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Passaggio
del Po in corrispondenza della "via romana".
Le diete di Roncaglia si concludevano spesso con un passaggio dalla
riva sinistra a quella destra del Po: gli imperiali venivano a Piacenza
e seguitavano poi verso il sud. In questi casi si costruiva provvisoriamente
un ponte di barche. Ma in via normale per attraversare si usava
un traghetto, stabilito in corrispondenza dello scalo per le barche
che correvano il fiume: e il nome di "portus" designava
entrambe le cose. Nel capitolare commerciale di re Liutprando con
i Comacchiesi (anno 730) è ricordato un "porto qui dicitur
Lambro et Placentia" e di un "portus placentinus"
si parla in un documento del 1149, pubblicato dal Solmi, che raccoglie
testimonianze rese in occasione di una controversia per il possesso
del porto medesimo. Si tratta, secondo il Solmi, di un unico porto
"rimasto immutato forse dall'età romana: esso serviva
allo scalo mercantile di tre grosse città, Piacenza, Lodi
Vecchio e Milano". Quanto ai trasporti di persone questo porto
serviva sia a chi faceva dei veri viaggi per acqua (lo toccavano
ad esempio romei imbarcatisi a Melegnano) sia a chi aveva bisogno
di passare da una riva all'altra del Po.
Che lo usassero i viaggiatori che percorrevano la Milano-Piacenza
è dimostrato dalle vie che ad esso giungevano: quelle "de
Glariola", "de Laudexana", "de Senna",
"de Castellonovo", stando ai testimoni che erano persone
del luogo. Erano strade che portavano nell'alta Lombardia e conducevano
a Milano, dice il Solmi, e invero tre dei testimoni ascoltati, pensando
a qualcuna di esse o a tutte in complesso, dicono semplicemente
che al porto piacentino arrivava "la via di Milano". Se
dal tratto inferiore della Milano-Piacenza, da Livraga in giù,
esse raccogliessero tutto il traffico che doveva passare il Po o
se vi fossero altri traghetti importanti, non sappiamo. Sappiamo
invece che un tratto di strada ben definito esisteva già
nel secolo IX per andare dal porto del Po a Piacenza, perchè
un diploma di Carlomanno dato nell'878 menziona una "viam publicam
quae ab urbe Placentia ad placentinum portum ducit".
L'atto del 1149 prima ricordato appartiene alla documentazione della
controversia fra i Piacentini e il Monastero di S.Giulia di Brescia
per i diritti sul porto piacentino, che ebbe appunto in quell'anno
una composizione per opera del vescovo Giovanni. Ma subito dopo
i Piacentini gettarono un ponte sul Po morto, pur tenendo già
una nave sul Po morto e una sul Po vivo, e con questi mezzi vennero
a fare al porto di cui era tornato a godere il Monastero tale concorrenza
che le monache si querelarono di nuovo. La ragione di tanto attaccamento
stava nella possibilità di riscuotere pedaggi; ma almeno
il collegamento Milano-Piacenza veniva ad essere assicurato anche
nel punto di maggiore difficoltà.
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