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Le origini e la
prima fioritura
A partire
dal 1163 Glorenza è citata nei documenti col nome di "Glurnis",
"Clurne", "Glurens" e altri; l'origine del nome è
preromana o retroromanza e significherebbe "golena degli ontani o
dei noccioli". Un tempo si pensava che derivasse addirittura da "gloria
vallis".
Prima di diventare una città Glorenza era un paese. Un agglomerato
irregolare di case, masi e torri residenziali tra il ponte sull'Adige
e la Malsertor o porta Malles con la chiesa "enndern Poch",
al di là del fiume in posizione sopraelevata e sicura dalle alluvioni.
L'attuale piazza Città era probabilmente un tempo la piazza del
paese, le cui strade principali erano quelle che oggi sono il "Vicolo
Conte Trapp" e la "Via Argento", come è risultato
dalle più recenti ricerche (F.H.Hye). Probabilmente il ponte sull'Adige
si trovava in origine all'altezza della chiesa parrocchiale; la strada
portava verso Malles attraverso la Via Argento e la piazza: forse possiamo
supporre che questo fosse un tratto di un'antichissima mulattiera percorsa
anche dai pellegrini che dalla Malser Haide portava al Glurnser Köpfl
e ai masi di Lichtenberg/Montechiaro passando per Glorenza e proseguendo
poi in direzione dello Stelvio. Già prima di ottenere il titolo
di città, pare che il paese di Glorenza avesse una certa importanza
regionale. Sappiamo ad esempio che verso la fine del XIII secolo vi risiedeva
un notaio che non avrebbe potuto sopravvivere senza una sufficiente mole
di lavoro. L'esistenza di diverse torri residenziali testimonia che anche
famiglie di un certo rango sociale si erano stabilite in questo borgo
mettendo in mostra il loro benessere. Le torri residenziali e fortificate
sono in parole semplici dei parenti più modesti delle torri dei
casati nobili che si trovano frequentemente nell'Italia centrale e settentrionale,
ma nel contempo presero sicuramente a modello anche l'architettura dei
castelli. Caratteristiche sono le finestrelle, in origine vere e proprie
feritoie e soprattutto l'accesso sopraelevato al piano superiore mediante
una scala a pioli o di legno.
I proprietari vi trovavano un sicuro riparo anche ai tempi in cui vigeva
il diritto del più forte, bastava aver da parte un paio di mezzene
di speck e pane a sufficienza e nessuno sarebbe riuscito a prenderli tanto
facilmente per la gola. Nel corso del giro della città avremo l'occasione
di parlare più a lungo di due di queste torri fortificate.
Nel 1219 il vescovo Arnold di Chur assicura la sua protezione attraverso
la val Venosta fino a Malles ai commercianti di Como e alle loro merci,
a testimonianza del fatto che già a quell'epoca esistevano relazioni
commerciali a vasto raggio. A ulteriore conferma di ciò sappiamo
inoltre che i conti dei vescovi di Chur erano fatti in denari milanesi
e non come si usava solitamente in berner veronesi. A partire dal 1239,
ogni anno il 9 settembre, presso il convento di S. Giovanni in val Monastero,
si teneva un mercato che godeva della protezione del vescovo. La scelta
della data non era casuale: infatti a quella data la maggior parte del
bestiame è rientrato dall'alpeggio, le pecore sono già state
tosate e possono essere vendute come pure la loro lana. Solitamente i
passi alpini sono ancora facilmente praticabili e sgombri da neve, il
tempo è stabile. Inoltre per l'abbazia di Montemaria il 9 settembre
era un giorno di festa in onore della S. Vergine e in questa occasione
vi si ritrovavano moltissime persone.
Condizioni ideali quindi per i commercianti forestieri e per la popolazione
locale. E anche per il vescovo che incassava le imposte dell'affitto delle
bancarelle per le merci o le bevande, delle misure di lunghezza e capacità,
dei posti dove si ferravano i cavalli, che riscuoteva i dazi per il trasporto
delle merci e del bestiame, ad esclusione delle pecore di Merano soggette
a una tassazione inferiore. I mercanti portavano vino, stoffe pregiate,
persino seta, ferri di cavallo chiodati, falci e spezie: sale, pepe, zafferano.
