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Amelli
Cesare
La Battaglia di Marignano
Ricerche e studi sull'opera
degli Svizzeri e sui loro
rapporti con gli altri
Stati prima e dopo
la Battaglia
1965
Edizioni Istituto Storico
Melegnanese.
Tip. Mascherpa - S.Giuliano M.
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Gli errori e la disfatta
Francesco I di Francia, successo a Luigi XII, giovane ardente e brillante,
aveva, al di là di tutto il lavoro burocratico ed amministrativo
della Corte e della nazione, uno scopo personale che dava senso a tutte
le sue decisioni: riconquistare Milano. (nota
1)
I motivi per ritornare a Milano erano chiaramente emergenti nel suo animo:
le intenzioni dei suoi predecessori Luigi XII e Carlo VIII; la convinzione
di essere il legittimo erede del ducato di Milano, perchè suo nonno,
Luigi d'Orléans re di Francia assassinato nel 1407, aveva sposato
Valentina Visconti milanese, e la dinastia Visconti era poi scomparsa;
la bramosia di riscattare l'onore delle armi francesi perduto nella battaglia
di Novara; la febbre di abbassare l'orgoglio degli Svizzeri (questa era
la frase che circolava quotidianamente nella sua corte); l'ambizione di
segnare il suo avvenimento alla corona di Francia col restaurare la propria
autorità sull'Italia.
Non bisogna dimenticare che Framncesco I aveva solo vent'anni; e i motivi
per la riconquista del ducato di Milano giocavano in lui il ruolo dell'infallibilità:
forse non aveva neppure il dubbio sulla validità delle ragioni
che lo spingevano a Milano, perchè a vent'anni non si dubita sul
proprio valore e si credono vere le proprie determinazioni.
Il valore bellico reale degli Svizzeri non era valutato a sufficienza;
si voleva abbassare l'orgoglio degli Svizzeri, ma si dimenticava che gli
Svizzeri erano stati pregati e supplicati dagli stessi re francesi; e
proprio Francesco I, fino a pochi giorni prima di Marignano, riteneva
necessario continuare le trattative con loro; non contava nulla davanti
al ventenne re il fallimento dell'impresa italiana del predecessore Luigi
XII, l'uomo che aveva seguito Carlo VIII in Italia e che aveva visto gli
errori e l'impossibilità di una duratura conquista francese in
Italia, ma che nonostante questo, salito al trono a 36 anni, avendo dimenticato
tutto un passato difficile e talora ingloriosamente sanguinoso, anch'egli
si era perso dietro il sogno di grandezza nella decisione di conquistare
il Milanese come erede di valentina Visconti, l'uomo che condusse una
campagna lunga, sanguinosa, disgraziatissima, al termine della quale perdette
il Milanese ed altre pingui provincie, l'uomo che si attirò l'avversione
della corte, si inimicò la pubblica opinione, si vide annullati
i trattati già prima a lui favorevoli: e se tutto questo era capitato
ad un uomo superiore in età, in esperienza, in pratica bellica,
e in conoscenza politica delle cose italiane, a lui, Francesco I, che
cosa non doveva capitare? Ma le ragioni della saggezza non furono ascoltate:
ci risulta che in campo svizzero avvennero scontri e focosi discorsi,
ma non ci viene tramandato che in settore francese si avessero dubbi e
perplessità. Tuttavia Francesco I credeva alla vittoria definitiva,
pacifica o cruenta: Milano sarebbe stata sua!
E dal momento che gli Svizzeri erano i difensori pagati dal duca di Milano
per difendere il ducato, Francesco I tentò nuovi esperimenti pacifici
per riguadagnare quel popolo di cui si voleva abbassare l'orgoglio: non
si poteva sottovalutare, alla fin dei conti, l'influenza di quel popolo
in una guerra di Lombardia, perchè, nonostante tutte le leggerezze
di Francesco I, era ancora troppo scolpita nei capitani francesi l'esperienza
recente di Novara.
Scrisse dunque il re ai cantoni per comunicare loro la sua successione
al trono, per assicurarli della sua stima, e per comunicare il desiderio
di cancellare la memoria del passato con una pace solida e con una alleanza
perpetua. Le proposte furono portate da un ministro del duca di Savoia,
che consegnò le lettera alla Dieta Elvetica, la quale si limitò
a rispondere che era disposta a rinnovare le antiche alleanze, quando
dal re fosse sancito il Trattato di Digione come primo preliminare, senza
del quale riusciva inutile qualunque tentativo per condurre ad una riconciliazione.
