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Città
di Peschiera Borromeo
(Provincia di Milano)
Amministrazione Comunale
Per chi vive
gran parte dell'anno rinchiuso in una città avvelenata dallo smog,
rovinata dallo stress metropolitano, maggio è il mese deputato
alle gite fuori porta, ove ritemprarsi il fisico e la mente. Grazie al
cielo Peschiera Borromeo è esente da questi mali.
Tra i Comuni dell'hinterland, noi vantiamo una qualità della vita
invidiabile, grandissimi spazi verdi, più ordine e pulizia; l'interesse
per un ambiente ancora a misura d'uomo, è al primo posto delle
preoccupazioni mie e della Giunta. Certo, possiamo ancora fare di meglio,
con la collaborazione di tutti. Comunque, resta il fatto che a Peschiera
Borromeo, passeggiare in tutta serenità nei parchi cittadini o
in campagna è un'opportunità praticabile ogni giorno, appena
dietro casa. Le possibilità sono tante.
Fra i vari itinerari, io come molti, con la mia famiglia, gira e rigira
finisco quasi sempre davanti al Castello di Peschiera, il nostro "più
bel fiore all'occhiello". Ai cari concittadini, in questo mese di
maggio facciamo un regalo che sappiamo gradito, lungamente atteso e sospirato:
offriamo una visita all'interno del turrito maniero. Un'occasione, da
non perdere, resa possibile dalla squisita cortesia e disponibilità
del proprietario, il Conte Gian Vico Borromeo.
Potremo quindi soffermarci nel giardino del Castello, sostare sul ponte
levatoio, entrare finalmente nel cortile e nel Museo, per la prima volta
aperto al pubblico nella sua interezza.
Questo opuscolo che presentiamo, è stato redatto con la consueta
competenza e bravura dal Professor Sergio Leondi, esperto di storia locale;
la parte iniziale serve come guida per scoprire l'arte e la storia del
Castello; la seconda parte serve invece da introduzione e commento ad
una doppia mostra, allestita in alcune Sale del Museo, così intitolata:
"I mulini. Antiche vie
del lavoro".
Argomento suggestivo, che si inserisce magnificamente nella preziosa cornice
che fa da sfondo: il Castello Borromeo. Al di là dell'oggetto intrinseco
di indagine, ragionare su quel che ha significato il fenomeno mulino,
equivale a capire una fase importante del processo storico che ha portato
il nostro Comune a diventare quello che è attualmente sotto il
profilo socio-economico: una comunità viva e stimolante, con un
tessuto produttivo sano, fatto di tante piccole e medie aziende artigiane
ed industriali, e di fattorie moderne e funzionali.
Quella del mulino, è un'occasione ulteriore per guardare al passato
in maniera lungimirante, di comprendere da dove veniamo per proseguire
e migliorare il nostro cammino. Avendo cura di ciò che i Padri
ci hanno lasciato, che noi dobbiamo salvaguardare e tramandare ai nostri
figli e nipoti.
Curatore della duplice mostra sui mulini della zona è lo stesso
Professor Leondi; una l'ha firmata in proprio, nell'altra ha coordinato
una équipe di docenti della Scuola Media Statale Virgilio di Peschiera
Borromeo.
Per diversi mesi, questi insegnanti e i loro alunni, quasi 200, hanno
condotto uno studio appassionato, le cui risultanze vengono ora esibite
pubblicamente. Ad essi in primo luogo, alla Presidenza che ha creduto
nella validità della ricerca, al Professor Leondi, va il mio plauso
più caloroso.
Invogliare i giovani a studiare Peschiera, abituarli a valutare correttamente
le testimonianze prodotte nel corso dei secoli dai nostri avi, far capire
ai ragazzi che il futuro del nostro territorio è nelle loro mani,
sono obiettivi che condivido pienamente. Come Sindaco, sono orgoglioso
di vedere che tantissimi cittadini, sempre più numerosi, dimostrano
sentimenti di amore e rispetto verso tutto ciò che di bello, buono,
utile e valido questa terra ha saputo regalarci, anno dopo anno.
Marco Malinverno, Sindaco di Peschiera Borromeo
IL CASTELLO DI PESCHIERA BORROMEO
Vengono anche da lontano a rimirarlo, a fotografarlo, a dipingerlo su
tela: costituisce per il nostro Comune il più bel fiore all'occhiello,
che altri fortemente ci invidiano.
