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Lombardia

 

La citt� di Milano dalla caduta degli Sforza al dominio spagnolo
di Giorgio Chittolini

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La Chiesa e la religione
A comporre la fisionomia di Milano nella seconda metà del XVI secolo concorreva un altro elemento importante, e cioè il carattere nuovo che la vita religiosa e le istituzioni ecclesiastiche andavano assumendo in concomitanza con l'affermarsi della cosiddetta "Riforma cattolica". la religione dei milanesi aveva subito non lievi turbamenti, a partire dal secondo decennio del secolo, in conseguenza delle inquietudini e delle aspirazioni a un profondo rinnovamento che si venivano ormai manifestando del resto un po' in tutto il Ducato; e ciò anche per la vicinanza geografica ai paesi d'oltralpe in cui la Riforma protestante si stava diffondendo. Ferivano la coscienza, a Milano come altrove in Italia, il lassismo e gli abusi di molti chierici, lo scarso spirito pastorale, l'inadeguatezza del clero di fronte a quei compiti di istruzione e di stimolo religioso che molti credenti esigevano. Non erano mancate adesioni, di singoli fedeli e di gruppi, a dottrine che vennero condannate come eterodosse dal governo civile e dalla gerarchia ecclesiastica, con gravi e ripetuti interventi (soprattutto negli anni 1541-1542, contro gruppi organizzati di Agostiniani, Francescani e Domenicani), interventi che ridussero la presenza ereticale a pochi cenacoli clandestini. Ma consistente e diffusa fu anche l'aspirazione a un rinnovamento che si mantenesse entro i limiti dell'ortodossia, secondo una tradizione che vedeva il sentimento religioso e lo spirito di devozione, profondamente diffusi e radicati nel popolo e nei fedeli, esprimersi in sintonia con i valori e con la visione del mondo che la dottrina della Chiesa e l'insegnamento dei sacerdoti avevano tradizionalmente proposto. E quel rinnovamento aveva avuto modo di manifestarsi nella fondazione e nell'attività di nuovi Ordini (fra il 1530 e il 1535 i Barnabiti, le Angeliche e i Somaschi; poco dopo le Orsoline di Angela Merici), in iniziative come le Scuole della Dottrina cristiana, ispirate da Castellino da Castello (1536-1539, che si proponevano di insegnare ai fanciulli i fondamenti della fede, nelle pratiche devozionali e caritative dei sacerdoti di Santa Corona.
A queste iniziative che nascevano dall'impulso di sacerdoti, religiosi e di semplici fedeli si aggiunsero via via le sollecitazioni provenienti dalla gerarchia. Gli episcopati di Giovanni Angelo Arcimboldi e Gian Angelo Medici, a partire dal 1550, rappresentarono una svolta rispetto al passato. Una svolta ben più netta si ebbe quando, nei primi anni Sessanta, la guida della diocesi e l'iniziativa della Riforma vennero alfine assunte con fermezza e decisone da Carlo Borromeo. Appartenente a una delle maggiori famiglie milanesi e lombarde, nipote per parte di madre di Gian Angelo Medici, non appena questi fu eletto papa con il nome di Pio IV, alla fine del 1559, Carlo fu chiamato dallo zio a Roma, e nel giro di poche settimane ebbe in amministrazione la diocesi di Milano, il titolo di cardinale, e numerosi e ricchi benefici, che gli assicuravano una rendita di parecchie decine di migliaia di ducati. Carlo aveva allora ventidue anni, e ne passò cinque a fianco del papa, "cardinal nepote" con importantissime cariche nel governo della Chiesa. Nel 1563, con un mutamento di vita che assomiglia a una vera e propria conversione, decise di farsi ordinare sacerdote, e accentuò il suo impegno religioso e pastorale. Nel 1564 fu nominato formalmente arcivescovo di Milano, fece il suo ingresso il 23 settembre 1565, e in città si trasferì definitivamente (dopo la morte dello zio) nella primavera del 1556, assumendo personalmente il governo della diocesi ed esercitando con impegno anche le funzioni di metropolita della provincia lombarda.
Obiettivo di Carlo fu quello di fare di Milano il luogo di attuazione piena della Riforma cattolica, così come il Concilio tridentino, da poco concluso, aveva inteso delinearla: la sua attività volle essere un esempio concreto di riorganizzazione della vita religiosa e delle istituzioni ecclesiastiche in una grande metropoli, in modo che Milano potesse servire da esempio alla cristianità intera; una Riforma, inoltre, vera, perfetta, che dalla sfera religiosa si estendesse a investire "la totalità della vita dell'individuo e la realtà del mondo nella sua interezza, ivi comprese le sfere che oggi riteniamo profane e regolate da autonome norme, come il ruolo del potere politico, l'uso del tempo libero o l'intimità della vita familiare" (Zardin, 1993). Carlo non rinunciò alle