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Premessa
Che due dilettanti di storia pretendano di parlare
dell'impresa di Francesco I� del 1515 e lo vogliano fare proprio qui a San Giuliano
Milanese, pu� sembrare un atto di presunzione.
In questa sede, nelle varie ricorrenze, ben altri studiosi hanno sviscerato tutti i
particolari della battaglia e delle sue conseguenze sulla storia d'Italia e d'Europa, per
cui � impossibile sperare di poter dire qualcosa di nuovo o di interessante.
In realt� la nostra ricerca era partita da un obiettivo molto modesto (e che qualcuno
giudicher� piuttosto sciocco): avendo letto i libri sulla battaglia dei Giganti scritti
da due storici locali (Gerosa Brichetto e don Cesare Amelli), volevamo stabilire chi dei
due avesse ragione a proposito della dislocazione dell'accampamento di Francesco I� nei
giorni immediatamente precedenti la battaglia, e cio� il 10 e l'11 settembre 1515: il
primo riporta infatti che il Re alloggi� a Mulazzano, il secondo a Casalmaiocco.
Sull'argomento abbiamo deciso di consultare le fonti, e fra queste (numerosissime, le
bibliografie riportano almeno una cinquantina di titoli!), abbiamo scelto di partire dalle
memorie di Pasquier le Moyne, cronista al seguito di Francesco I�, che, dalle citazioni
riportate, pareva il più attendibile su questi dettagli, avendo partecipato di persona
all'impresa.
Il libro esiste purtroppo solo alla Biblioteca Nazionale di Francia, e c'� voluto un
viaggio apposito a Parigi per poterlo avere in copia.
Probabilmente � la prima volta che qualcuno, almeno nella nostra zona, ha avuto la
possibilità di consultare il libro nella sua interezza e la pazienza di decifrarlo.
Ci siamo convinti che forse altri potevano essere interessati a sapere come si presenta
questo libro e cosa racconta, visto che si tratta della memoria di un testimone oculare.
Ecco dunque il perch� della nostra presenza stasera.
Riccardo Felcaro - Giovanni Canzi
Il libro
E' composto da 209 pagine, diviso in 13 fascicoli (o
"segnature"), ciascuno di 16 pagine; ogni pagina ha il formato di circa 22 x 17
cm, a stampa.
Il titolo � piuttosto lungo: "Incoronazione del Re Francesco, I� di questo nome,
viaggio e conquista del Ducato di Milano, vittoria e cacciata degli usurpatori di questo,
con molte particolarit� sulle chiese, conventi, citt�, castelli e fortezze di questo
Ducato fatto l'anno 1515, raccolte e redatte dal monaco senza tonaca Pasquier le
Moyne". E' stato pubblicato nel 1520, editore � GILLET COUTEAU, che operava a
Parigi dal 1492.
Alla seconda pagina troviamo una cosa curiosa: la presenza di una specie di
"copyright" (all'epoca si chiamava "privilegio").
Questa forma di tutela era entrata nell'uso da circa 50 anni, anche se era concepita pi�
come mezzo di ricupero delle spese sostenute per stampare il libro che come riconoscimento
di un'opera dell'ingegno dell'autore.
E' sotto forma di un'ordinanza, firmata dal Re il 3 agosto 1519, in cui, sotto minaccia di
pene gravissime e della confisca dei libri, viene proibito a tutti gli stampatori del
Regno di stampare, per i successivi 4 anni, il libro di Pasquier: questo per garantire a
Pasquier il giusto guadagno dall'edizione che avrebbe fatta in proprio, vista la fatica e
i soldi che il libro gli era costato.
Il problema della comprensione
Decifrare il contenuto ci � costato molta fatica, per la
presenza di almeno 3 ordini di difficolt�.
la prima: il libro � stampato in caratteri gotici (ad
esempio u, n, v sono stampati allo stesso modo; s � quasi uguale alla f, ecc....)
la seconda: la lingua usata � il francese del 1500, ben
diverso dal francese attuale che studiamo a scuola
la terza: i 2/3 del libro sono scritti in poesia: la
necessit� della rima comporta l'uso di termini poetici, in molti casi difficilmente
comprensibili
Al tutto sono poi da sommare non pochi errori di stampa.