Per una felice circostanza, su iniziativa del Sindaco Marco Malinverno
e della Amministrazione Comunale il Castello di Peschiera Borromeo adesso
spalanca le sue porte al pubblico; sulla soglia principale ci accoglie
e ci invita alla visita il Conte Gian Vico Borromeo, attuale castellano,
grazie alla cui cortesia e disponibilità concittadini e non potranno
vivere un'esperienza indimenticabile, assaporare profumi, luci, colori,
suoni, atmosfere e sensazioni del bel tempo che fu, quando i re e le regine,
le dame e i cavalier, discorrevano d'armi e d'amori...
Il Castello di Peschiera è il più antico possedimento lombardo
dei Borromeo, famiglia originaria di San Miniato in Toscana. Facoltosi
mercanti e banchieri di fede ghibellina, in questa località nel
1370 vennero privati dei loro beni e mandati in esilio ad opera del partito
avverso, i guelfi. Margherita, figlia di Filippo Borromeo (decapitato
sul patibolo), sposò Giacobino Vitaliani di Padova; dall'unione
nacque Vitaliano. Chiamato a Milano da uno zio materno, il giovane adottò
il cognome Borromeo, ereditandone tutte le sostanze e divenendo il capostipite
del casato da cui derivarono San Carlo e Federigo Borromeo, fino agli
attuali discendenti.
Abilissimo finanziere, accorto politico, Vitaliano diventò l'uomo
di fiducia di Filippo Maria Visconti, signore del Ducato milanese. Nel
1427 acquistò dai frati agostiniani che gestivano l'Ospedale Nuovo
di Milano alcune loro proprietà situate tra Fiorano e Mirazzano,
definite genericamente come le "cassine de' frati neri" (dal
colore dell'abito di quei religiosi).
Una di queste cascine, accanto ad uno stagno o peschiera, dieci anni dopo
fu fortificata con torri, fossato, ponti levatoi: nasce in pratica il
monumento di cui andiamo parlando, giunto sino ai giorni nostri.
Per un certo periodo il castello appartenne a San Carlo Borromeo, cardinale
e arcivescovo, e fu da questi frequentato ed abitato: racconta un contemporaneo
che mentre lui e Federico, fratello di Carlo, si dilettavano di pesca
gettando lenze nel peschierino, l'allora giovane abate si ritirava in
disparte, a pregare e meditare.
Dopo la morte prematura di Federico, San Carlo rimase l'unico erede dei
beni di famiglia; e tale rimase fino al 1567, allorché li donò
allo zio Giulio Cesare Borromeo, padre di Renato e di Federigo, immortalato
dal Manzoni nei Promessi Sposi.
Fu Renato, il primogenito e continuatore della stirpe, ad imprimere al
castello la fisionomia che tuttora ammiriamo; specie dopo il matrimonio
con Ersilia Farnese (1579), egli elesse Peschiera a sua dimora preferita,
subito dopo l'avìto palazzo di Milano; cambiò volto all'edificio,
facendone non una fortezza usa alla guerra, bensì una residenza
quasi principesca, splendidamente affrescata, ove trascorrere in ozio
e letizia buona parte dell'anno.
GLI ESTERNI
Del castello colpisce innanzitutto l'alta torre centrale, alla quale fanno
corona quattro torrioni angolari, emergenti dall'acqua. Quest'ultima conferisce
un fascino particolare al fabbricato; caso quasi unico in Lombardia, il
fossato non è all'asciutto; nella peschiera antichissima, da cui
ha preso il nome l'intero complesso, ancor oggi nuotano pesci di varie
specie; e di tanto in tanto vedi scivolare sull'acqua candidi cigni, maestosi
e regali...
In un libro édito nel 1971, il Conte Gian Vico Borromeo descrive
ampiamente i complessi lavori di restauro iniziati dal padre allorché
il castello di Peschiera, dopo essere stato venduto ai Besostri nel 1870,
venne riacquistato nel 1926: "gli ultimi due secoli avevano lasciato
la loro impronta d'erosione e di incuria e anche di arbitrarie ed incresciose
sovrastrutture e trasformazioni", sostiene il Conte.
Dalla torre centrale e dalla facciata venne rimosso l'intonaco che malamente
le ricopriva; tornò il mattone a vista, com'era all'inizio, e l'edificio
su questo lato assunse un aspetto più solenne e austero. In seguito
allo scrostamento emersero fra l'altro motivi araldici come l'Humilitas
e il morso, nonché finestre a sesto acuto.
