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Il cardinale
Raccapricciante, pensa Ulrich Fuchs. Ma il medioevo aveva anche i suoi
lati positivi. Il nostro turista se ne era già accorto il giorno
del suo arrivo a Bressanone. Le radici della nostra società odierna
vanno ricercate in quell'epoca, nelle città medievali, quindi anche
a Bressanone. Allora erano in voga le consorterie e le corporazioni d'arti
e mestieri, tutto un complesso di classi sociali a compartimenti stagni
in quanto i membri erano tali per nascita o privilegio ereditario; i nuovi
associati venivano assunti in base a severi criteri selettivi. La società
del tardo medioevo era tutta strutturata in base a questo sistema corporativo.
L'odierno apparato statale allora era del tutto sconosciuto. Ma furono
proprio le consorterie e le corporazioni a promuovere la trasformazione
degli abitanti in cittadini autonomi. Fu questo il passaggio dall'urbs
alla civitas, il distacco dell'uomo dall'autorità religiosa temporale.
La città, anche Bressanone, è precorritrice di una concezione
europea di grande portata politica, sociale e ideologica. L'ascesa di
questa civiltà urbana, come dimostra l'esempio di Bressanone, ebbe
il suo impulso in un processo di crescita verificatosi più o meno
fra il 1050 e il 1350. Le basi fondamentali, soprattutto le tendenze all'organizzazione
autonoma che hanno contribuito al dinamismo della nuova epoca, vanno ricercate
nella struttura cittadina, policentrica e differenziata; lì vanno
riscoperte le radici della vitalità dell'Umanesimo e della successiva
civilizzazione e cultura europea. Sarebbe un grave errore ritenere che
la prevalenza della chiesa a Bressanone abbia costituito un impedimento
alla crescita della borghesia e dell'economia cittadina. Al contrario,
le due strutture sociali si attiravano ed integravano a vicenda; non erano
affatto delle antinomie: le loro differenti concezioni del mondo condussero
un po' alla volta ad una fertile sintesi costruttiva. Dove operava la
chiesa c'era partecipazione umana; dove abitavano e vivevano gli uomini
fioriva l'economia; e dove c'era attività economica la chiesa cercava
di essere presente con le propie istanze.
La Torre Bianca di Bressanone è sorta per volontà di un
grande teologo e filosofo vissuto fra il tardo medioevo e l'età
pre-umanistica, di uno scienziato che da un lato incise sullo sviluppo
scientifico dei secoli seguenti e dall'altro rimase profondamente ancorato
ad una visione conservatrice e reazionaria del mondo. Il suo nome era
Nikolaus, proveniva da Kues sulla Mosella e i contemporanei lo chiamavano
Nicolaus Cusanus, ossia Nicolò Cusano. Terminati gli studi ricoprì
alti incarichi ecclesiastici: quale delegato pontificio si prodigò
con grande diplomazia nella composizione dei conflitti fra la chiesa romana
e quella greca per giungere ad una loro riunificazione. Divenne cardinale
e poi, nel 1450, vescovo di Bressanone: un grande onore per lui, ma ancor
più grande per Bressanone!
Nella città vescovile la borghesia emergente non era granchè
entusiasta di questa nomina. Che poteva farsene di un severo uomo di chiesa
proprio nel momento in cui la politica stava manifestando seri dubbi sulla
tutela dell'autorità ecclesiastica? Il nuovo vescovo si sarebbe
dovuto presentare come un uomo di mondo, indipendente o per lo meno critico
nei confronti della chiesa! Una parte della borghesia cittadina non ne
voleva sapere di uno scienziato, e tanto meno di un filosofo che parlava
di coincidentia oppositorum, di coincidenza delle opposizioni.
Ma questi insoddisfatti costituivano una piccola minoranza: erano i nuovi
affaristi, i pionieri dell'economia all'alba di una nuova epoca. La maggior
parte era clericale, osservante e devota al papa e al vescovo; stava col
Cusano.