L'autore
Tutto quello che conosciamo dell'autore lo impariamo dal
libro: egli stesso dice, nell'intestazione, di essere soprannominato "monaco senza
tonaca", e, nelle prime pagine, di essere "portier ordinaire":
Gerosa e Amelli traducono questo termine con "portiere" e come
"portaordini", in realt� il termine indica invece chi ha ricevuto il primo
degli ordini minori; questa � anche l'unica informazione reperibile su enciclopedie
francesi di tutto rispetto.
La sua appartenenza agli ordini religiosi traspare anche da molti particolari del libro:
già all'inizio della parte in prosa il monaco invoca la Santissima Trinit�, ad
esaltazione della quale egli dedica la sua opera, ma anche nel seguito Dio entra spesso
nelle sue considerazioni e nei suoi giudizi.
Le date sono spesso accompagnate dal ricordo della festivit� religiosa di quel giorno:
cos� per l'8 settembre (festa della Nativit� della Madonna), per il 14 (festa della
Santa Croce), per il 29 settembre (festa di S. Michele), ecc.
La lettura del libro conferma comunque, se ce ne fosse bisogno, che Paquier non era un
militare; i suoi resoconti delle battaglie sono un disastro: una serie di annotazioni
spesso confuse, intervallate da continui elogi (per i francesi), da maledizioni (per
svizzeri e milanesi), da spunti poetici; non c'� traccia di un piano n� di una
strategia.
Anche nel numero dei combattenti e dei morti in più occasioni il nostro si contraddice.
Molti, invece, i particolari curiosi o raccapriccianti.
Un altro particolare traspare dal libro: Pasquier amava molto il vino.
Egli non perde occasione, infatti, per nominare le cascine o i paesi dove ha potuto
gustare degli ottimi bianchi e chiaretti (non cita mai i rossi) o dove invece
l'avanguardia aveva già dato fondo alle cantine...
L'inizio
Il libro � diviso in due parti, la prima quasi tutta in
poesia, la seconda in prosa.
Ambedue trattano lo stesso argomento, e cio� la calata in Italia di Francesco I� per
riconquistare il Ducato di Milano, ma la parte in poesia contiene moltissime divagazioni.
Il racconto della spedizione vera e propria � preceduto da un inizio di tipo letterario,
utilizzato per tessere una esaltazione del Re.
Pasquier dice di aver ricevuto l'incarico di redigere la cronaca dell'impresa dal
signore di Talant, uno dei comandanti dell'armata francese, e di essere rimasto turbato e
preoccupato per il compito assegnatogli, tanto da perder quasi la ragione.
In suo soccorso interviene una guida (come non pensare a Dante perso nella selva e
al soccorso di Virgilio?), un misterioso giovinetto, al quale Pasquier confessa di essere
alla ricerca della fonte della pace.
La guida gli spiega allora che quello che cerca si trova in quello stesso luogo, in quel
paese verdeggiante, pieno di fiori e alberi rigogliosi, in mezzo al quale c'� una casa
antichissima, forte e grande, con uno stemma di colore azzurro, con tre fiori di giglio
dorati (evidenti i riferimenti: Lione, la Francia, il casato Valois).
Il giovinetto accompagna Pasquier in quella casa e gli mostra quello che � il custode
della fonte della pace, il più grande degli umani, giovane, forte, potente.
Pasquier potrà sapere il suo nome componendo le iniziali delle otto virt� che lo
circondano, otto bellissime dame che reggono la sua corona.