Per mezzo del ministro di Savoia, vennero offerti ai Cantoni forti sussidi;
la persistenza di Francesco I sui diritti del ducato di Milano fece fallire
le trattative. I Cantoni rigettarono le offerte del re: se venivano accusati
di vendere il loro sangue, non sacrificavano però giammai all'interesse
l'onore e i loro alleati. Non così altrettanto onestamente si comporterà
il duca di Milano verso gli Svizzeri il giorno dopo la battaglia dei giganti,
rispondendo con l'inganno e con la calunnia a scrupolosi osservatori degli
impegni assunti verso di lui.
Quando i negoziati riuscirono infruttuosi, da ambo le parti si iniziarono
febbrili preparativi per la guerra. (nota
2) Ma nessuno degli Svizzeri si sarebbe immaginato di dover
perdere: la famna della loro invincibilità era nota, prima che
ad ogni altro, a loro stessi. Purtroppo Marignano sarà il primo
tracollo e la grande sorpresa. Ma ci sono uomini, come ci sono popoli,
che hanno avuto una sfortuna particolare: l'azione degli Svizzeri in Europa,
prima di Marignano, ha avuto un peso di prim'ordine, e la nazione svizzera
ha possaduto in ogni caso un'energia individuale veramente importante,
che stava per essere trasfigurata dalla leggenda. Forse, prima di Marignano,
il risultato generale della presenza degli Svizzeri in Italia è
stato così grande da straripare sempre molto al di là di
quel che si sia mai potuto dire della loro ambizione personale. Forse
(ed è un pensiero nuovo sugli Svizzeri) la loro gloria viene ad
essere più grande quando è cominciata la fine della loro
invincibilità: in tal caso, Marignano rappresenterebbe il principio
del riconoscimento che gli Svizzeri fino allora erano invincibili, e per
conseguenza, verso di loro non bisogna ingannare nel seno dell'alleanza
antifrancese: un amico invincibile al nostro fianco, per essere invincibile,
ha bisogno di tutta la nostra fedeltà e di tutto il nostro aiuto,
anche se ciò sembra un paradosso storico.
L'esercito del re si trovava già in luglio nel Delfinato ed assommava
a 50.000 combattenti. Gli Svizzeri avevano spedito 4.000 uomini per congiungersi
a quelli lasciati nelle fortezze del Ducato di Milano. A questi tennero
dietro, poco dopo, altri 15.000; e poi 10.000 ancora di Berna, Basilea,
Friburgo, Soletta; questi ultimi capitanati da Watterville, magistrato
bernese.
Nel mese di agosto finalmente altri 6.000, zurighesi e dei piccoli Cantoni,
fecero sommare l'esercito al numero di 38.000, senza comprendere quelli
che presidiavano Milano, Lodi, Como, Cremona, Brescia e Bergamo che erano
9.000. Era il più ragguardevole esercito che fosse stato mai radunato
dagli Svizzeri, e presso questo esercito vennero alcuni rappresentanti
di tutto il Corpo Elvetico: Marco Roust, borgomastro di Zurigo; Giacomo
Watteville, governatore di Berna; Alberto Stein, senatore di Berna; Giovanni
di Hertenstein, governatore di Lucerna; i Landmani Puntiner di Uri e Schwartzmaurer
di Zug; il cardinal Schinner, presidente del Consiglio di guerra.
Tutti questi, uniti ai capi di ogni Cantone, formavano il Consiglio di
guerra. Nel tempo stesso avevano ricevute anche le facoltà necessarie
per dare l'ultima mano all'alleanza della Confederazione con l'Imperatore,
con il re di Spagna, con il duca di Milano, che fu stabilita in Vercelli
e ratificata poco dopo in Lucerna, il 10 luglio 1515. Qualora fosse avvenuto
lo scontro con Francesco I, tutti i confederati avrebbero dovuto sostenerlo:
però non sarà così. (nota
3)
Già quattro anni prima, il 5 ottobre 1511, si era conclusa una
Lega Santa, diretta contro la Francia, ed ordita dal papa Giulio II, con
Venezia e con la Spagna, alla quale in un secondo tempo aderirono il re
d'Inghilterra e l'Imperatore Massimiliano I.