forme tradizionali della devozione e della religiosità cittadina e popolare, fatte di continue processioni, feste in onore dei santi, predicazioni, preghiere pubbliche e corali. Egli arricchì ulteriormente quella tradizione di devozioni e di riti "con le grandi traslazioni per le vie del centro cittadino delle reliquie dei santi venerati nelle chiese, le esposizioni eucaristiche delle quarantore che coinvolgevano l'intera cittadinanza, i riti interminabili delle comunioni generali, i pellegrinaggi penitenziali lungo le strade che seguivano da vicino l'andamento della cerchia dei navigli, moltiplicatisi soprattutto in occasione dei mesi drammatici della peste, fra il 1576 e il 1577", quando "l'arcivescovo stesso sfilava per le strade di Milano umilmente in preghiera, vestito di misere vesti, con i piedi scalzi, una fune intorno al collo, ad imitazione del condannato a morte che si consegna alle sofferenze del patibolo, reggendo davanti a sé un pesante crocifisso, tra le litanie e i canti dolorosi dei flagellanti, dei religiosi, dei laici in abito di lutto, recanti alte croci levate verso l'alto in segno di concorde invocazione" (Zardin. 1993).
Ma quella religiosità tradizionale Carlo volle riformare profondamente, conferendole una consapevolezza, una interiorità e una disciplina sconosciute in passato. Di qui la preoccupazione per l'educazione religiosa, intesa sia come insegnamento dei contenuti dottrinali che come formazione delle coscienze; di qui lo sforzo di proporre ai fedeli modelli di condotta e di pratica religiosa coerenti con i presupposti della fede cristiana, insegnata a tutti i fedeli attraverso il catechismo, secondo una pedagogia pianificata e organica, ma semplice e accessibile. Di qui lo sforzo per la creazione di un clero di tipo nuovo, il nuovo prete tridentino: un clero formato nei seminari (che il Borromeo fondò e riformò, affidandone il governo prima ai Gesuiti, poi agli Oblati); un clero seguito e stimolato dalla gerarchia (furono convocati in pochi anni sei concilii provinciali e undici sinodi diocesani, numerose e regolari diventarono le visite pastorali); un clero avviato a severi e impegnati modelli di vita sacerdotale, quali la Congregazione degli Oblati, fondata da Carlo, veniva proponendo. Di qui l'importanza attribuita alle parrocchie, intese come strutture di inquadramento e centri primari della vita religiosa dei fedeli, chiamate ora a porsi anche come referenti delle confraternite e di quelle varie pratiche e istituzioni devozionali e assistenziali che più liberamente e disordinatamente si erano sviluppate in passato. I decreti, le lettere circolari, le istruzioni e i regolamenti su queste differenti materie, diffusi attravesro la stampa, raccolti in volumetti, furono compresi infine nella silloge degli "Acta Ecclesiae Mediolanensis", che conobbero una straordinaria diffusione, ben oltre i confini della diocesi.
Fu un'azione di governo intensa e sistematica, sostenuta dal prestigio che a Carlo derivava da uno stile di vita estremamente austero, dalla fama che in tutta la cristianità si spargeva della Chiesa milanese come modello della nuova Chiesa riformata. Una riforma che egli voleva si estendesse alla totalità dell'individuo e a tutti gli aspetti del suo essere e delle sue attività, dalla famiglia ai comportamenti quotidiani, alla vita politica. "Ha tribolato i principi, i cittadini, i plebei, i preti, le monache, e vivi e morti…" scriveva un suo biografo, mettendo l'accento sulla severità e sull'ampiezza degli interventi dell'arcivescovo. In effetti un'azione di riforma così energica e nello stesso tempo così vasta e complessa non poteva non provocare diffidenze e resistenze, soprattutto quando veniva a turbare pratiche e consuetudini consolidate e metteva in discussione privilegi da tempo goduti. Scontenti e tensioni si manifestarono all'interno dello stesso mondo del clero, soprattutto quell'alto clero che era legato e protetto da tradizionali intrecci di parentela e di solidarietà con l'élite nobiliare e con la ricca borghesia cittadina. Resistenze opposero anche le confraternite laicali, che Carlo voleva riportare a modelli più disciplinati, i rettori degli ospedali, le opere pie. Episodi clamorosi furono il rifiuto che i canonici di Santa Maria della Scala, di nomina regia, opposero al diritto di visita dell'arcivescovo (agosto 1569), e, pochi mesi dopo la congiura ordita dagli Umiliati, sfociata nell'attentato a colpi di archibugio, da cui Carlo uscì miracolosamente illeso, il 26 ottobre.
