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La Chiesa e la religione
A comporre la fisionomia
di Milano nella seconda metà del XVI secolo concorreva un altro
elemento importante, e cioè il carattere nuovo che la vita religiosa
e le istituzioni ecclesiastiche andavano assumendo in concomitanza con
l'affermarsi della cosiddetta "Riforma cattolica". la religione
dei milanesi aveva subito non lievi turbamenti, a partire dal secondo
decennio del secolo, in conseguenza delle inquietudini e delle aspirazioni
a un profondo rinnovamento che si venivano ormai manifestando del resto
un po' in tutto il Ducato; e ciò anche per la vicinanza geografica
ai paesi d'oltralpe in cui la Riforma protestante si stava diffondendo.
Ferivano la coscienza, a Milano come altrove in Italia, il lassismo e
gli abusi di molti chierici, lo scarso spirito pastorale, l'inadeguatezza
del clero di fronte a quei compiti di istruzione e di stimolo religioso
che molti credenti esigevano. Non erano mancate adesioni, di singoli fedeli
e di gruppi, a dottrine che vennero condannate come eterodosse dal governo
civile e dalla gerarchia ecclesiastica, con gravi e ripetuti interventi
(soprattutto negli anni 1541-1542, contro gruppi organizzati di Agostiniani,
Francescani e Domenicani), interventi che ridussero la presenza ereticale
a pochi cenacoli clandestini. Ma consistente e diffusa fu anche l'aspirazione
a un rinnovamento che si mantenesse entro i limiti dell'ortodossia, secondo
una tradizione che vedeva il sentimento religioso e lo spirito di devozione,
profondamente diffusi e radicati nel popolo e nei fedeli, esprimersi in
sintonia con i valori e con la visione del mondo che la dottrina della
Chiesa e l'insegnamento dei sacerdoti avevano tradizionalmente proposto.
E quel rinnovamento aveva avuto modo di manifestarsi nella fondazione
e nell'attività di nuovi Ordini (fra il 1530 e il 1535 i Barnabiti,
le Angeliche e i Somaschi; poco dopo le Orsoline di Angela Merici), in
iniziative come le Scuole della Dottrina cristiana, ispirate da Castellino
da Castello (1536-1539, che si proponevano di insegnare ai fanciulli i
fondamenti della fede, nelle pratiche devozionali e caritative dei sacerdoti
di Santa Corona.
A queste iniziative che nascevano dall'impulso di sacerdoti, religiosi
e di semplici fedeli si aggiunsero via via le sollecitazioni provenienti
dalla gerarchia. Gli episcopati di Giovanni Angelo Arcimboldi e Gian Angelo
Medici, a partire dal 1550, rappresentarono una svolta rispetto al passato.
Una svolta ben più netta si ebbe quando, nei primi anni Sessanta,
la guida della diocesi e l'iniziativa della Riforma vennero alfine assunte
con fermezza e decisone da Carlo Borromeo. Appartenente a una delle maggiori
famiglie milanesi e lombarde, nipote per parte di madre di Gian Angelo
Medici, non appena questi fu eletto papa con il nome di Pio IV, alla fine
del 1559, Carlo fu chiamato dallo zio a Roma, e nel giro di poche settimane
ebbe in amministrazione la diocesi di Milano, il titolo di cardinale,
e numerosi e ricchi benefici, che gli assicuravano una rendita di parecchie
decine di migliaia di ducati. Carlo aveva allora ventidue anni, e ne passò
cinque a fianco del papa, "cardinal nepote" con importantissime
cariche nel governo della Chiesa. Nel 1563, con un mutamento di vita che
assomiglia a una vera e propria conversione, decise di farsi ordinare
sacerdote, e accentuò il suo impegno religioso e pastorale. Nel
1564 fu nominato formalmente arcivescovo di Milano, fece il suo ingresso
il 23 settembre 1565, e in città si trasferì definitivamente
(dopo la morte dello zio) nella primavera del 1556, assumendo personalmente
il governo della diocesi ed esercitando con impegno anche le funzioni
di metropolita della provincia lombarda.