Ma la Lega Santa doveva durare poco perchè ciascuno dei soci ebbe
cura soprattutto dei propri interessi: il papa riteneva che fosse necessario
per il bene dell'Italia uno stato grande e forte che facesse da baluardo
agli stranieri e custodisse la pace interna nella penisola: a tal compito
Giulio II era convinto che fosse lo Stato della Chiesa quello più
adatto, sia per la sua posizione al centro dell'Italia, sia per il prestigio
morale che la religione gli riverberava, sia per le possibilità
finanziarie; il re di Spagna invece desiderava impadronirsi del reame
di navarra, nella Spagna settentrionale, che era quello alleato della
Francia; Venezia poi voleva recuperare le terre che le erano state tolte
dai Francesi; il re d'Inghilterra mirava a prendersi la Guienna, nella
Francia sud-occidentale, nel Medio Evo posseduta dagli Inglesi e teatro
di sanguinose guerra; Massimiliano imperatore cercava di trarre i possibili
guadagni, promettendo molto aiuto.
(nota 4)
Lo sviluppo e le fortune della Lega Santa del 1511 furono perciò
assai strane ed impensabili. Sul suolo italiano, le truppe francesi guidate
dal geniale condottiero Gastone di Foix, attaccarono le forze della Lega
Santa con risultati brillanti, ritolsero brescia a Venezia, e vincendo
la celebre battaglia di Ravenna (1512), dove i Francesi vittoriosi saccheggiarono
orrendamente la città. ma la morte sul campo del comandante Gastone
di Foix tolse ogni ardire ai Francesi che pensarono bene di cessare le
ostilità e di ritirarsi in Francia, per difendere la patria minacciata
dall'Inghilterra. I Francesi, vincitori in Italia, devono così
andarsene, e lasciano la Lombardia, dove entrò duca Massimiliano
Sforza, guidato dagli Svizzeri, come già dicemmo. Però,
nella sua costituzione, la Lega era in funzione antifrancese. La Lega
Santa si allentava quando Venezia, per contrasti con Giulio II, si atccò
per accostarsi alla Francia: in Italia si capiva che esere antifrancesi
rappresentava una causa per altri scopi.
Giulio II, nel suo piano antifrancese, seppe dare un grave colpo alla
Francia. A mezzo del vescovo Matteo Schinner di Sion nel vallese, potè
convincere i Confederati svizzeri che la presenza dei Francesi in Lombardia,
col tempo, avrebbe rappresentato un grave pericolo per gli stessi Svizzeri;
e, dopo trattative, Giulio II stabilù con i Cantoni un'alleanza
di cinque anni (marzo 1510), mediante la quale gli Svizzeri fornivano
seimila uomini al papa, e non avrebbero permesso altri arruolamenti in
Svizzera per nessuna potenza, se non ci fosse stato il permesso del papa.
Il vescovo Matteo Schinner, nel 1512, venne creato cardinale di santa
Pudenziana e legato papale in Lombardia.
Purtroppo Venezia era passata definitivamente con la FRancia, e il fronte
antifrancese creato da Giulio II si era frantumato: così, alla
vigilia di Marignano, noi troviamo le potenze europee diverse da quelle
che le sognava il pontefice: Luigi XII di Francia aveva stretto alleanza
con Venezia; dall'altra parte si erano schierati, in una nuova lega, il
re di Spagna, gli Svzzeri, il nuovo papa Leone X, e l'imperatore Massimiliano,
con la presenza anche dei Fiorentini.
Gli Svizzeri erano senza dubbio quelli che formavano il nerbo principale
della Lega, mentre gli altri collegati difettavano o di modi o di volontà.
Mentre Francesco I scende in Italia nel luglio ed assesta i disegni tattici,
nello schieramento avversario i soccorsi promessi dall'imperatore furono
deboli e tardi, ed occupati nel tenersi a difesa dell'esercito dei Veneziani
dopo che avevano rinnovellata l'alleanza con i Francesi; gli Spagnoli
aspettavano a congiungersi con l'esercito svizzero fichè avessero
dato l'esempio i Fiorentini e il papa; questi invece volevano averlo dagli
Spagnoli.