la popolazione locale pagava generalmente "in natura" con miele,
cera, lana, carne affumicata, burro, strutto, lardo, cuoio non conciato,
segale e soprattutto con animali da cortile. Le pecore fungevano da "moneta",
che però sapeva correre (e come tale sopravvive nel termine inglese
currency: valuta, moneta). La lana ed il loden grigio erano molto richiesti
dai mercanti dell'Italia settentrionale, che li rivendevano all'industria
laniera italiana già molto sviluppata. Si trattava quindi di un
mercato di importanza sovraregionale che assicurava delle ottime entrate
al patrono, dapprima i vescovi di Chur e successivamente i signori di
Matsch. Nel 1291 il conte Mainardo II di Tirolo con una mossa astuta entrò
in concorrenza concedendo a Glorenza il diritto di mercato e anticipando
l'inizio della fiera della durata di ben otto giorni al 24 agosto, San
Bartolomeo. Né i mercanti né gli acquirenti avevano interesse
a frequentare un mercato nella stessa zona dopo sole due settimane e men
che meno se dovevano superare passi alpini seguendo mulattiere scomode
e faticose. In particolare i mercanti lombardi preferivano naturalmente
partecipare al mercato di Glorenza che si teneva qualche giorno prima.
Questo significò l'ascesa della nostra cittadina e comportò
al contempo la decadenza del mercato della val Monastero.
Accanto al paese di Glorenza si profila già la città di
Glorenza, ma non sappiamo con precisione quando cominciò ad acquisirne
i primi connotati. Nel 1294 si parla di un "burgum", un borgo
fortificato, dotato di un funzionario giudiziario stabile dei Tirolo.
Si trattava di una città in miniatura, circondata però da
mura merlate, nelle quali si aprivano due porte proprio dove il vescovo
di Chur doveva passare per raggiungere Castel Coira a Sluderno, l'attuale
via Portici. Una mossa strategica geniale contro il vescovo e i ribelli
signori di Matsch. La nuova concorrenza economica costò al vescovo
una buona parte delle sue entrate ed il suo potere ne uscì notevolmente
ridimensionato. A coloro che volevano stabilirsi nella città vennero
assicurati dei privilegi: "sine steura debeant permanere ad X annos",
per dieci anni godevano cioè dell'esenzione delle imposte. L'immigrazione
si mantenne comunque entro certi limiti ed entro le mura di Mainardo si
trovavano non più di 30 case con eventualmente annesso il fabbricato
rurale, anche per i cittadini era indispensabile poter disporre di un
secondo sostegno economico.
Ma già allora si era capito che la pubblicità è l'anima
del commercio: bisognava quindi far conoscere il mercato di Glorenza.
Alcuni documenti testimoniano il pagamento di compensi a cosiddetti messi
che avevano il compito di raggiungere Bormio e addirittura Como, Milano,
Brescia, Bergamo, Cremona e Verona dove dovevano pubblicizzare la fiera.
Ci si rivolgeva non solo ai mercanti ma anche ai "coloni", cioè
ai contadini, e ciò sta a dimostrare che sia l'offerta di merci
che la struttura dei prezzi erano varie e multiformi. naturalmente questi
messi avranno sottolineato anche che il conte concedeva una scorta, la
sicurezza di non essere arrestati per debiti e di non vedersi sequestrata
la merce e la garanzia del risarcimento danni.
Che lingua parlavano? Gli inviti erano redatti in latino medioevale, i
messi certamente parlavano l'italiano, altrimenti come avrebbero potuto
farsi capire? Oppure si sceglieva gente del luogo che parlava retroromanzo.
Si evidenzia a questo punto un paradosso: da un lato un raggruppamento
di case modesto, circondato dalle mura, dall'altro la smania di ampie
relazioni commerciali con l'Italia settentrionale. L'hinterland economico
di Glorenza non le avrebbe certamente assicurato la sopravvivenza. Era
necessario ottenere altri privilegi: il diritto del commercio del sale,
di magazzinaggio e di trasporto. Il diritto di magazzinaggio significava
che i mercanti di passaggio dovevano scaricare ed offrire in vendita le
loro merci. Queste erano imballate e dovevano solitamente essere trasferite
e depositate in un luogo asciutto e coperto, da cui poi ebbe origine la
cosiddetta "Ballhaus" (magazzino), che avremo occasione di conoscere
meglio più avanti.
Glorenza in questo modo traeva un doppio profitto: incassava le imposte
di magazzinaggio e di transito in quanto i mercanti erano obbligati a
passare da Glorenza per raggiungere Malles e viceversa; contemporaneamente
ne approfittavano anche gli osti che ofrivano ospitalità agli uomini
e ai loro animali. Non disponiamo di documenti al riguardo, ma possiamo
ritenere che vi fosse una certa domanda di generi alimentari, carne fresca
e foraggio. E si creavano possibilità di lavoro per i nullatenenti.
Un'altra fonte di guadagno era offerta ai carrettieri che in possesso
della regolare concessione organizzavano il trasporto delle merci da una
stazione all'altra e gli incarichi venivano distribuiti seguendo un ordine
prestabilito. La stazione seguente a nord era Nauders, a sud Laces. Per
scaricare e trasportare le balle spettava ai carrettieri una tariffa fissa.
