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"Via
Aemilia" e via da "Placentia" a "Mediolanum":
nascita e sviluppo in età romana
Da oltre venti secoli le comunicazioni in senso longitudinale, nella
zona tra Milano e Roma, sono assicurate e condizionate insieme da
due grandi strade. Una che dal medio corso del Po (facilmente raggiungibile
da Milano) viene dritta, nello stesso senso della catena appenninica,
a toccare l'Adriatico al margine meridionale della pianura padana;
un'altra che da questo punto estremo procede, con direzione fondamentale
sud-ovest, verso Roma, e vi arriva con andamento non privo di tortuosità.
Queste strade risalgono a due "vie publicae" romane, due
arterie tra le più frequentate e famose che l'Antichità
abbia avuto: "l'Aemilia", da Piacenza a Rimini, e, da
qui a Roma, la "Flaminia".
La via Flaminia venne aperta attorno al 220 a.C. Condotta una grande
strada dall'Urbe a Rimini, era naturale che i Romani pensassero
a prolungarla verso il cuore della regione padana dove essi, compiuta
tra il 225 e il 222 la sottomissione dei Galli di qua e di là
dal Fiume, iniziavano ormai la colonizzazione. Nel riassunto del
ventesimo libro di Livio, alla costruzione della Flaminia segue
immediatamente la deduzione di colonie romane a Cremona e a Piacenza;
e da Polibio apprendiamo che l'apprestamento di queste ultime fu
accelerato nel quadro dei preparativi di guerra nella primavera
del 218.
E' vero che sia per comunicare con le due remote colonie sia per
spostamenti di truppe tra il Ticino e l'Adda i Romani potevano valersi,
come fecero, anche della via d'acqua del Po. Ma se il fiume toccava
e serviva Piacenza, da Piacenza in poi andava sempre più
staccandosi dai maggiori centri posti nella pianura alla sua destra:
e non erano poche né trascurabili in quella regione, oltre
a Piacenza stessa, le località importanti, già state
fiorenti sotto gli Etruschi fino al quinto secolo a.C.: Parma, Modena,
Bologna, Cesena, Spina e Ravenna. Escluse le due ultime, tutte le
località nominate venivano a trovarsi su una linea retta
che cominciando al Po e a Piacenza andava a finire precisamente
a Rimini, città anch'essa di origine umbro-etrusca. Alla
linea astratta di congiunzione era venuta certo a corrispondere
sul terreno una traccia di strada, a partire almeno dal periodo
etrusco, quando quelle città, economicamente evolute e legate
da un vincolo di alleanza, avevano fra di loro continui contatti;
e l'invasione gallica non aveva potuto cancellarla.
Alla costruzione di una "via publica" dall'estremo nord
della Flaminia fino a "Placentia" i Romani erano perciò
spinti da ragioni militari e politiche, ed è probabile che
non avrebbero esitato a porvi mano se non fossero sopravvenuti lo
scoppio della guerra annibalica e la perdita della Cisalpina.
Quando però i Cartaginesi furono vinti e Roma procedette
alla rioccupazione sistematica della pianura padana, rafforzando
la conquista coll'estirpare la guerriglia dal paese dei Liguri,
non si perse altro tempo.
La necessità di una strada sicura per i movimenti nella Cisalpina
era emersa anche dalle crude esperienze di quegli anni di lotta.
Due gravi rotte ebbero i Romani nella pianura del Po al tempo della
seconda guerra punica, perchè attaccati durante marce di
trasferimento. La prima nel 218, la seconda, irreparabile, nel 216,
poco dopo Canne. Dalle descrizioni dei due combattimenti abbiamo
un'approssimativa idea della regione, e dell'Emilia in particolare:
distese di piante d'alto fusto e macchie, alternate a pianure aperte
poco coltivate, prevalentemente erbose; e si può ben anche
pensare a vasti acquitrini e a canneti, se Strabone al tempo di
Augusto affermava essere stata la zona una volta ricca di paludi.
In terreno di tal fatta la viabilità doveva incontrare ostacoli
assai grandi. Indubbiamente i Romani tornando da padroni nella parte
meridionale della pianura padana sentivano che le esigenze militari
e l'ubicazione dei principali abitati sollecitavano la costruzione
di una grande via traversale; ma la natura del terreno e le condizioni
dei sentieri utilizzabili esistenti non erano tali da incoraggiarli.
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