Le virt� sono la Fedelt�, la Ragione, l'Audacia, la Nobilt�, la Cortesia,
l'Opportunit�, la Giovinezza, la Sapienza
A questo punto Pasquier capisce che � davanti al Re Francesco e si rende conto che � il
più grande uomo del mondo, che sovrasta ogni principe terrestre.
Questo Re ha deciso di espellere l'orgoglioso villano (il cardinale di Sion, capo degli
Svizzeri) che risiede al di l� dei monti e di correggere le sue malefatte.
La guida incita perci� Pasquier a partire, scrivendo fedelmente tutto ci� che avr�
appreso, trendone profitto ed onore.
E cos� Pasquier s'avvia a far parte della spedizione, montato su due buoni cavalli, al
fine di passare monti e valli ("bien mont� sur deux chevaux, � fin de passer
monts e vaulx").
La spedizione
Il viaggio dura praticamente due mesi e mezzo (dal 28
giugno, data di partenza del Re da Amboise per Lione, punto di concentramento delle
truppe, al 12 di settembre, data di arrivo a Santa Brera), con soste anche prolungate e
con tappe lunghe fino a 20 km e altre solo di quattro.
In effettti bisogna tener conto di come era composta questa carovana: oltre ai militari,
ai cavalli e alle artiglierie, c'erano paggi, servitori, vivandieri, faccendieri,
prostitute, tutta una corte dei miracoli che seguiva l'esercito vero e proprio. Gli
spostamenti, già difficoltosi per le pesanti armature dei combattenti, erano cos� ancora
più lenti.
Giorno dopo giorno, Pasquier racconta tutti gli spostamenti, le tappe, le difficolt� del
percorso; per ogni tappa egli registra puntualmente dove alloggia il Re, dove il
Connestabile, dove la cavalleria o la retroguardia.
Veniamo cos� a conoscere tutta la geografia dei territori attraversati: monti, fiumi,
valli, boschi, torrenti, citt�, castelli, chiese, conventi, mulini, ponti.
Di ognuno l'autore ricorda qualche particolare; il suo occhio si ferma compiaciuto sulla
campagna ben coltivata, sulle vigne, sugli alberi da frutto, sulla bell'ombra che fanno
certi alberi di castagno, sull'abbondanza di fieno e paglia nelle cascine.
Anche la fauna alpina incontrata (orsi, camosci, marmotte, lepri, capre, ma anche bisce)
viene da lui diligentemente annotata.
Sarebbe troppo lungo, evidentemente, seguire giorno per giorno la descrizione di Pasquier:
rispetto ai resoconti di altri cronisti il suo presenta un incredibile dettaglio nella
descrizione di ogni singola tappa.
L'altra particolarit� del suo racconto � in certe osservazioni improvvise, in certi
paragoni umoristici che sdrammatizzano eventi tristi, in richiami alle piccole cose di
ogni giorno a fronte di fatti tragici: come quando, parlando del passaggio del Po a
Torino, su un ponte malconcio, per cui molti francesi caddero in acqua e annegarono, egli
annota cinico: "bevvero senza aver sete"; o come quando, parlando dei
Milanesi che vengono a Boffalora a fare atto di fedelt� al re, osserva che "fecero
come Giuda, che baci� il suo maestro e poi lo trad�", come quando paragona gli
Svizzeri sconfitti alle "uova fritte nel burro, che vengono strapazzate nella
padella"
Pensiamo, invece, possa essere interessante seguire, passo dopo passo, il racconto di
Pasquier a partire dai primi giorni di settembre, quando l'armata arriva nei nostri paesi.
Leggiamo cos� i nomi di Binasco, Lacchiarella, Vidigulfo: qui Pasquier ricorda un bel
castello, con porte robuste e grandi ponti levatoi, dove ha potuto fare l'inchino, di
camera in camera, (dice cos�) a un gran numero di bellissime dame, delle più buone e
oneste che avesse mai visto in tutto il viaggio.
