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La decadenza
La città
fece edificare tre casette per i guardiani delle porte che avevano il
compito di aprirle e chiuderle. Gli intrusi dovevano restare fuori. Fuori
regnava il benessere di un tempo, dentro ai cittadini di Glorenza non
restava altro che la decadenza economica; le buone relazioni commerciali
di un tempo si esaurirono, i traffici commerciali presero altre vie. Durante
la guerra dei Trent'anni tutto il circondario subì il transito
di eserciti mercenari che d'inverno bruciarono addirittura gran parte
del cammino di ronda in legno. Probabilmente furono proprio questi soldati
a diffondere la peste, o febbre petecchiale, nel 1635. Il numero dei morti
era talmente elevato che ci si vide costretti ad erigere un nuovo cimitero.
Pochi anni prima dal Glurnser Kopfl si era staccata una frana imponente
che aveva distrutto gran parte dei campi e colmato in parte il fossato
di cinta. Seguirono poi ripetute inondazioni dell'Adige e del rio Puni.
Il 5 gennaio 1732 è una giornata di freddo pungente e spira un
vento impetuoso. Verso le tre e mezzo del pomeriggio alcune persone che
abitano nei pressi si accorgono che dal fienile del sagrestano si alza
una nuvola di fumo, ma è ormai troppo tardi. Le potenti raffiche
di vento si infilano tra le fessure delle assi alimentando l'incendio.
In brevissimo tempo dall'edificio si sprigionano alte fiamme. Ma dove
si può trovare dell'acqua per domare il fuoco? Il Vasil è
ghiacciato, il Muhlbach porta poca acqua. Col vento le fiamme si diffondono
rapidamente agli edifici circostanti. la gente viene colta dal panico,
mentre il bestiame rimasto nelle stalle a muggire terrorizzato è
condannato a morire miseramente nell'incendio. Gli uomini cercano di salvare
i pochi averi portandoli in strada dove vengono calpestati dal bestiame
impazzito. A questo punto l'importante è salvare la pelle. Quando
i cittadini di Glorenza, che in quella notte di terrore avevano cercato
riparo nei campi fuori le mura, all'alba del giorno sefuente rivolgono
lo sguardo verso la città incenerita si accorgono con raccapriccio
che 5 di loro mancano all'appello: una donna è morta carbonizzata
ed altre 4 persone sono soffocate. Parte del bestiame che erano riusciti
a salvare non aveva resistito al gelo della notte e giaceva al suolo esanime.
Il parroco Severinus Lob annota nel Libro dei Battesimi che probabilmente
Glorenza "era stata punita da Dio misericordioso". Questa "punizione"
portò alla distruzione di 89 case e fienili come risulta da un
elenco conservato nell'archivio di Castel Coira.
Circa 50 anni più tardi i generali austriaci vennero sconfitti
duramente proprio come nel 1499, dai francesi. Il 25 marzo 1799, verso
le undici del mattino, le soldatesche francesi penetrano nella cittadina
sguarnita, saccheggiando e derubando ogni cosa, sparano all'impazzata
uccidendo 8 persone. Nell'archivio dell'abbazia di Montemaria si conserva
una relazione dettagliata dei fatti: "Tutto il vino disponibile venne
bevuto o riversato intenzionalmente già il primo giorno. Quindi
i soldati eccitati dalle eccessive libagioni si misero a caccia di donne
e bambine che vennero violentate e sottoposte a sevizie di ogni genere,
molte di esse furono viste correre per i vicoli completamente ignude.
Alcune donne furono sottoposte a violenza davanti ai loro mariti..."
I francesi avevano sofferto la miseria, erano esasperati, ma tutto ciò
non giustifica il loro comportamento disumano verso la popolazione civile.
Ammassata nel frutteto del giudice, la gente è costretta ad assistere
a uno spettacolo raccappriciante accompagnato dalle risa di scherno dei
soldati messi a guardia: si dà fuoco alle loro case mentre il muggito
straziante del bestiame rimasto nelle stalle si fa via via sempre più
fioco fino ad ammutolire. Da mangiare non resta loro altro che il pane
dell'esercito, snobbato dai francesi. Bisogna ancora dire che in quei
giorni il generale austriaco Heinrich conte von Bellegarde, accampato
con le sue truppr a Lasa a soli 20 km di distanza, non mosse neppure un
dito.