Obiettivo di Carlo fu quello di fare di Milano il luogo di attuazione
piena della Riforma cattolica, così come il Concilio tridentino,
da poco concluso, aveva inteso delinearla: la sua attività volle
essere un esempio concreto di riorganizzazione della vita religiosa e
delle istituzioni ecclesiastiche in una grande metropoli, in modo che
Milano potesse servire da esempio alla cristianità intera; una
Riforma, inoltre, vera, perfetta, che dalla sfera religiosa si estendesse
a investire "la totalità della vita dell'individuo e la realtà
del mondo nella sua interezza, ivi comprese le sfere che oggi riteniamo
profane e regolate da autonome norme, come il ruolo del potere politico,
l'uso del tempo libero o l'intimità della vita familiare"
(Zardin, 1993). Carlo non rinunciò alle forme tradizionali della
devozione e della religiosità cittadina e popolare, fatte di continue
processioni, feste in onore dei santi, predicazioni, preghiere pubbliche
e corali. Egli arricchì ulteriormente quella tradizione di devozioni
e di riti "con le grandi traslazioni per le vie del centro cittadino
delle reliquie dei santi venerati nelle chiese, le esposizioni eucaristiche
delle quarantore che coinvolgevano l'intera cittadinanza, i riti interminabili
delle comunioni generali, i pellegrinaggi penitenziali lungo le strade
che seguivano da vicino l'andamento della cerchia dei navigli, moltiplicatisi
soprattutto in occasione dei mesi drammatici della peste, fra il 1576
e il 1577", quando "l'arcivescovo stesso sfilava per le strade
di Milano umilmente in preghiera, vestito di misere vesti, con i piedi
scalzi, una fune intorno al collo, ad imitazione del condannato a morte
che si consegna alle sofferenze del patibolo, reggendo davanti a sé
un pesante crocifisso, tra le litanie e i canti dolorosi dei flagellanti,
dei religiosi, dei laici in abito di lutto, recanti alte croci levate
verso l'alto in segno di concorde invocazione" (Zardin. 1993).
Ma quella religiosità tradizionale Carlo volle riformare profondamente,
conferendole una consapevolezza, una interiorità e una disciplina
sconosciute in passato. Di qui la preoccupazione per l'educazione religiosa,
intesa sia come insegnamento dei contenuti dottrinali che come formazione
delle coscienze; di qui lo sforzo di proporre ai fedeli modelli di condotta
e di pratica religiosa coerenti con i presupposti della fede cristiana,
insegnata a tutti i fedeli attraverso il catechismo, secondo una pedagogia
pianificata e organica, ma semplice e accessibile. Di qui lo sforzo per
la creazione di un clero di tipo nuovo, il nuovo prete tridentino: un
clero formato nei seminari (che il Borromeo fondò e riformò,
affidandone il governo prima ai Gesuiti, poi agli Oblati); un clero seguito
e stimolato dalla gerarchia (furono convocati in pochi anni sei concilii
provinciali e undici sinodi diocesani, numerose e regolari diventarono
le visite pastorali); un clero avviato a severi e impegnati modelli di
vita sacerdotale, quali la Congregazione degli Oblati, fondata da Carlo,
veniva proponendo. Di qui l'importanza attribuita alle parrocchie, intese
come strutture di inquadramento e centri primari della vita religiosa
dei fedeli, chiamate ora a porsi anche come referenti delle confraternite
e di quelle varie pratiche e istituzioni devozionali e assistenziali che
più liberamente e disordinatamente si erano sviluppate in passato.
I decreti, le lettere circolari, le istruzioni e i regolamenti su queste
differenti materie, diffusi attravesro la stampa, raccolti in volumetti,
furono compresi infine nella silloge degli "Acta Ecclesiae Mediolanensis",
che conobbero una straordinaria diffusione, ben oltre i confini della
diocesi.
Fu un'azione di governo intensa e sistematica, sostenuta dal prestigio
che a Carlo derivava da uno stile di vita estremamente austero, dalla
fama che in tutta la cristianità si spargeva della Chiesa milanese
come modello della nuova Chiesa riformata. Una riforma che egli voleva
si estendesse alla totalità dell'individuo e a tutti gli aspetti
del suo essere e delle sue attività, dalla famiglia ai comportamenti
quotidiani, alla vita politica. "Ha tribolato i principi, i cittadini,
i plebei, i preti, le monache, e vivi e morti…" scriveva un
suo biografo, mettendo l'accento sulla severità e sull'ampiezza
degli interventi dell'arcivescovo. In effetti un'azione di riforma così
energica e nello stesso tempo così vasta e complessa non poteva
non provocare diffidenze e resistenze, soprattutto quando veniva a turbare
pratiche e consuetudini consolidate e metteva in discussione privilegi
da tempo goduti. Scontenti e tensioni si manifestarono all'interno dello
stesso mondo del clero, soprattutto quell'alto clero che era legato e
protetto da tradizionali intrecci di parentela e di solidarietà
con l'élite nobiliare e con la ricca borghesia cittadina. Resistenze
opposero anche le confraternite laicali, che Carlo voleva riportare a
modelli più disciplinati, i rettori degli ospedali, le opere pie.
Episodi clamorosi furono il rifiuto che i canonici di Santa Maria della
Scala, di nomina regia, opposero al diritto di visita dell'arcivescovo
(agosto 1569), e, pochi mesi dopo la congiura ordita dagli Umiliati, sfociata
nell'attentato a colpi di archibugio, da cui Carlo uscì miracolosamente
illeso, il 26 ottobre.