Questo stato di fiacchezza e di neghittosità creava scoraggiamento
negli Svizzeri, e il loro mal d'animo era vinto dal cardinal di Sion,
che marciava sempre in testa, cingendo l'elmo ed impugnando la lancia,
quasi fosse stato il loro generale: a fine luglio 1515 distribuì
centomila zecchini d'oro all'esercito.
Il fiacco comportamento dei collegati spagnoli, imperiali, fiorentini
e papalini, fu il primo motivo della sconfitta di Marignano: Francia e
Venezia erano alleate, e Francia e Venezia combatterono sul campo; di
tutti i collegati invece, solo gli svizzeri, unici fra cinque firmatari,
combatterono e morirono. Però, nonostante gli zecchini d'oro di
Schinner, non si potè far tacere una fazione formata da molti capi
e ufficilai dell'esercito svizzero: veniva rimproverato al cardinale di
condurre una guerra disastrosa per pura ambizione e per ostinato odio
contro la Francia. Watteville, governatore di Berna, era a capo di questa
fazione malcontenta: si profila il secondo motivo della sconfitta di marignano,
la discordia. Questa spegneva ogni giorno l'entusiasmo in parecchi, e
stava per essere una causa determinante che rendeva vuote le speranze
iniziali.
I generali svizzeri supponevano di aver presidiate tutte le gole conosciute
e praticabili per passare dal Delfinato francese al Piemonte, quando un
cacciatore insegnò ai Francesi la strada del Colle dell'Argentera,
che gli Svizzeri non avevano presidiato. Per essa il Trivulzio riuscì
a far passare l'avanguardia francese, che discese fino a Saluzzo; mentre
il restante dell'esercito prese la via di Demont, ove sul cammino colse
all'impensata Prospero Colonna con seicento napoletani che stavano allegramente
banchettando, e si congiunse a quelli discesi dall'Argentera
Per i collegati era questo il momento di agire: avrebbero dovuto preparare
un piano tattico, unire strategicamente le forze, immensamente superiori;
opporre alla cavalleria francese quella spagnola ed imperiale e fiorentina;
affidare l'urto della battaglia, possibilmente notturna, almeno nella
prima fase, agli Svizzeri. In tal modo Franceso i non avrebbe scritto
la lettera esultante alla madre, dopo poche ore di Marignano, mentre fumava
il sangue di migliaia di Svizzeri!
Francesco I non era nè Annibale, nè Cesare, nè tantomeno
Napoleone, per cogliere una vittoria decisiva e meritata in italia, dopo
un leggendario passaggio, descritto con enfasi che lascia il sospetto
dell'esagerazione. Gli stessi Svizzeri, storditi, irresoluti e divisi
fra loro perdettero il momento opportuno per assalire con vantaggio il
nemico: operazione che il cardinal di Sion aveva proposta, e che era stata
condivisa anche da molti generali, ma che alcuni altri contrastarono volendo
invece che si operasse una ritirata fino a Vercelli.
Alberto di Stein, senatore di Berna, si alzò in consiglio contro
la ritirata a Vercelli, ma Watteville lo fece mettere agli arresti: l'esercito
si divise in due fazioni, e quasi si veniva alle armi. Solo l'intervento
deciso di Schinner impedì la zuffa. Alberto di Stein, liberato,
abbandonò, con molte compagnie, l'esercito.
Francesco I naturalmente guardava con compiacenza questa ritirata, e tenne
dietro agli Svizzeri dissidenti fino a Torino, senza recar loro molestia;
egli stava in attesa di un grosso corpo d'armata che era sbarcato a Genova
e che veniva avanti sottomettendo Valenza, Alessandria, Tortona ed Asti.
