti, camisce, sgiugamani, scossali, ecc." e si lanciano
scomuniche contro coloro che conoscendo i detentori non si curano di denunciarli.
La famiglia Barazza si spense verso la metà del 1700 con un tragico
finale. Durante le aspre vicende tra santangiolini e barazzini sorgeva
un intreccio amoroso tra un figlio dei Conti Bolognini e la figlia dei
Barazza chiamata Rosa. Ciò non piacque ai Barazzini i quali assalirono
il giovane innamorato che si recava al convegno amoroso e lo assassinarono,
gettando poi il cadavere nel Lambro. Di contro, i seguaci dei Bolognini
imprigionarono la pia Rosa in una cella della torre ove poi venne "occisa".
Sorgeva a questo punto la vertenza del come dare sepoltura alla Barazza.
Il parroco di allora chiese consiglio al Vescovo di Lodi e questi rispondeva:
"Siccome tu mi dici che la condannata è pia e di buona condotta,
ti ordino di fare i funerali religiosi" e siccome il parroco temeva
una rappresaglia dei Bolognini, il funerale "fu celebrato solennemente
dallo P. Priore degli Agostiniani presenti li suoi frati" e la salma
venne inumata nella chiesa parrocchiale nella tomba di famiglia davanti
alla Cappella della Madonna.
Gli ultimi avvenimenti
Le devastazioni e le ingiurie del tempo avevano mal ridotto quello che
era chiamato "magnifico castello", ed allora i nobili feudatari
abbandonarono l'avita dimora trasferendosi a Milano conservandone però
una parte. e lasciando il resto in uso e proprietà dei diversi
rami della famiglia. Fu l'epoca della rovina quasi totale. Lontani dal
paese, i Bolognini però furono sempre vicini al loro popolo beneficando
ed incoraggiando le opere di bene. Intanto la storia continua.
L'arciduca Ranieri d'Austria viene a Sant'Angelo il 28 Ottobre 1825 e
visita i lavori del ponte sul Lambro, e vi ritorna il 19 Maggio 1840.
Piccole ma interessanti notizie. Il 6 maggio 1834 "prima comparsa
della banda colla nuova montura". Di nuovo calamità, siccità,
miseria; e nel 1836 colera con grande mortalità. Per contro sorgono
opere di bene. Nel 1831 si inaugura l'Ospedale Delmati e nel 1860 vi entrano
le suore della Carità. Nel 1838 Don Domenico Savarè fonda
l'Orfanotrofio Maschile. Nel 1843 le Figlie del Sacro Cuore aprono una
casa di educazione per le fanciulle e poi un orfanotrofio femminile. Nel
1879 (8 Giugno), inaugurazione dell'Oratorio Maschile presso la Chiesa
di San bartolomeo, oratorio visitato pochi anni dopo da San Giovanni Bosco.
1884: apertura dell'Istituto dei Vecchi, fondato da Mons. Dedè.
1877: istituzione delle Conferenze di S. Vincenzo per l'aiuto ai poveri
del paese.
Sotto la dominazione austriaca i nobili castellani uniti ai patrioti Santangiolini
preparano il movimento rivoluzionario. Nel 1848 a Milano scoppia la rivoluzione
ed anche a Sant'Angelo si fanno dimostrazioni; e quando passa dal nostro
paese Carlo Alberto, l'entusiasmo è indescrivibile. Il 19 settembre
1859 è di passaggio il Re Vittorio Emanuele II, accompagnato dal
principe di Carignano, accolto e salutato dai dignitari del luogo sotto
uno sfarzoso padiglione. Nel 1860 venne eletto primo Sindaco di S. Angelo
Raimondo Pandini.
Quattro Conti Attendolo Bolognini: Pio, Luigi, Giuseppe ed Ercole hanno
militato nelle file Garibaldine; la loro sorella Luisa sposata al Capitano
Biagio Perduca, caduto per la Patria, fu tra le più animose donne
pavesi, amica carissima di Adelaide Cairoli. Ai Bolognini si unirono come
volontari Devecchi Carlo e l'Avv. Semenza Antonio. A chiusura di queste
brevi note storiche, non posso non ricordare un giorno tristissimo.
Quando moriva l'ultimo feudatario Conte G. Giacomo Attendolo Bolognini
grande patriota e cugino del Marchese Giorgio Pallavicino, lasciava eredi
del vistosissimo patrimonio le figlie Clotilde sposata al Conte Morando
ed Eugenia Duchessa Litta. Le ultime eredi della storica famiglia donarono
le loro ricchezze rispettivamente al figlio e nipote Gian Giacomo Morando
il quale volle - in ricordo dei suoi avi - restaurare il castello. I lavori
erano incominciati fin dal 1903 e molto materiale era accumulato nell'edificio.
La notte memoranda del 16 Luglio 1911 scoppiò un terribile incendio,
nei locali della filanda, che occupava la parte superiore del castello.
L'enorme materiale combustibile in esso raccolto aggiunto ai soffitti
del piano superiore fu facile esca al fuoco che ridusse il Castello un
rogo immenso, paurosissimo che durò due giorni. Fortunatamente
le mura possenti resistettero e con le mura anche le volte del primo piano.
Si è potuto così salvare la maggior parte dei mobili, dei
quadri e l'armeria. Ma parecchi tesori artistici andarono inesorabilmente
perduti. L'unico locale non difeso dalle volte era l'archivio che andò
quasi completamente distrutto con mobili ed oggetti artistici del 1300.
Si persero così anche documenti preziosissimi per la storia della
casa Bolognini.
Il Conte G. Giacomo Morando Bolognini riprese con maggior entusiasmo i
restauri, spendendovi somme enormi. Demolì parte delle costruzioni
moderne che chiudevano tutt'intorno il castello rendendolo imponente e
magnifico come lo ammiriamo ancora oggi. I mobili rimasti furono poi sistemati
come si potrebbero vedere in una antica dimora medievale.
L'ultima proprietaria la Contessa Lydia Morando Bolognini, nata contessa
Caprara, lasciva in morte erede di tutti i suoi beni di Sant'Angelo l'Istituto
di Genetica di Roma, che fedele alla volontà della testataria tiene
il castello con signorilità, aprendolo al pubblico perchè
sia visitato e mentenendo anche la Scuola professionale d'arti e mestieri
"Gian Giacomo Morando Bolognini" che prepara i nostri giovani
al lavoro.
Oltre alla basilica splendida ed il castello, il nostro pese custodisce
un altro importante monumento: la casa natale di Santa Francesca Cabrini,
piccola e povera, ma grande per i ricordi che racchiude e cara più
di ogni altra cosa ai buoni santangiolini. La casa è classicamente
lombarda a un piano, con le basse gronde spioventi, la scaletta di legno,
il focolare di rossomattone, i rami delle antiche reggiore e le maioliche.
Dietro era la piccola aia, dove Agostino Cabrini, che batteva il frumento,
vide intrigarsi al cuoio della verga una colomba di meravigliosa bellezza,
la bianca colomba che annunziava la nascita di Francesca: 15 Luglio 1850.
Ora al posto dell'aia c'è un giardinetto di mirti e di rose, con
una piccola grotta della madonna di Lourdes. Vi zampilla una fontanina
perenne, con un canto lieve, e vigilano piccole bianche colombe. La grande
madre degli emigranti, la viaggiatrice instancabile, la costruttrice di
80 case e la consolazione di innumerevoli anime, ha respirato in questa
luce, è sbocciata in questa aura di povertà operosa e di
serena fede popolana. Tutto il paese porta la sua impronta.
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