Basta dare un'occhiata al catasto fondiario del secolo scorso per rendersi
conto che la chiesa era il più grande proprietario terriero e che
altrimenti le proprietà erano molto frazionate. Infatti con la
"divisione reale", secondo la quale l'eredità doveva
essere suddivisa in parti uguali tra tutti gli aventi diritto, non restava
spesso altro che un piccolo fazzoletto di terra: troppo piccolo per assicurare
la sopravvivenza. E allora molti cercarono di guadagnarsi il companatico
con il commercio ambulante come "Karrner" (carrettieri). I "Karrner"
erano piccoli commercianti, che in certi periodi o durante tutto l'anno
giravano di paese in paese coi loro carri. Nella zona del lago di garda
acquistavano limoni ed arance, nella Bassa Atesina le castagne che poi
rivendevano nella Germania meridionale. Nel viaggio di ritorno portavano
pietre per affilare ed utensili domestici. Fabbricavano anche scope ed
intrecciavano ceste. Si accampavano al di fuori dei paesi sotto gli ontani,
le betulle ed i cespugli nei pressi dei torrenti. Poichè per ottenere
il permesso di matrimonio bisognava dimostrare di avere una certa proprietà,
molti di essi non potevano far altro che vivere in concubinato, fatto
per cui entravano in conflitto con la legge per "immoralità".
Anche a Glorenza vivevano alcunu "Karrner" di cui avremo anche
l'occasione di parlare. Ma ora dobbiamo trattare di nuovo di un triste
capitolo della storia della miseria: a partire dalla seconda metà
del XVII secolo, tra la fine di febbraio ed i primi di marzo, i bambini
di età compresa tra i 6 ed i 14 anni abbandonavano la loro casa
con in tasca solo un tozzo di pane, raggiungevano il passo di Resia, trascorrevano
la notte nei fienili, elemosinando qualcosa per sopravvivere passavano
per Landeck e superavano l'Arlberg (che in quel periodo si presentava
spesso con il manto invernale) e sempre a piedi raggiungevano Bregenz;
da qui in battello proseguivano per Friedrichshafen e Ravensburg, dove
ogni anno in marzo si svolgevano i "mercati dei bambini". "Slavery"
e "Childmarket in Germany", si leggeva sulle pagine dei quotidiani
americani nel 1904, schiavitù e mercato dei bambini in Germania.
L'11 novembre, dopo sette mesi trascorsi lontano da casa, i bambini facevano
ritorno ai loro masi con in tasca pochi soldi ma orgogliosi di possedere
ora un vestito per tutti i giorni ed uno per le feste e di calzare dei
begli stivali. Erano detti "Schwabenkinder" perchè la
loro meta era la Svevia (Schwaben), gli ultimi partirono nel 1914, infatti
con lo scoppio della guerra dovettero restare a casa dove le braccia erano
indispensabili.
Sul muro di cinta a nord accanto alla porta Malles si vede ancor oggi
il livello massimo raggiunto dalle acque durante l'inondazione causata
dal lago di S. Valentino nel 1855, che devastò la campagna circostante.
Da tutte le regioni della monarchia giunsero offerte e donazioni, ma la
più insigne fu senza dubbio quella dell'imperatrice Sissi per un
ammontare di 400 fiorini.
Dopo la prima guerra mondiale il regime fascista fece erigere una caserma
a soli 50 metri dalle mura della città (coi militari Glorenza ha
sempre avuto sfortuna). Nel 1931 un decreto firmato da Mussolini sancì
il trasferimento della pretura a Silandro. Con la perdita di quest'ultimo
simbolo cittadino, restano solo la cinta muraria, le torri e i torrioni
semicircolari simili ormai allo scheletro della prestanza di un tempo.
Da tempo sotto i portici non si accumulano più le mercanzie ma
si aprono le stalle. Sic transit "Gloria vallis".
La principessa Rosaspina, la bella addormentata nel bosco, è ormai
solo una Cenerentola.
Il piccolo edificio sulla piazza della città a sinistra dell'albergo
"Gruner Baum" può essere assunto a simbolo della fortuna
alterna di Glorenza. Inizialmente era una casa borghese con erker e con
la facciata affrescata, poi l'erker si sgretolò e venne trasformata
in fienile; da qualche anno è stata ristrutturata in modo esemplare
ed è divenuta sede dell'istituto bancario locale. Denaro a palate
a Glorenza? No, ma dai primi anni settanta a Glorenza è in atto
un piano di risanamento sostenuto da contributi pubblici concessi dalla
Giunta Provinciale.
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