Il 10 settembre l'esercito arriva
a Melegnano
Qui per tentare di capire esattamente i movimenti del re
e dei suoi, bisogna dimenticare la topografia del giorno d'oggi e ricostruire quello che
era l'aspetto del paese nel '500; in particolare la differenza più importante � che la
via Emilia (che Pasquier chiama "le gran chemin") passava per il paese e
l'unico ponte sul Lambro (Pasquier lo chiama "Dambre") era quello che si
trova al centro del paese.
All'epoca Melegnano era probabilmente tutto sulla destra del fiume e il ponte divideva il
paese dai sobborghi.
Per alloggio del Re era stato scelto dai suoi l'albergo del Cappello Rosso,
situato, secondo alcuni, dove oggi c'� il ristorante "Al Vapore" (a nostro
avviso, invece, doveva essere sull'attuale via Vittorio Veneto, perch� Pasquier dice "
vicino alla porta, all'uscita della citt�, andando verso Milano").
Viene invece un contrordine: il Re prende alloggio nei sobborghi, oltre il ponte, vicino "all'immagine
di San Giovanni", un buon alloggio situato alla biforcazione di due strade,
davanti al quale c�� un grande olmo: noi pensiamo che il posto possa essere
individuabile nell'ex cascina Pallavicina, all'incrocio tra la strada Pandina e la
"gran strada".
I comandanti e il Connestabile si portano invece oltre, sulla gran via, in parte
all'attuale cascina Bernarda e in parte a Sordio e al Bissone.
Dunque, secondo Pasquier, il Re non si � accampato n� a Mulazzano, n� a Casalmaiocco;
egli menziona questi due paesi ("Mulsan" e "Casal") solo
per dire che sono a poca distanza dall'alloggio del Re.
Due giorni dopo l'armata ripassa per Melegnano (Pasquier ricorda che nelle vicinanze c��
un piccolo convento di Nostra Signora del Carmelo) e si accampa tra Santa Brera e Zivido
(Pasquier li chiama "Saincte Brigide" e "Genille"); il
Re in particolare alloggia a Santa Brera, che � cos� descritta: "un grande
caseggiato, con 4 o 5 grandi portici pieni di paglia e fieno e attorniata da grandi prati
e vigne, con tanta uva bianca più che in qualsiasi altro posto".
Le cantine, per�, erano vuote, perch� la fanteria, arrivata per prima, aveva bevuto
tutto il vino che c'era.
Di Zivido pasquier dice: " un bel posto, meraviglioso, che si trasform� dopo la
battaglia in un luogo molto squallido".
E arriviamo alla battaglia
Come abbiamo detto all'inizio, Pasquier non era
certamente un uomo d'arme.
Nonostante fosse presente, le sue descrizioni della battaglia, sia quella in poesia che
quella in prosa, sono, purtroppo, abbastanza deludenti: prolisse, ma anche molto confuse.
E' pur vero che egli si scusa dicendo che non poteva vedere tutto. Chi volesse
documentarsi sullo scontro farebbe bene a consultare altre fonti.
C'� per�, nel racconto di Pasquier, una serie di particolari curiosi, talvolta ingenui,
spesso sfacciatamente laudativi, a volte molto poetici, che vale la pena di riferire.
Egli ricorda, ad esempio, che mentre infuria la battaglia, il generale di Normandia cerca
di rianimare un gruppo di soldati, al grido di "Francia, Francia! Vittoria,
vittoria". Per fortuna il suo servo (di nome Isacco) gli fa notare: "Attenzione,
sono Svizzeri! Li ho riconosciuti dalle calzature!"
Parlando invece di alcuni francesi poco corraggiosi, che invece di affrontare il
nemico si danno alla fuga, dice che "corrono a dire i loro paternostri".
Non c'� occasione, tra l'altro, che non gli dia lo spunto per tessere gli elogi del Re.