Sopravvive l'intonaco sui lati ovest e nord, con resti di pitture seicentesche
di scarso pregio artistico, ad archi contigui su pallidi sfondi alternati
rossi e gialli.
Il lato orientale, che al contrario degli altri tre, dotati di spalti,
scende a scarpa direttamente nell'acqua del fossato, non è mai
stato affrescato. Qui esisteva un ingresso secondario al castello, di
cui si riscontrano tracce evidenti, e in asse forse una torre, poi decapitata
e trasformata in cappella.
L'ingresso principale era ed è rimasto quello alla base della quadrata
torre centrale, ove troviamo un locale a volta ingentilito da motivi araldici
e ornamenti floreali, con aperture sugli spalti. Ancora nel corso del
secolo XVIII la torre era preceduta da un rivellino, bassa costruzione
difensiva, del quale come vedremo resta testimonianza in una pittura all'interno
del castello.
A quest'ultimo si accedeva sorpassato un ponte levatoio (sulla torre sono
ancora presenti le incavature per i bolzoni, le due travi per alzare il
ponte). Un altro ponticello movibile c'era e resiste tuttora sul lato
occidentale dell'edificio; metteva ad un magnifico giardino all'italiana,
con siepi, alberi, fiori, vasche e fontane zampillanti acqua.
Sulla facciata della torre, sopra l'ingresso, bassorilievo in marmo con
le iniziali CO.I.B. ( Conte Johannes Borromeo) e figure araldiche.
Varcato il portone, ci si presenta un cortile pressoché quadrato:
a sinistra, ambiente porticato con nove archi su pilastri di mattoni,
non esistente in antico, ma risultato delle trasformazioni promosse da
Renato Borromeo. A destra, al centro la Cappella gentilizia, intitolata
a San Carlo, congiunta ai lati settentrionale e meridionale del castello
da due muri, cavedi o cortiletti.
IL MUSEO
E' il momento adesso di avvicinarci finalmente a quello che viene chiamato
il Museo del Castello, per la prima volta aperto al pubblico nella sua
globalità (due anni orsono, in occasione della mostra su "San
Benedetto il Fondatore", fu possibile accedere solo alle prime tre
sale).
L'entrata sta nell'angolo di nord-ovest del cortile; le note seguenti
illustrano brevemente ciò che vedremo man mano, passando da una
sala all'altra.
1) Sala delle armature - Vestibolo (ai piedi dello scalone) arredato
con armature antiche, lance e spade. Frutto dei restauri operati dal Conte
Gian Carlo Borromeo il pavimento a lastroni di pietra, il soffitto a cassettoni,
il camino.
2) Scalone - E' rimasto lo stesso dei tempi di San Carlo. Sulle
pareti, nella fascia in alto, pitture della fine del Cinquecento a grottesche
si alternano a paesaggi di fantasia; nella zona sottostante motivi floreali
e finta balaustra, databili al secolo scorso.
3) Sala delle grottesche - Protagonista assoluto è il genere
a grottesche, carico di significati simbolici, esoterici, magici, caratterizzato
da fantasiosi ghirigori, festoni vegetali, tempietti, fiaccole, bracieri,
lucerne, vasi, figure antropomorfe e fitomorfe. Cosa sono le grottesche?
Esse hanno assunto tale denominazione, a fine Quattrocento, in seguito
alla scoperta nel sottosuolo della Capitale (le grotte) di resti di antiche
case romane, le cui pareti erano adornate con decorazioni di questo tipo,
subito riprodotte dagli artisti contemporanei nelle abitazioni patrizie
e, secondo l'interpretazione di Raffaello, nelle Logge Vaticane; grottesche
da grotte, quindi. Una moda che durò un secolo e più, un
genere pittorico che nel castello di Peschiera domina incontrastato (cauti
sondaggi effettuati in alcune sale ricoperte da pitture differenti, hanno
consentito di appurare che nello strato sottostante ne esistono altre,
più antiche, a grottesche).
Sopra alla porta che introduce nel salone, in quest'ultimo, come già
sulla parete di fondo in cima allo scalone, campeggia la scritta ERFB,
iniziali incrociate di Ersilia Farnese e Renato Borromeo, convolati a
giuste nozze nel 1579: quella sigla assume pertanto il valore di una simbolica
firma. Attorno a tale data, furono Ersilia e Renato a commissionare quei
dipinti, a loro imperitura memoria.