Ancora più gravemente l'azione del Borromeo metteva in discussione il tradizionale equilibrio che nella vita ecclesiastica milanese si era stabilito fra il clero e la gerarchia da un lato e il laicato e l'autorità politica dall'altro, e ciò a causa della rivendicazione di prerogative che erano state di competenza dell'autorità civile. lo scontro fu particolarmente aspro con il re di Spagna Filippo II, il quale per parte sua, in quanto "re cattolico", rivendicava il compito di difendere la Chiesa e l'ortodossia, e di orientare e promuovere egli stesso la vita religiosa, le istituzioni ecclesiastiche dei suoi Stati. il primo ventennio di governo di Carlo Borromeo fu in effetti caratterizzato da scontri continui con i governatori spagnoli che via via si succedettero, in particolare con Luis Requesens e Antonio Ayamonte. Già nel 1563 Filippo II aveva tentato di introdurre a Milano l'Inquisizione "all'uso di Spagna", che gli avrebbe fornito un forte strumento di controllo su tutti i ceti sociali, e ne era sorta un'opposizione vivace, condivisa da tutta la cittadinanza, e dallo stesso pontefice. Restò a lungo motivo di contrasto la rivendicazione da parte del bargello dell'arcivescovo (la "milizia arcivescovile") di compiere arresti (1567 e seguenti). La pubblicazione solenne e severa, nel1568, della bolla "In coena domini" con l'intimazione della scomunica per i disobbedienti ebbe uno strascico di proteste e di accuse di abuso d'autorità. Controversie sorsero numerose anche sulla provvista dei benefici ecclesiastici. la situazione potè sboccarsi solo dopo il 1580, in seguito alla missione di un inviato dell'arcivescovo direttamente alla corte di Filippo II, che portò a un accantonamento dei principali motivi di attrito e aprì una fase di convivenza più pacifica. Nel 1583 fu nominato governatore il duca di Terranova, con la commissione di essere al contempo ministro del re e dell'arcivescovo; e tornò finalmente la "concordia jurisdicional". ma fu sempre una pace armata.
Fra resistenze e contrasti, l'azione di San Carlo veniva imprimendo una forte influenza sulla vita cittadina. Già nel 1567 Pietro Galesini, uomo di fiducia dell'arcivescovo, poteva constatare che "dopo che Vossignoria illustrissima è in Milano, si vendono tanti libri di theologia, spirituali et concili di Trento cha e pena (i librai) possono supplire; (…) et dove prima non si vendevano se non libri volgari, di romanzi ed altre vanità, hora non si vendono se non libri de santi padri, dottori della Chiesa, Bibie, catechismi, dottrine christiane, concilii di Trento, Somme et libri spirituali". Negli anni della peste anche la fisionomia esteriore della città era mutata. Il paesaggio urbano si era trasformato in una sorte di grande scenografia sacra, suscitatrice di un'incessante preghiera collettiva e capace di ammonire gli scampati con la semplice imponenza e la distribuzione capillare dei suoi segni di devozione, fuori dalle chiese e dai recinti dei conventi: con l'erezione delle croci, "rimaste a lungo a caratterizzare il volto dell'arredo urbano, presso gli altari provvisori allestiti durante l'epidemia nelle piazze e negli incroci principali della città" (Zardin, 1993). Secondo uno dei suoi primi biografi, Carlo Bascapè, si poteva rilevare nella città un "progresso in modo meraviglioso nei costumi cristiani", una maggiore moralità pubblica, anche nell'amministrazione, una buona disposizione di tutti i ceti sociali (e del popolo in particolare, più che della nobiltà, nonostante il favore che il Borromeo le aveva concesso).
E altrettanto forte fu l'impronta di San Carlo sulla vita artistica ambrosiana. Non solo egli continuò l'opera di promozione e di stimolo avviata da Pio IV Medici, ma, ancora una volta, volle applicare le nuove disposizioni che in materia di edilizia religiosa aveva varato il Concilio di Trento. Scrisse nel 1577 un testo di "Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae"; nelle visite pastorali prendeva in esame lo stato degli edifici e, facendosi sovente accompagnare da un architetto, indicava le modifiche da apportare; egli stesso, affidandosi prevalentemente a Pellegrino Tibaldi, volle sovrintendere alla realizzazione di diversi progetti. ma, più in generale, l'influenza multiforme che egli seppe esercitare sul sentimento religioso e sui modi di vita della società milanese del suo tempo si estese anche alle diverse forme della produzione artistica e conferì loro una riconoscibile fisionomia
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gli ultimi decenni del

dominio sforzesco


l'alternarsi delle
dominazioni nei primi
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Milano nell'orbita spagnola

la Chiesa e la religione



da "Pittura a Milano, Rinascimento e Manierismo" 1998, Cariplo, Milano - Ed. Arti Grafiche Amilcare Pizzi



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