Ancora più gravemente l'azione del Borromeo metteva in discussione
il tradizionale equilibrio che nella vita ecclesiastica milanese si era
stabilito fra il clero e la gerarchia da un lato e il laicato e l'autorità
politica dall'altro, e ciò a causa della rivendicazione di prerogative
che erano state di competenza dell'autorità civile. lo scontro
fu particolarmente aspro con il re di Spagna Filippo II, il quale per
parte sua, in quanto "re cattolico", rivendicava il compito
di difendere la Chiesa e l'ortodossia, e di orientare e promuovere egli
stesso la vita religiosa, le istituzioni ecclesiastiche dei suoi Stati.
il primo ventennio di governo di Carlo Borromeo fu in effetti caratterizzato
da scontri continui con i governatori spagnoli che via via si succedettero,
in particolare con Luis Requesens e Antonio Ayamonte. Già nel 1563
Filippo II aveva tentato di introdurre a Milano l'Inquisizione "all'uso
di Spagna", che gli avrebbe fornito un forte strumento di controllo
su tutti i ceti sociali, e ne era sorta un'opposizione vivace, condivisa
da tutta la cittadinanza, e dallo stesso pontefice. Restò a lungo
motivo di contrasto la rivendicazione da parte del bargello dell'arcivescovo
(la "milizia arcivescovile") di compiere arresti (1567 e seguenti).
La pubblicazione solenne e severa, nel1568, della bolla "In coena
domini" con l'intimazione della scomunica per i disobbedienti ebbe
uno strascico di proteste e di accuse di abuso d'autorità. Controversie
sorsero numerose anche sulla provvista dei benefici ecclesiastici. la
situazione potè sboccarsi solo dopo il 1580, in seguito alla missione
di un inviato dell'arcivescovo direttamente alla corte di Filippo II,
che portò a un accantonamento dei principali motivi di attrito
e aprì una fase di convivenza più pacifica. Nel 1583 fu
nominato governatore il duca di Terranova, con la commissione di essere
al contempo ministro del re e dell'arcivescovo; e tornò finalmente
la "concordia jurisdicional". ma fu sempre una pace armata.
Fra resistenze e contrasti, l'azione di San Carlo veniva imprimendo una
forte influenza sulla vita cittadina. Già nel 1567 Pietro Galesini,
uomo di fiducia dell'arcivescovo, poteva constatare che "dopo che
Vossignoria illustrissima è in Milano, si vendono tanti libri di
theologia, spirituali et concili di Trento cha e pena (i librai) possono
supplire; (…) et dove prima non si vendevano se non libri volgari,
di romanzi ed altre vanità, hora non si vendono se non libri de
santi padri, dottori della Chiesa, Bibie, catechismi, dottrine christiane,
concilii di Trento, Somme et libri spirituali". Negli anni della
peste anche la fisionomia esteriore della città era mutata. Il
paesaggio urbano si era trasformato in una sorte di grande scenografia
sacra, suscitatrice di un'incessante preghiera collettiva e capace di
ammonire gli scampati con la semplice imponenza e la distribuzione capillare
dei suoi segni di devozione, fuori dalle chiese e dai recinti dei conventi:
con l'erezione delle croci, "rimaste a lungo a caratterizzare il
volto dell'arredo urbano, presso gli altari provvisori allestiti durante
l'epidemia nelle piazze e negli incroci principali della città"
(Zardin, 1993). Secondo uno dei suoi primi biografi, Carlo Bascapè,
si poteva rilevare nella città un "progresso in modo meraviglioso
nei costumi cristiani", una maggiore moralità pubblica, anche
nell'amministrazione, una buona disposizione di tutti i ceti sociali (e
del popolo in particolare, più che della nobiltà, nonostante
il favore che il Borromeo le aveva concesso).
E altrettanto forte fu l'impronta di San Carlo sulla vita artistica ambrosiana.
Non solo egli continuò l'opera di promozione e di stimolo avviata
da Pio IV Medici, ma, ancora una volta, volle applicare le nuove disposizioni
che in materia di edilizia religiosa aveva varato il Concilio di Trento.
Scrisse nel 1577 un testo di "Instructiones fabricae et suppellectilis
ecclesiasticae"; nelle visite pastorali prendeva in esame lo stato
degli edifici e, facendosi sovente accompagnare da un architetto, indicava
le modifiche da apportare; egli stesso, affidandosi prevalentemente a
Pellegrino Tibaldi, volle sovrintendere alla realizzazione di diversi
progetti. ma, più in generale, l'influenza multiforme che egli
seppe esercitare sul sentimento religioso e sui modi di vita della società
milanese del suo tempo si estese anche alle diverse forme della produzione
artistica e conferì loro una riconoscibile fisionomia.
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indice
gli ultimi decenni del
dominio sforzesco
l'alternarsi
delle
dominazioni nei primi
decenni del Cinquecento
Milano
nell'orbita spagnola
la
Chiesa e la religione
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