Durante un attacco, nel quale gli Svizzeri riescono a spingersi cos� avanti, che
potrebbero impadronirsi di alcuni pezzi di artiglieria (se solo avessero la possibilità
di trascinarli), � solo al grido del Re: "Animo, ragazzi! Io voglio vivere o
morire con voi!" che i nostri si fanno coraggio e bloccano l'offensiva.
Cos� durante la sosta notturna, mentre i contendenti riposano, il Re - dice Pasquier -
non abbandona mai i suoi, "facendo ufficio di imperatore, di capitano, di soldato.
Neanche Giulio Cesare, Pompeo o Carlo Magno si comportarono più virtuosamente di
Francesco. Egli prende un po' di vino, poi riposa su un pezzo di artiglieria" (un
cannone a retrocarica)
Poetica � la descrizione della fine dei combattimenti la sera del 13: "Sono le 2
di notte, la luna � tramontata, l'oscurit� abbraccia ogni cosa, si accendono i fuochi
notturni. I contendenti sono stremati, molti sono feriti, a malapena anche prendendosi per
mano ci si riconosce. Una gran nuvola di polvere aumenta la confusione".
Ma anche per il mattino successivo il Nostro � ispirato: "Appare la Signora
Aurora, e la stella del mattino comincia a scoprire i suoi raggi, e a dare la sua
chiarezza radiosa".
Verso la fine del combattimento, quando gli Svizzeri vengono dispersi, alcuni fuggono
verso Milano e circa 1500 si rifugiano a Zivido, nascondendosi nelle case, nelle cantine,
nei granai, nelle colombaie.
I francesi appiccano allora il fuoco al paese e la maggior parte degli Svizzeri brucia, i
superstiti vengono uccisi. Pasquier annota con cinismo che "l'operazione richiese
ben tre ore!"
I resoconti degli altri storici danno molta importanza all'intervento dei Veneziani,
che avrebbe risolto la situazione, perch� gli Svizzeri avrebbero creduto di essere di
fronte a tutto l'esercito della Serenissima; Pasquier cita l'episodio, ma d� ad esso poca
importanza.
D'altra parte non cita per niente l'allagamento delle campagne, suggerito dal Trivulzio,
che avrebbe impantanato gli Svizzeri e che sarebbe stato invece una delle cause della loro
disfatta, anzi, non cita mai il Trivulzio.
Semplice dimenticanza o tentativo di sottovalutare i contributi degli alleati?
La battaglia � terminata
Su ordine del generale di Normandia, i Francescani di
Melegnano danno sepoltura ai morti (vedi nota sottostante*): contano cos� 23000 Svizzeri
(erano partiti da Milano in 36000) e 2000 Francesi (sulle cifre si pu� forse avanzare
qualche dubbio).
Secondo le voci che Pasquier raccoglie, gli Svizzeri, in caso di vittoria, avrebbero
tradito il Duca Massimiliano, mandandolo in esilio e facendo del Ducato di Milano e della
contea di Asti due loro cantoni: un'ipotesi inquietante, che forse gli storici non hanno
registrato.
Gli Svizzeri erano sconfitti, ma nel castello di Milano restano asseragliati gli ultimi
fedeli a Massimiliano Sforza. Resistono all'assedio per 20 girni; il 4 ottobre il castello
di Milano si arrende, Massimiliano viene portato prigioniero in Francia.
Il racconto di Pasquier prosegue con gli ultimi atti compiuti da Francesco I�: accoglie a
Santa Brera l'omaggio di 300 cavalieri milanesi, va a San Donato, va a Pavia, fa il suo
ingresso trionfale a Milano, riparte per la Francia.
Di questa parte del libro ci piace ricordare quello che Pasquier dice dei nostri paesi e i
giudizi che - 500 anni fa - egli d� dei n ostri monumenti.