4) Salone principale - Il cuore, lo scrigno del Castello! Qui più
che altrove trionfa l'armonia, l'arte, senti pulsare la storia, riesci
ad immaginare al tuo fianco gli antichi e importanti personaggi che risiedettero
in questa nobile dimora.
L'ampio locale, tre finestre a sinistra, altrettante a destra, un capace
camino in pietra nel fondo, è completamente affrescato: in modo
straordinario! Nella striscia superiore, delimitata dal soffitto a cassettoni
e dalla linea delle finestre, fantasmagorico rincorrersi di grottesche
e paesaggi, tra i quali spicca, sopra alla porta d'entrata ed alla sigla
ERFB, un mulino ad acqua.
Distribuite sulle pareti, otto bellissime scene allegoriche, ciascuna
di esse racchiusa dentro una cornice ottagonale dipinta; tutt'intorno
grottesche e fregi multicolori. Queste scene rappresentano concetti morali:
ognuna introdotta da una didascalia in lingua latina inscritta su cartiglio
volante.
Partendo dall'angolo sinistro del salone, ecco la successione delle raffigurazioni,
relative traduzioni o meglio paràfrasi, nostra personale interpretazione
(da prendere ovviamente con beneficio d'inventario).
A proposito della penultima scena, da noi contrassegnata con la lettera
G, per lunga consuetudine si è soliti collegarla ad un fatto storico
realmente accaduto qui a Peschiera, di cui puntualmente daremo conto.
Forse era così anche per i rimanenti riquadri, tuttavia di questi
eventuali abbinamenti e spiegazioni s'è persa la memoria.
LE OTTO ALLEGORIE
a) La serie delle allegorie si apre mostrando in primo piano un
tenero agnellino che, ignaro del pericolo, stava per essere ghermito da
un drago malefico. Per sua fortuna è sopraggiunto l'unicorno (fantastico
cavallo bianco che compare anche sullo stemma Borromeo), a trafiggere
l'assalitore. TUTUM PROPE TUTUM: la salvezza si accompagni alla prudenza!
b) PAULATIM UT TUTIUS (a poco a poco per essere più sicuro):
lo scimmione incatenato precariamente all'albero, medita sul da farsi.
Per quanto sciocco, anche un essere simile capisce che occorre procedere
con cautela, se non si vuol correre il rischio di peggiorare la situazione.
c) Le virtù della pazienza e della tenacia vengono auspicate
nuovamente nella terza scena: SPES LABOREM IGNORAT (la speranza, l'aspettativa,
ignorano la fatica). Un levriero insegue un cerbiatto: il desiderio ardente
di raggiungere l'obiettivo annulla ogni sforzo compiuto.
d) INNOXIA SERPIT - Il ramo d'edera avvolge la colonna di marmo:
è come un serpente, ma innocuo!
e) Non così quest'altro. Sotto la scritta BONI NONTIUS ET
MALI FRENUM, una candida cicogna cattura un serpente: l'esortazione è
di essere annunciatori, portatori di bene, e freno al male. Sullo sfondo,
neri uccelli del malaugurio fuggono via.
f) PERMANENS VERITAS - Nubi scure e tempestose vengono soffiate
lontano da un volto angelico, così che il sole può tornare
a risplendere: la verità vince e scaccia la menzogna.
g) Ulteriore ripetizione di un concetto già espresso: DULCEDINI
PRAEVIUS LABOR. Due mani liberano la castagna dal suo insidioso involucro
di spine; solo il lavoro assiduo e perseverante conquista come premio
la dolcezza. Questo motto ed il dipinto sarebbero da collegare ad un avvenimento
storico, che ebbe come protagonista Francesco Sforza. Nel 1449 egli fu
ospitato nel castello di Peschiera col suo stato maggiore. Attorno al
tavolo del salone il famoso Condottiero progettò la conquista del
Ducato milanese, conseguita nel febbraio successivo.
La castagna simboleggerebbe cioè Milano, soave ricompensa per le
tante fatiche sofferte e la longanimità dimostrata.