I carrettieri di Glorenza dovettero ripetutamente far valere i loro diritti
nei confronti di quelli di Malles e Sluderno, perché i mercanti
cercavano di evitare il lungo giro attraverso Glorenza. Inoltre da atti
processuali risulta che quelli di Malles in diverse occasioni avevano
allagato la strada per Glorenza rendendola impraticabile. Infine quelli
di Glorenza per assicurarsi gli introiti derivanti dal traffico di merci
posero i loro dazieri a Sluderno lasciando quindi liberi i mercanti di
scegliersi la via che più gli aggradava. Ma solo quando Glorenza
ottenne il monopolio statale del commercio del sale di Hall, ebbe inizio
la vera fioritura della città. Nel XIII secolo le saline di Hall
ebbero un grande incremento, nonostante potessero smerciare il loro prodotto
solo in Tirolo e nelle più vicine regioni confinanti per l'annosa
concorrenza del sale del Salisburghese e della Baviera. Questo fu forse
uno dei motivi che contribuirono alla fondazione della città di
Glorenza. Mainardo II era uno scaltro calcolatore che valutava esattamente
la situazione. Sicuramente aveva stimato con precisione i vantaggi della
concessione di questo titolo. A sud era possibile commerciare solo con
la Lombardia perché le regioni orientali erano sotto il dominio
di Venezia che disponeva di sale marino. ma l'esportazione di sale in
Lombardia era redditizia solo fintanto che tra Milano e Venezia continuava
a sussistere una grande rivalità ed i costi di trasporto rimanevano
concorrenziali grazie alla possibilità di importare durante il
ritorno frutti mediterranei, vino, ferramenta, oggetti in metallo e naturalmente
anche spezie come lo zafferano. L'armatura trecentesca che incute un certo
timore appartenuta a Ulrich IX von Matsch, conservata nell'armeria di
Castel Coira, è opera dell'armaiolo milanese Petrajolo di Missaglia;
del resto tutte le più antiche armature appartenute ai Matsch provenivano
da Milano, a riconferma di quanto sopra detto.
Il sale di Hall veniva trasportato in ceste su carri trainati da cavalli
o buoi oppure a dorso di mulo; tutto il sale che proveniva da Nauders
attraverso la Malser Haide doveva essere pesato, misurato e messo in vendita
a Glorenza. Anche i mercanti di vino della Valtellina dovevano rispettare
queste regole. I cittadini di Glorenza difesero con accanimento questo
loro diritto di magazzinaggio contro quelli di Bormio, che volevano parimenti
sfruttare la loro posizione geografica favorevole per il commercio di
sale e di vino cercando di aggirare il beneficio concesso a Glorenza (nel
testo originale leggiamo "non ci permettono di scendere a Bormio
ad acquistare il vino e di attraversare Bormio…").
Anche il commercio della segale venostana aveva una certa importanza;
ancor oggi questo cereale gode di un'ottima nomea benchè non venga
quasi più coltivato.
Come si viveva in questa città in miniatura? Vi erano due file
di case che fiancheggiavano la via principale, la quale si incrociava
con una traversa. Un canale murato, derivato dal rio Puni, il Vasil, portava
in città l'acqua per abbeverare il bestiame ed in caso di necessità
per spegnere gli incendi. Sul lato delle case rivolto verso la strada
si aprirono le volte asimmetriche dei portici: erano irregolari e sbilenchi
e tutt'altro che eleganti, però offrivano riparo alle merci che
si mantenevano asciutte e pulite. Le case, come anche a Vipiteno, non
avevano cantine a causa dell'umidità del suolo; al pianterreno,
verso la strada, si trovavano il locale di di vendita o il laboratorio
e sul retro il magazzino, cui seguivano la stalla ed il fienile, cioè
il fabbricato rurale. Ogni casa aveva anche un proprio giardino, o meglio
un piccolo frutteto, come apprendiamo dai documenti. Chissà se
allora esistevano già quei giganteschi alberi di pere detti "Palabirn",
dai quali derivò il soprannome affibbiato agli abitanti dell'alta
val Venosta "Piirakröpf", gozzo di pera? Al piano intermedio
si trovavano la stube, la cucina e la camera da letto dei genitori; la
cucina era un locale piccolo, buio, fuligginoso, col soffitto a volta
e col focolare ancora aperto, in posizione leggermente sopraelevata: fungeva
infatti anche da affumicatoio. Forse d'inverno accanto alla stufa trovava
posto una cassa con le galline che altrimenti avrebbero sofferto troppo
il freddo. Forse prendendo a modello le stanze delle residenze nobili,
si usava già ricoprire di legno le pareti della stube, nelle quali
certamente si trovava una stufa in muratura con lo sportello di accensione
esterno. Nel sottotetto, solitamente proprio sotto le scandole di copertura,
attraverso le quali nonostante le pareti in muratura si infilava il freddo
vento di tramontana, c'erano le camere dei bambini e della servitù.
