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Opposizione
allo straniero: fatti di Fiorenzuola e Melegnano.
Ma anche il ducato è scosso da agitazioni rivoluzionarie
nel 1831, in concomitanza dei fatti di Bologna e Modena. All'insorgere
dei tumulti nella sua capitale, Maria Luigia si porta a Piacenza,
per il Cremonese: Parma crea un governo provvisorio. Le piccole
forze a disposizione di questo governo, per lo più giovani
volenterosi e non esperti, compiono la prima azione il giorno 24
febbraio, marciando per la via Emilia, su Fiorenzuola, dove, a quanto
sembra, sono comparsi gli Austriaci. Ma la cittadina è tranquilla
e non v'è traccia di armati: liete le milizie del governo
provvisorio alzano il tricolore e si distribuiscono, a sera, per
il paese. Il giorno dopo "un po' prima dell'alba la guardia
a cavallo Barnaba Barbieri che stava in fazione sul ponte dell'Arda...
tornò di corsa per avvertire che il nemico era a pochi passi...".
C'è appena uno scambio di fucilate: gli Austriaci hanno tosto
il sopravvento e sul mezzogiorno i rivoluzionari, incolonnati sulla
via Emilia sono avviati a Piacenza "fra gli scherni dei soldati
imperiali, legati come malfattori, vilipesi e percossi come si sarebbe
usato dai turchi".
Fallimento dunque e dileggio, ma anche manifestazione aperta per
un ideale, destinata a dare i suoi frutti. Ben diversa atmosfera
su questa strada, su tutta la via da Milano a Bologna, diciassette
anni dopo. Marzo 1848: non più pochi iniziati, ma larghissima
parte del popolo attende con passione le notizie che vengono dalla
capitale lombarda. Milano è insorta; Milano combatte gli
Austriaci, gli Austriaci sembrano in difficoltà. Così
è: la sera del 22, dopo cinque giorni di combattimento, le
forze che occupano Milano sono obbligate a ritirarsi; il vecchio
maresciallo Radetzky le guiderà sulla strada di Piacenza,
verso il Quadrilatero. Escono sulla mezzanotte, i quartieri vicino
a porta Romana bruciano; poi è buoi minaccioso. I soldati
sono stanchissimi; vari ostacoli rallentano la marcia: "lungo
la via per Lodi erano stati qua e là posti sbarramenti di
alberi o scavati fossi, ma l'avanguardia spianò la strada",
racconterà poi lo stesso Radetzky.
Affamati, sfiniti, sempre sulla bella strada mantovana che segue
le tracce della via dei Romani, gli Austriaci arrivano, passato
il mezzogiorno, a Melegnano. All'ingresso trovano il cammino chiuso
da una barricata; entrati per esigere vettovaglie si sentono chiedere
di deporre le armi. Il maresciallo è colpito, ma non reso
esitante da quell'audacia: l'ordine che dà è di aprirsi
la strada schiantando tutto. A sera gli Austriaci bivaccano fra
le rovine. Quando si riprende la marcia, è corsa la notizia
dell'eccidio fino a Lodi e oltre. "Il terrore che la morte
di Melegnano diffuse innanzi a me - notò freddamente il Radetzky
- ebbe gli effetti più benefici. Non mi fu opposto più
alcun ostacolo".
Ma mentre egli si allontanava un moto entusiastico di libertà
scoppiava ovunque: anche nei ducati si erano stabiliti governi provvisori
e reggenze, e a Bologna affluivano da ogni parte volontari assieme
a milizie regolari degli stati aderenti alla guerra antiaustriaca.
Tripudio intenso quanto breve: nell'agosto gli Austriaci si ripresentavano
perfino a Bologna e ne occupavano gli accessi. Ma un sollevamento
violento e spontaneo li respinse il giorno dopo: e, prima di tutte,
la porta S.Felice sulla via Emilia fu chiusa alle loro spalle: episodio
che parve un simbolo.
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