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Lotte
fra gli stati italiani: pace di Lodi.
Poco dopo avvenne la riconquista di Lodi da parte dei Visconti,
con una spedizione guidata dal Carmagnola. Ciò rientrava
nella riorganizzazione dello stato promossa dal giovane duca Filippo
Maria, alla quale seguì fatalmente una ripresa dell'espansione
lungo la via Emilia, concretatasi nell'acquisto di Parma (1420)
e nei tentativi su Bologna che provocarono contro i Milanesi una
guerra sostenuta specialmente da Venezia.
Nel 1431-32 sulla strada Milano-Bologna Sigismondo si recava a cingere
la corona imperiale. Un viaggio piuttosto strano: da Milano il re
si mosse nel dicembre, seguito da forze viscontee e venne regolarmente
a Piacenza. Ma non ripartì che il 22 marzo: altri tre giorni
di viaggio e nuova sosta di due mesi, a Parma. Filippo Maria non
faceva che sollecitarlo, timoroso che trattasse alle sue spalle
coi Veneziani, ma Sigismondo andava così lento che egli ebbe
tempo di cambiare idea, e cominciò a brigare perchè
tornasse indietro. Invece il re proprio allora fece decisi progressi
sulla strada di Roma. Episodio che mostra quanto tortuosamente si
svolgesse la politica di questi signori, sempre accaniti dietro
ambizioni a cui non bastavano le forze. Anche il mezzo più
sicuro per realizzare le proprie mire, le milizie, richiedeva d'essere
usato in ogni particolare situazione con grande abilità.
Spesso occorreva ridurre all'impotenza un capitano perchè
non si voltasse contro: e ne fu dato un insigne esempio dallo stesso
Filippo Maria proprio sulla via Emilia, a Pontenure, dove egli nel
1446 fece arrestare il Colleoni, che teneva al suo servizio, per
tema d'intelligenze coi Veneziani.
La vita di Filippo Maria fu tutta spesa in appassionati sforzi per
ingrandire il proprio stato; quando morì non si trovò
che avesse provveduto chiaramente alla successione. Per raccoglierla,
Francesco Sforza, genero e capitano del duca, accorse verso Milano.
Con l'animo volto alla grande avventura egli passò anche
sulla via Emilia: fece tappa al ponte a Enza e successivamente al
Taro (agosto 1447). Poi si diresse nel Milanese, per Cremona. Davanti
a lui il condottiero veneziano Micheletto Attendolo retrocedette
da Casalpusterlengo a Lodi: un itinerario simile a quello della
nostra Lodi-Piacenza.
Lo Sforza ebbe il ducato, ma qualche anno più tardi. Dovete
però affrontare ancora una coalizione capeggiata da Venezia.
Nella guerra erano coinvolti tutti i maggiori stati italiani, ormai
di consistenza tale da potersi controbilanciare a lungo senza altro
resultato che un generale spreco di energie. Quando ciò è
chiaro ai due principali contendenti essi incominciano a trattare
per la pace. Francesco Sforza fa i maggiori sacrifici per realizzarla,
e finalmente scrive ai plenipotenziari veneti di venire a Lodi "che
lì serà, e di lì non se partirano che pace
firmarano".
Il signore di Milano si reca a Lodi veramente, e nella notte del
9 aprile 1454 la pace è conclusa. Sulle strade che partono
dalla città si slanciano a spron battuto i messaggeri, e
"la lieta novella se grida per tutte le terre da Francesco
Sforza, Venetiani e Fiorentini".
Altri turbamenti non mancarono in Italia dopo l'accordo di Lodi,
ma, a paragone dei precedenti, i decenni che seguirono poterono
esser ritenuti tranquilli. Rifiorirono i commerci e l'agricoltura;
le strade ripresero vita. Dal particolarismo che dominava all'inizio
di questo periodo si stava dunque passando, nella r4egione che interessa
direttamente la nostra strada, a formazioni più vaste, e
la tappa successiva poteva essere la creazione di uno stato comprendente
gran parte dell'Italia centro-settentrionale. Ciò avrebbe
segnato anche l'inizio di un'epoca nuova per le comunicazioni Milano-Piacena-Bologna
e per la strada che le rendeva possibili. Già nel tratto
di essa che apparteneva al ducato milanese, stato anche economicamente
evoluto, si avevano manifestazioni di un interesse nuovo per la
viabilità. Per esempio ci si preoccupava molto di assicurare
il passaggio del Po in corrispondenza della Milano-Piacenza, e Francesco
Sforza ordinava la costruzione di un gran ponte stabile di legno.
Il lavoro iniziato ai primi del 1465 fu eseguito "con grandissima
rovina dei boschi" avendo richiesto un'enorme quantità
di materiale e travi di lunghezza mai vista. Ma due anni dopo in
agosto (vi era appena passato il duca Francesco Maria con l'esercito
che aveva condotto contro il Colleoni) il ponte si sfasciò
per una piena disseminando ovunque colonne, assi e travi. Il materiale
fu recuperato e l'opera rifatta. Come si vede queste costruzioni
in legno erano precarie, ma i signori di Milano non trascuravano
neppure l'organizzazione del "porto" che le integrava
permanentemente. Il "porto di Piacenza" era allora compreso
fra quelli dello stato sforzesco; e verso la fine del secolo speciali
norme venivano dettate per regolare l'attività del suo "capitano",
funzionario stipendiato dal governo ducale: si stabiliva minutamente
come egli dovesse trattare i viaggiatori che passavano, in particolare
i corrieri del duca e gli ambasciatori stranieri, che avevano diritto
a speciale riguardo.
I Visconti e gli Sforza organizzarono anche un regolare servizio
postale: anzi in questo essi furono dei pionieri in Europa; la Milano-Piacenza
divenne presto strada postale.
Quanto si faceva nel Ducato dava idea di quello che avrebbe potuto
essere la Milano-Bologna alle soglie dell'età moderna, se
la situazione italiana si fosse evoluta verso la formazione di un
grande stato nazionale. Si preparavano invece eventi che dovevano
condurre a tutt'altro risultato.
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