I muri delle case, perlomeno di quelle dei benestanti, erano di calce,
i forni per calce si trovavano fuori dalla cinta muraria. I muri di argilla
venivano ricoperti da entrambi i lati da uno spesso strato di calce. Si
dava grande importanza ai camini murati poiché i tetti erano ricoperti
in legno e molti fienili rappresentavano una facile esca per le scintille.
Il pericolo di incendio era ulteriormente aggravato dai sistemi di illuminazione
del tempo che prevedevano l'uso di fiaccole, lucerne e fiamme aperte.
Le candele erano piuttosto rare poiché la cera era molto costosa.
esisteva persino una tassa sulla cera, e quindi si trovavano solamente
nelle dimore dei nobili e prelati. I più poveri potevano permettersi
solo la sugna di maiale e perciò spesso andavano a dormire "con
le galline" e si svegliavano "con il gallo".
Sappiamo invece poco sugli oggetti medioevali di uso quotidiano; molto
comuni erano certamente i recipienti di legno, che si fabbricavano facilmente
con poca spesa e non si rompevano. Solo lentamente si delineano delle
differenze nelle suppellettili: nell'alto medioevo la nobiltà,
il clero, la borghesia e i contadini usavano praticamente gli stessi utensili
domestici, tutti mangiavano da scodelle di legno o di argilla. E' possibile
che qualche mercante, abituato al lusso meridionale, abbia abbandonato
la tavola arricciando il naso e che in occasione di un nuovo viaggio abbia
portato con sé stoviglie di qualità superiore.
Sappiamo poco anche delle condizioni sanitarie, i gabinetti a caduta si
trovavano sul lato posteriore della casa. Ad esempio nell'ordinamento
civico di Merano della prima metà del XIV secolo il conte Enrico
di Tirolo, ex re di Boemia, stabilisce che le latrine all'interno della
città siano tutte murate. Chi contravveniva a questo obbligo doveva
recarsi fuori dalle mura: a Glorenza, in inverno, non sarebbe stato affatto
piacevole!
Glorenza vive una vera e propria fioritura; in tutta l'alta val Venosta
si osservano le "misure di Glorenza", nel XV secolo il commercio
è in forte espansione. Nel 1423 la Dieta Tirolese riunitasi a Merano
compila una graduatoria delle 18 città tirolesi e Glorenza si trova
al settimo posto. Naturalmente essendo una piazza commerciale non potevano
mancare i notai: dalle registrazioni di un notaio di Bolzano risalenti
alla metà del XIII secolo possiamo dedurre che un notaio sottoscriveva
in media due atti di compravendita al giorno. Riteniamo che ciò
sia valido pure per i notai di Glorenza che svolgevano la loro attività
anche nel circondario. Agli inizi i notai provenivano soprattutto dal
comasco, fatto che dimostra ancora una volta le strette relazioni con
la Lombardia. La domanda di atti scritti doveva essere notevole se consideriamo
che nella nostra cittadina esercitavano la loro attività due notai,
uno dei quali aveva alle proprie dipendenze persino due scrivani. Con
molta probabilità non esisteva il banco dei pegni, la cui funzione
era svolta dagli ebrei, la cui presenza è testimoniata da alcuni
documenti. Nel suo saggio "Das ältere Glurns als handelsplatz"
Franz Huter scrive: "Non solo perché pagavano i tributi per
la protezione principesca, ma soprattutto perché l'economia di
mercato in evoluzione aveva bisogno di loro fintanto che il divieto, valido
per tutti i cristiani, di prestare denaro dietro corresponsione di interessi
venne applicato rigidamente". La loro sede era situata nella torre
Flurin e ciò indicherebbe secondo Franz Huter che costituivano
una specie di corporazione.
Quando ormai pareva che alla splendida ascesa economica di Glorenza non
si frapponesse più alcun ostacolo, le ragioni dell'alta politica
intervennero a porre un freno. Sulla città si addensarono nubi
minacciose quando gli Asburgo cominciarono a considerarla più importante
dal punto di vista strategico che commerciale. Nel 1496 l'imperatore Massimiliano
I scelse Glorenza (e Malles) come sede di un congresso internazionale,
cui parteciparono il duca di Milano, gli ambasciatori di Venezia , di
Spagna, di Napoli ed il nunzio papale. Lo splendore e il vanto ingannarono:
i giorni felici di Glorenza sono ormai contati.
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indice
Glorenza, perchè proprio qui?
Le origini e la prima fioritura
Catastrofe e ricostruzione
La decadenza
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