De docta ignorantia è il titolo dell'opera della sua vita. Un titolo
che tradotto con "dotta ignoranza" non risolve granchè
l'enigma. Si può sapere ciò che non si sa? Può l'uomo
sapere più di quanto sa di non sapere? Occorre una lettura intensa
ed attenta per capire che al nuovo vescovo di Bressanone tutto sommato
interessava l'essenza divina, in cui si dissolvono i singoli contrasti:
la possibilità della conoscenza sta nella "proporzione"
tra l'ignoto e il noto; ma tra l'infinito - Dio - e il finito non c'è
proporzione; Dio sfugge pertanto alla conoscenza dell'uomo, cui non resta
che riconoscere la propria ignoranza; non per questo l'uomo rinuncia ad
avere una conoscenza di Dio; anzi, riconoscendo i propri limiti, perviene
comunque ad una sia pur approssimativa conoscenza di lui. Così,
se nello spirito umano gli aspetti contraddittori (bene e male, vero e
falso, ecc.) e nella natura quelli contrari (luce e tenebre, caldo e freddo,
ecc.) si escludono a vicenda, in Dio tutte le opposizioni coincidono.
Nel suo operato il Cusano fu un autentico rappresentante della concezione
medievale della sudditanza alla chiesa. Laddove scopriva o sospettava
anche solo dei sintomi di mondanità o di spirito laico entrava
decisamente in azione scatenando fiere battaglie contro le sfide dell'evo
moderno.
Ben presto si trovò in conflitto con il principe Sigismondo del
Tirolo, cui voleva strappare dei diritti imperiali. Ma non ce la fece,
come senza successo furono i suoi tentativi di riformare la diocesi. Ovunque
trovava opposizione, minacciava o comminava le massime pene ecclesiastiche:
scomunica e interdetto. Furono soprattutto le monache di sangue blu del
monastero di Castelbadia/Sonnenburg, capeggiate dalla indomita badessa
Verena, a non accettare le imposizioni del vescovo; e gli si ribellarono
contro ricorrendo all'aiuto del principe Sigismondo. Il quale avrebbe
preferito ben altre imprese che impegnarsi a favore delle pie monache
del convento pusterese. Proprio lui che era di una mondanità spudorata,
visto che alla sua corte di Innsbruck teneva non poche amanti e conduceva
una vita dissoluta, si sentì confermato nel proprio operato e nei
propri pensieri grazie anche a questa invocazione d'aiuto proveniente
da tanta "sacra" istanza. Scoppiò una piccola guerra
tra i fedeli sostenitori del vescovo e quelli delle monache fiancheggiati
da Sigismondo. Le suore furono cacciate dal convento, ma per tutta risposta
il principe fece catturare il Cusano: un'umiliazione senza pari non soltanto
per il vescovo di Bressanone ma anche per la schiera conservativa e spesso
reazionaria dei fautori del potere romano. Il papa Pio II - l'umanista
Niccolò Silvio Piccolomini, grande amico del Cusano - intervenne
minacciando il principe Sigismondo con la scomunica e l'interdetto. Nicolò
Cusano, rendendosi conto di non riuscire a frenare l'irruenza dei tempi
nuovi, scrisse con amarezza e rassegnazione: "Sono vecchio, voglio
la pace e prima di morire desidero veder trionfare la pace nella mia diocesi.
Sono stufo della mene di curia". Il vescovo morì a Todi nel
1464. Solo dopo affiorarono via via dei nuovi termini di confronto: il
fatto della concorrenza di ben tre conditati alla sua successione sta
a dimostrare come a Bressanone la concezione laica e quella religiosa
della vita si erano sviluppate lungo strade divergenti, e quanto era stata
fatale la crescente diatriba fra gli opposti raggruppamenti.
I resti mortali del cardinale riposano nella chiesa romana di San Pietro
in Vincoli. L'Accademia Nicolò Cusano di Bressanone - così
chiamata in memoria del grande cardinale - è un luogo d'incontro
fra la chiesa e il mondo, dove si promuove una visione cristiana del pensiero
e della vita.
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indice
aspetto sorridente
preistoria
nel cuore della città
da vescovo a papa
il cardinale
tra vicoli e strade
preziosità dei dintorni
il massimo delle solennità
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