Per ricambiare i Borromeo dell'aiuto prestatogli, Francesco Sforza il
25 maggio 1450 confermò a Filippo, figlio di Vitaliano, feudi,
immunità, nonché il titolo di Conte di Arona; undici anni
dopo, il 12 maggio 1461, lo insignì pure del titolo di Conte di
Peschiera, trasmissibile agli eredi.
h) Con l'unicorno abbiamo iniziato la carrellata di didascalie
e figure; qui finiamo tornando ad un secondo immacolato destriero, stavolta
mancante del leggendario attributo mitologico, il corno trafittore. MAGNANIMO
SIT VICISSE, magnanimo sia chi vince: un fiero, vittorioso cavallo bianco
volge lo sguardo su un animale mostruoso, chino e in fuga. La superiorità
si manifesti anche dimostrando generosità.
L'AUTORE DEI DIPINTI
In assenza di firme autografe e documentazione, l'autore delle decorazioni
del salone e delle grottesche alternate a paesaggi presenti pure in altre
sale del castello, potrebbe essere identificato in Cesare Baglione, pittore
nato a Cremona intorno alla metà del Cinquecento.
L'attribuzione nasce dal fatto che il Baglione prestò servizio
a Parma e Piacenza dal 1574 al 1615, anno della sua morte, presso la corte
dei Duchi Farnese, da cui proveniva Ersilia, andata sposa nel 1579 a Renato
Borromeo. Ranuccio I gli assegnò un congruo stipendio con l'obbligo
"di lavorare continuamente per Sua Altezza di pittura in tutto e
per tutto dove gli sarà comandato".
Ebbene, considerando che l'artista affrescò vari castelli dell'Emilia
Romagna con motivi a grottesche, verificate somiglianze, coincidenze stilistiche,
cronologiche, viene spontaneo concludere che Ersilia Farnese, volendo
abbellire gli interni del castello di Peschiera, chiese ed ottenne dal
marito di servirsi di un pittore da lei conosciuto e stimato in patria:
Cesare Baglione, appunto.
LE ALTRE SALE
Sala del I° mulino - Dominano i paesaggi, la natura, soprattutto
boschi ed acque; centrale è la rappresentazione di un mulino con
due ruote idrauliche. Epoca di esecuzione: il Seicento inoltrato.
Sala di San Carlo - Secondo la tradizione, in questo camera ha
dormito il Santo; prove certe non ve ne sono, ma nemmeno lo si può
escludere. La fascia alta sulle pareti è affrescata in modo pregevole
(sempre a grottesche e paesaggi), al contrario delle zone sottostanti.
Spiegazione: queste ultime un tempo erano tappezzate con velluti e drappi;
cambiata la moda, eliminate le stoffe, i muri spogli vennero ricoperti
di ornamenti dozzinali.
Sala dei laghi - Mediocri pitture baroccheggianti: sostegni e festoni
di frasche, ampi specchi d'acqua, barchette, molto cielo.
Sala delle proprietà Borroneo - Qui troviamo dipinte l'Isola
Bella sul Lago Maggiore (ancora priva del famoso palazzo realizzato da
Carlo Fontana), la Rocca di Arona dove nacque San Carlo, la Villa di Cesano
Maderno. Datazione: la metà del Seicento.
Sala del 2° mulino - Serie di archi affrescati, al cui interno
compaiono riposanti immagini paesaggistiche, tra cui un bellissimo mulino
dotato di ruota idraulica azionata dall'alto.
Sala del mare - Tra festoni e lesene, pitture a tema marinaresco,
mediocri e scialbe.
Sala del castello di Peschiera - Attraverso uno scorcio di colonne,
spicca subito a vivaci colori la mole del nostro maniero, dominato dall'alta
torre centrale e preceduto dal rivellino, costruzione merlata posta a
difesa dell'ingresso, davanti al ponte levatoio. Una tavoletta dipinta
sopra all'unica finestra, reca la data 1763; anni dopo il rivellino veniva
abbattuto.
Sala dei paesaggi - Deliziose vedute campestri, colline paesi alberi
ed acque, nuvole e uccelli, il tutto di buona fattura seicentesca.
La doppia galleria - Dietro alla lunga teoria di stanze finora
esaminate, percorriamo in successione due gallerie o corridoi. Le modeste
pitture offrono pochi spunti: fronde stilizzate e uccelli in volo per
riempire le vaste superfici. Qui è ospitata la mostra storico-documentaria
sui mulini di Peschiera Borromeo e dintorni.