Di San Donato dice che il Re ha alloggiato in "una bellissima cascina (l'attuale
cascina Roma) larga e spaziosa, nella quale c'erano le più belle scuderie per cavalli
mai viste, molto fieno e paglia e legname, sia dentro che fuori; circondata da fossati con
tanta acqua e fuori un grande giardino, bello e spazioso, chiuso da una muraglia. I
terreni attorno sono molto fertili, tanto che vi si fanno due raccolti all'anno di grano o
di miglio, e i campi sono attorniati da filari di viti. Tra la cascina e il fiume (in
realt� si tratta della roggia "Spazzola") si trova la chiesa, non grande,
dove si conservano molti ex voto".
E' nel giardino di questa cascina che il venerdì 21 viene drizzata la tenda reale, e,
assiso sotto questa, Francesco I� riceve il giuramento di fedelt� dei Milanesi.
A Pavia il Re ammira, nella chiesa degli Agostiniani (S. Pietro in Ciel d'Oro) i sepolcri
di S. Agostino, di Severino Boezio e del Barbarossa (!?!).
Di Severino Boezio Pasquier ricorda che era stato a lungo prigioniero a Pavia in una torre
rotonda di mattoni, a met� strada tra i conventi degli Agostiniani e dei Carmelitani ;
del Barbarossa che aveva ordinato la distruzione di Milano, facendone arare e cospargere
di sale il terreno in segno di meledizione: questo per la malizia del Milanesi, che fin
d'allora si erano dimostrati traditori, falsi e sediziosi.
A Pavia il Re resta ammirato anche dal castello e dalla Certosa ("la perla delle
chiese e monasteri d'Italia e Lombardia") e vuole salire sulla costruzione, non
del tutto terminata, per vedere come � fatta dentro e poter apprezzare la maestria dei
costruttori.
Anche a Milano le bellezza della citt� conquista il re, e Pasquier ricorda in particolare
il Duomo (che dice fondato da S. Ambrogio), la chiesa di Santa Maria delle Grazie col
convento dei Domenicani, posto nei sobborghi di porta Vercellina, il convento dei
francescani riformati (S. Angelo).
Di ogni monumento egli riporta lunghezza e larghezza in passi (del Duomo, della chiesa di
S.M. delle Grazie, ma anche del Refettorio, e perfino della Biblioteca e del dormitorio
del Convento).
Del Convento di S. Maria delle Grazie egli ricorda il Cenacolo (che Leonardo aveva finito
20 anni prima) con queste parole: "La cena che Nostro Signore fece coi suoi
Apostoli, dipinta su una parete, all'entrata del refettorio, � una cosa singolare per
eccellenza, perch� vedendo il pane sopra la tavola direste che � pane vero e non
dipinto; e cos� pure il vino, i bicchieri, i vassoi, la tavola e le tovaglie con le
carni, ed anche i personaggi raffigurati".
Del Castello dice che � una cosa inestimabile, meravigliosa per grandezza, ponti levatoi,
alloggi, con 2 fortezze e la Rocchetta, che � imprendibile, essendo ben rifornita di
viveri, munizioni, archibugi, balestre.
Due torri guardano verso la citt�, con mura di 9 passi di spessore, rivestite di pietra
durissima a forma di diamante, che l'artiglieria non riesce a scalfire.
Parla anche del Lazzaretto per gli infetti dalla peste, una costruzione quadrata
circondata da un fossato, con 280 camere.
Il Re riparte per la Francia l'8 gennaio: tutta l'avventura � durata quasi 7 mesi.
(*) Nel corso della riunione � emerso che questa notizia non sarebbe
stata nota in sede locale; secondo il Dr. Bardelli essa spiegherebbe bene il fatto che le
lapidi di alcuni nobili francesi caduti in battaglia siano state ritrovate a Melegnano
(vedi "La battaglia di marignano" di G. Gerosa Brichetto, pag.
180).Evidentemente i frati (il cui convento era situato nella zona di Melegnano
attualmente chiamata "Quartiere S. Francesco") avevano sepolto vicino alla loro
chiesa i corpi di alcuni caduti; con la distruzione del Convento le lapidi sarebbero poi
disperse a Melegnano. |
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