La grave divisione degli Svizzeri davanti all'invasione francese fu il
secondo motivo che causerà la disfatta di Marignano. Non fu infatti
solo un divisione di esercito, ma fu una divisione di opinione nell'animo
stesso di ciascun soldato: in ogni milite elvetico si creava la crisi
se continuare a rimanere o se tornare alle proprie case; se ubbidire ciecamente
o se opporsi con obiezioni; se fidarsi dei collegati o se stimarli vili
ed approfittatori del loro coraggio e della loro fama; se tenere alto
il prestigio dell'invincibilità o se non esporre questo prestigio
per timore di doverlo perdere per colpa di altri. Anche il cardinale Schinner
non aveva vita facile: era stato creato cardinale da Giulio II, un papa
di idee ben decise e di propositi chiari; mentre ora doveva servire, sempre
come cardinale e come legato pontificio, un pontefice, Leone X, che non
sapeva se stare contro o in favore dei Francesi.
Tutto concorreva ad accrescere il disordine e l'irresoluzione degli Svizzeri:
seppero, per esempio, che il papa, atterrito, aveva già aperto
gli accordi con Francesco I, sebbene esortasse ancora e di continuo gli
Svizzeri ad osteggiare vigorosamente contro di lui. Irritati da tale condotta,
molti capitani svizzeri si credettero in diritto di poter pure essi venire
a patti con Francesco I. E questa opinione creò una nuova discordia
più grave tra di loro.
Una parte degli Svizzeri riteneva, come supremo dovere di onore nazionale
continuare la guerra contro la Francia e difendere il duca di Milano;
altri invece volevano che si firmasse la pace, e che si lasciasse in abbandono
una causa che veniva tradita dai medesimi che li avevano chiamati a difenderla.
E nel conflitto delle opinioni, molti si divisero tra loro, e trassero
dalla loro parte altri ancora. Dodicimila uomini, nella maggir parte di
berna, Soletta, Vallese, si volsero alla strada di Arona con lo scopo
di tornare a casa; Watteville era il capo, colui che già aveva
proposta la ritirata a Vercelli e che era stato la cusa della partenza
di Alberto di Stein.
Secondo Watteville e la sua fazione, gli alleati avrebbero voluto far
cadere sulle spalle degli Svizzeri il peso della guerra; lo stesso duca
di Milano - secondo essi - era un nemico mascherato; dicevano che le vettovaglie
scarseggiavano, e sostenevano che un'alleanza con Francesco I sarebbe
stata assai più vantaggiosa. A nostro parere, l'opinione di Watteville,
che era condivisa da una minoranza di tutto l'esercito, si presentava
indiscutibile: stava diventando chiaro che gli alleati speculavano sul
mito della invincibilità svizzera ed approfittavano di una potente
forza bellica altrui per raggiungere i loro interessi. Gli Svizzeri incominciavano
ad aprire gli occhi: Watteville era l'interprete della realtà che
stava nascosta sotto le alleanze. Quanto ai semplici soldati, essi erano
già carichi di bottino, e certamente stava a cuore il metterlo
in salvo al di là delle Alpi, e di godere i frutti in seno alle
loro famiglie. In questo clima di incertezza e di pareri discordi, avvennero
le trattative di Torino e di Gallarate tra Francesi e Svizzeri.
Nel Trattato di Gallarate (9 settembre 1515 - quattro giorni prima della
battaglia di Marignano) l'articolo principale accordava al re di Francia
ciò che gli stava maggiormente a cuore: il consenso di Cantoni
all'abdicazione del duca di Milano, che doveva essere compensato con il
ducato di Nemours in Francia. Il re si obbligava a pagare agli Svizzeri
i 40.000 scudi promessi nel Trattato di Digione, ed altri 60.000 in compenso
di un vecchio debito contratto per aiuti non pagati. Le antiche alleanze
dovevano essere rinnovate, e tutti i Cantoni Elvetici garantivano al re
di Francia il ducato di Milano, Asti e Genova; ed inoltre gli permettevano
di fare leve di soldati quanti ne abbisognasse, con il pagamento degli
stipendi che in seguito verrebbero fissati.
Francesco I ora faceva il diplomatico, se non altro perchè si trovava
in condizioni non proprio floride. I soli alleati rimastigli fedeli in
Italia, i Veneziani, lo sollecitavano vivamente, perchè sostenevano
da tanto tempo una lotta ineguale contro le armi del papa, dell'imperatore
e del re di Spagna; e se i Francesi tardavano ancora, essi si trovavano
nella triste condizione di vedersi dettar legge dai loro nemici, di dover
necessariamente unirsi nella loro Lega, stipulare con essi un accordo
per chiudere definitivamente l'ingresso in Italia alle armi francesi.
