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Spedizioni
per riaffermare l'autorità imperiale e papale.
Se il passaggio di un papa rappresentava, come si è visto,
un fatto memorabile, ancora più raro era oramai, dopo tanto
scorrazzare di sacri sovrani tedeschi, quello di un imperatore.
Dalla morte di Federico II si hanno circa sessant'anni di assenza
imperiale dall'Italia. Finalmente nel 1310 un "re dei Romani"
si ripresenta di qua dalle Alpi, col proposito di farsi incoronare
a Roma e di esercitare un'autorità giusta e pacifica nelle
città, scosse all'interno e impegnate a lacerarsi reciprocamente.
E' "l'alto Arrigo", il re invocato da Dante, anch'egli
in quest'anni peregrinante in alta Italia, e probabilmente da comprendersi
fra i viaggiatori illustri che percorsero tratti della Milano-Bologna.
Arrigo VII fece una lunghissima sosta a Milano; riprese finalmente
il cammino, con ampio seguito, nell'aprile del 1311, e si diresse
a Lodi. La notizia che l'imperatore si era mosso per la "via
romana" corse certo l'Italia suscitando timori, illusioni ed
entusiasmi, ma quando egli raggiunse Piacenza, con una deviazione
per Cremona e Brescia, già si erano rivelate le gravi difficoltà
dell'impresa. Invero essa doveva chiudersi con un fallimento, al
quale avrebbe corrisposto una diecina d'anni dopo, a conferma della
crisi delle due istituzioni universali che avevano dominato tanta
parte del Medioevo, quello del legato spedito ad Avignone da Giovanni
XXII, per rivendicare contro le usurpazioni signorili i diritti
della Chiesa.
La direzione delle avanzate e delle ritirate di questo legato, Bertrando
del Poggetto, l'asse del suo campo d'azione, fu la via Piacenza-Bologna.
Egli incominciò ad attestarvisi togliendo ai Visconti, primissimo
nemico da mettere a freno, la città di Piacenza e facendo
di essa la sua base; l'usò per far convergere le sue forze
e quelle parmensi contro Borgo S.Donnino, occupato da Azzone Visconti;
e poi ancora avanzò su di essa fino a Parma e Bologna a ricevere
la dedizione pacifica di quelle città. Da Borgo S.Donnino
Azzone però seppe uscire senza danno; e nel novembre dell'anno
medesimo (1325) combattè assieme ai Modenesi e ai lor alleati
ghibellini la famosa battaglia di Zappolino, che segnò per
i guelfi di Bologna un'autentica rotta.
Dopo lo scontro, mentre i vinti si chiudevano nella città
per evitare il peggio, i ghibellini percorsero in tutta la sua lunghezza
l'ultimo tratto della Piacenza-Bologna: prese e saccheggiate Samoggia
e Anzola "veneno al borgo da Panigale e bruxono per fino suso
le porte de bologna; e preseno lo ponte da Rheno e si li tosono
di merli... e si corseno lo palio suso per la stà de san
Felixe". E' facile capire quanto danno crisi di questo genere
recassero alla strada e al traffico. La cronaca di Parma ci dice
chiaramente che nel periodo in cui, come s'è ricordato, Azzone
s'era impadronito di Borgo S.Donnino, nessuno che non fosse della
sua parte si azzardava a passare di lì, non solo, ma "tutto
il territorio al disopra e al disotto della strada fu abbandonato".
Naturalmente che doveva spostarsi per i propri affari s'ingegnava
a profittare delle tregue e dei compromessi fra le varie parti.
Tregue e compromessi non mancavano: ma nessun più stabile
equilibrio riusciva a costituirsi in queste regioni del nostro paese
tra le forze politiche in lotta.
Per di più successo sempre minore hanno gli interventi stranieri
rappresentati dai viaggi dei sovrani tedeschi. Due che giungono
dopo la morte di Arrigo VII toccano la via Emilia e vi fanno accorrere
i rappresentanti di non pochi stati, e sono Ludovico il Bavaro,
che tagli nel 1327, e Giovanni di Boemia che vi incontra Bertrando
del Poggetto, quattro anni dopo, a Castelfranco. A queste forze
non italiane si sottrae in definitiva l'intera zona tra Milano e
Bologna, cosicchè verso il 1340 tutti i centri principali
che le nostre strade collegano accolgono una propria signoria o
sono legati con una che ha il suo centro nel territorio lombardo:
Milano, Lodi e Piacenza coi Visconti, Parma con gli Scaligeri, Reggio
coi Gonzaga, Modena con gli Estensi e infine Bologna coi Pepoli.
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