La cappella - Dalla galleria o corridoio si accede da un lato alle
stanze precedentemente visitate, dall'altro alle due tribune della Cappella,
intitolata a San Carlo. In questo modo si poteva assistere alle funzioni
religiose evitando di scendere e passare per il cortile. Gli affreschi
che ricoprono la volta, le lunette e le lesene, sono di ottima esecuzione,
della stessa mano di quelli visti nel salone principale del castello;
attribuibili come abbiamo detto a Cesare Baglione.
Convaliderebbe questa ipotesi l'inserimento, nelle decorazioni della Cappella,
di oggetti riproducenti strumenti musicali: il Baglione, appassionato
di musica, "talora preso il zufolo che toccava assai bene nella mano
monca e nella dritta il pennello, a un tempo stesso sonava e pingeva";
così racconta un critico suo contemporaneo.
Di autore diverso sono le due scene laterali, meno valide dal punto di
vista artistico: Battesimo di Cristo, e San Francesco mentre riceve le
stigmate. All'altare, quadro forse della prima metà del secolo
XVII (entro una bella cornice coeva), raffigurante la Madonna col Bambino
sulle ginocchia, tra i Santi Cristoforo e Giovanni; alla destra della
Vergine, guerriero orante inginocchiato.
Con la descrizione della Cappella di San Carlo, termina la visita agli
interni del castello riservati a Museo. Altri affreschi di varie epoche,
in gran parte analoghi a quelli finora visti, sono presenti nel settore
adibito ad abitazione privata dei Conti Borromeo; nonché, molto
probabilmente, sotto strati di intonaco e calce, nei locali tuttora occupati
da inquilini.
Nel congedarci, il pensiero grato ritorna a chi ha reso possibile questa
visita, accettando con entusiasmo la proposta avanzata dal Sindaco Marco
Malinverno e dalla Giunta Comunale. Torna a quel vero signore che ci ha
porto il benvenuto all'entrata del proprio castello, e in maniera come
sempre affabile e gentile ha guidato idealmente ciascun visitatore a scoprire
un simile tesoro di arte e di storia: il Conte Gian Vico Borromeo.
DALLO STEMMA BORROMEO: L'HUMILITAS
Passando in rassegna le pitture del Castello di Peschiera, più
volte ci si imbatte nella scritta in caratteri gotici Humilitas, una delle
tante imprese, come si dice in termine araldico, dello stemma Borromeo.
Secondo alcuni risalirebbe all'imperatore Federico Barbarossa, il quale
dapprima lottò contro i Comuni italiani, ma successivamente fece
atto di sottomissione e umiliazione di fronte al papa Alessandro III,
loro difensore. Ai Borromeo sarebbe pervenuto in quanto San Miniato, terra
d'origine del Casato, era stata feudo imperiale svevo.
San Carlo Borromeo adottò l'Humilitas come ideale di vita, traendolo
dal blasone familiare; votatosi alla santità, delle imprese degli
avi conservò solo questa, uniformandovi pensiero e azione.
A qualcosa del genere, pur con le dovute proporzioni, mirò nel
1963 il Comune di Peschiera Borromeo, quando decise di introdurre nel
proprio stemma questa parola-chiave, con la quale connotare ogni deliberazione.
D'altra parte già dal 21 aprile 1863 la municipalità di
Peschiera, per distinguersi da località omonime, era stata autorizzata
ad assumere la denominazione Peschiera Borromeo: un doveroso riconoscente
omaggio verso la nobile famiglia che a questa terra ha dato e continua
a dare lustro e onore.
Bibliografia:
Gian Vico Borromeo, Il Castello di Peschiera Borromeo, Peschiera Borromeo,
1971.
Giuseppe Gerosa Brichetto - Sergio Leondi, San Carlo, i Borromeo e Peschiera
nel Cinquecento, Peschiera Borromeo, 1984.
Sergio Leondi, Peschiera Borromeo. Storie Ambienti e Antichi mattoni,
Peschiera Borromeo, 1996.
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per gentile
concessione dell'Autore, che ancora una volta ringraziamo sinceramente
Testi di Sergio Leondi
Proprietà letteraria e artistica riservata all'Autore
Impaginazione di Daniele Bertoni
Fotografie: Sergio Leondi, Paolo A. Pinter
© Copyright
1998 by: Comune di Peschiera Borromeo (Milano)
Stampato in Italia - Printed in Italy by:
Inchiostro Arti Grafiche - Gorgonzola
Aprile 1998
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