Ma a Gallarate qualche cosa non funzionava bene: chi erano i plenipotenziari
svizzeri? erano per una pace o per una guerra? Le trattative andavano
per le lunghe: forse gli Dvizzeri erano colti da sgomento per una pace
che probabilmente era poco degna di un popolo fino allora così
fedele a mantenere le promesse, e che poteva apparire opera di una fazione
piuttosto che di tutto il governo.
Mentre a Gallarate si discuteva, il cardinal di Sion si era portato al
Po: i collegati avrebbero dovuto risvegliarsi alla fine! Ma in fretta
dovette raggiungere Milano, perchè Francesco I era in Lombardia.
Dalla Svizzera arrivava il comandante Marco Rostio con ventimila uomini,
giovani, freschi, avidi di combattere. Il giorno 10 settembre, lunedì,
l'armata francese, da Landriano giunse a Melegnano; il giorno 11 giunse
la notizia che gli Svizzeri avevano raggiunto Milano.
La confusione era al colmo: a Gallarate si conducevano trattative per
far tornare gli Svizzeri a casa loro, gli Svizzeri invece venivano in
Italia; il cardinal di Sion non vuol sentire le proposte francesi ed intanto
permette che sei ambasciatori, suoi connazionali, trattino la vendita
di Milano; gli alleati nella Lega stranamente non fanno nulla per impedire
il congiungimento dei Veneziani con i Francesi, mentre Francesco I scelse
bene Marignano, perchè divideva gli Svizzeri dalle forze spagnole
e papali, che si trovavano a Piacenza. (nota
5)
Ma il piano tattico costruito da Francesco I poteva essere convertito
dai collegati in una grande sacca per intrappolare gli stessi Francesi
ed i Veneziani: nella grande linea della via Emilia, Milano-Piacenza,
lunga 70 chilometri, la Lega antifrancese poteva cogliere la più
strepitosa vittoria di tutti i tempi. Ad una estremità (Milano)
stavano gli Svizzeri, all'altre (Piacenza) vi erano le forze spagnole
e papali: gli uni e le altre potevano marciare cerso il centro della via
Emilia dove, a Marignano e a Lodi, vi erano Francesi e Veneziani, chiusi
e ben controllabili.
Dal momento che gli Svizzeri, da soli, tennero a bada i Francesi per due
giorni di combattimento a Marignano, e soltanto l'arrivo della cavalleria
Veneziana decise definitivamente le sorti, era chiaro che l'intervento
massiccio degli spagnoli e dei papalini, avrebbe mutato radicalmente le
fortune del conflitto. A Marignano non furono sconfitti gli Svizzeri per
mancanza di valore o di impegno bellico. La sconfitta di Marignano si
chiama disparità di opinioni in campo svizzero e indolenza forse
voluta dei collegati.
Ancora il giorno 13 settembre gli Svizzeri, a Milano, stavano in consiglio
se attaccare la guerra o se fare una pace. Ma il cardinal di Sion, diede
ordine di radunarsi, pronunciò un focoso discorso e guidò
l'esercito fuori di Porta Romana verso San Donato, con sei cannoni, trentamila
uomini, cinquecento cavalieri. (nota
6)
Ormai era tornata l'euforia, l'esaltazione bellica, l'ardore del fanatismo.
Nonostante gli svantaggi a carico degli Svizzeri per le loro divisioni
e per la pigrizia degli alleati, giocava a loro vantaggio l'ora dello
scontro, la sera; ed incredibilmente i Francesi avevano scelto una zona
che era inadatta alla cavalleria per la presenza di fossi, rogge e canali
con relativi allagamenti.
Oltrepassato San Donato, arrivati alle prime case di San Giuliano, un
gruppo di volontari, senza e contro il comando ed i piani dello Schinner
e del Rostio, si gettano contro i Francesi: sono i volontari dei Piccoli
Cantoni, di San Gallo e dei Grigioni, comandati da Arnoldo di Winkelried.
Parecchi Zurighesi, non sappiamo perchè, si stavano ritirando,
ma quando furono informati dal loro concittadino Rodolfo Rhan che si era
attaccata battaglia, si affrettarono al campo.
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