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Tra vicoli e strade
Il nostro viaggiatore, che intende scrivere un servizio giornalistico
su Bressanone in una affermata rivista del suo Paese, il giorno dopo -
è il quarto della sua permanenza in città - si dirige attraverso
la via Fienili in direzione di un antico hotel che reca come insegna un
elefante e sulla facciata esterna presenta la raffigurazione di un massiccio
pachiderma.
Si stupisce non poco e si chiede: Che c'entra Bressanone con un elefante?
Come mai proprio il dipinto di un animele profano che non ha nulla in
comune con vescovi e preti, con incenso e chiese monumentali? Un tempo,
nel 16° secolo, la presentazione di particolari rarità, quali
giganti, nani, animali esotici - pappagalli e tigri, leoni pantere ed
elefanti - costituiva un evento straordinario che rimaneva scolpito nella
memoria per una vita intera. Correva l'anno 1551/52 quando a Bressanone
giunse un elefante indiano che suscitò stupore ed entusiasmo tra
la popolazione della città e dei dintorni. La gente presa da grande
curiosità venne anche da lontano, affondando i piedi nella neve
alta e sopportando freddo e privazioni, pur di vedere da vicino l'elefante,
anche per pochi minuti soltanto.
Nel 1548 l'arciduca Massimiliano d'Austria, il futuro imperatore Massimiliano
II, si era sposato con la propria cugina spagnola di nome Maria, figlia
di Carlo V. Era uno di quei molti matrimoni d'interesse che sapeva ben
poco d'amore e molto di calcoli politico-dinastici: gli Asburgo governavano
a Vienna ma anche a Madrid. Una parentela austro-spagnola doveva arricchire
e consolidare con ulteriore anello il già vasto predominio della
Casa d'Austria.
Come dono nunziale Massimiliano desiderava tanto un elefante indiano;
e il reggente portoghese soddisfece con sollecitudine questo stravagante
sogno infantile. Nella lettera d'accompagnamento ritenne opportuno dare
un nome al pachiderma, e precisamente quello del nemico mortale dell'occidente
cristiano, ossia quello del sultano Solimano, affinchè questi ne
risultasse umiliato come s'addice ad uno schiavo.
In piena estate dell'anno 1551 un fastoso corteo nunziale prese le mosse
da Madrid per recarsi a Vienna. Accanto a Massimiliano, alla novella sposa
Maria, a molti soldati ed inservienti, nel porto di Genova si aggiunse
il pachiderma Solimano con due lancieri, dodici uomini incaricati di accudire
l'animale e un garzone addetto alla sua guida. Ovunque Massimiliano faceva
tappa Solimano suscitava enorme interesse. A Trento, per esempio, uno
scultore era lì ad attendere il momento opportuno per esternare
l'elefante in una monumentale statua di legno. Siccome nella città
del Concilio Massimiliano aveva da risolvere alcune questioni politiche,
fece proseguire la propria sposa con l'intero corteo fino a Bressanone,
dove giunse nel mese di dicembre e prese alloggio in una taverna sita
nei campi a nord della città, dove rimase due settimane; tanto
occorreva per ritemprarsi dagli strapazzi del lungo viaggio. Sin dal primo
giorno l'elefante Solimano si trovò al centro dell'attenzione di
curiosi dagli occhi stralunati. La calca fu tanta e tale che per quanti
non ebbero la possibilità di ammirare Solimano in carne ed ossa,
sulla facciata esterna della casa si raffigurò il pachiderma a
grandezza naturale. L'affresco che lo ritrae è del pittore Leonhard
Mair, testimone oculare di questa straordinaria presenza in città.
Da allora la casa che ospitò il corteo nunziale e Solimano reca
il nome di Hotel Elefante. E tuttora - anche all'interno dell'albergo
- sono conservati molti ricordi di quella visita eccezionale. Al povero
elefante giunto dall'India, nonostante la grande agitazione che le circondava
e le cure che gli dedicava una piccola compagnia di accompagnatori, le
cose non andarono troppo bene. Durante il viaggio tutta l'attenzione della
gente era soltanto per lui. E così fu per un certo tempo una volta
arrivato a Vienna. Poi l'assuefazione a quella vista quotidiana diradò
la presenza dei curiosi, e ancor prima del Natale 1553 il robusto pachiderma
si spense miseramente nella sua stalla dilaniato dai morsi della fame.
Ciò che rimane dell'elefante di corte è un meraviglioso
sgabello a tre piedi che l'allora borgomastro di Vienna si fece confezionare
con l'omero e parti della gamba destra anteriore. Poi l'oggetto in questione
sparì da Vienna. Si sa che nel 1869 il monastero di Krems (Austria
inferiore) lo acquistò presso un antiquario in odore di fallimento
e lo sistemò in un'esposizione permanente di cose rare anche se
di dubbio valore artistico. Grazie però alle sue nobili origini
gli si può attribuire un qualche significato storico-culturale.
Una curiosità comunque che fa sgranare tanto d'occhi: la superficie
ossea dei piedi è onata di originali e delicate incisioni raffiguranti
gli stemmi di Massimilano e della consorte Maria, nonché la sagoma
massiccia del celebre elefante. Il ripiano del sedile reca incisa, fra
decorazioni ornamentali, una pomposa scritta latina che narra la storia
del misterioso oggetto, precisando che l'animale morto pesava 142 libbre,
di cui 73 si riferiscono allo scheletro.
All'Elefante di Bressanone - suppone giustamente il nostro turista - deve
aver preso alloggio anche il pensatore e poeta tedesco Heinrich Heine
durante il suo viaggio da Monaco a Genova. In quei giorni però
il creatore dell'indimenticabile "Libro dei canti" non era in
buona luna. Nemmeno a Bressanone. Il cattivo tempo gli aveva tolto il
buon umore, inoltre non riusciva a simpatizzare con la posizione sempliciotta
e reazionaria dei tirolesi sullo sfondo delle conquiste fatte grazie alla
rivoluzione francese. A Bressanone s'accorge soltanto del fatto che la
gente si affretta ad andare in chiesa e che l'aria della città
è impregnata di miasmi religiosi; e annota "Ovunque una puzza
asfissiante di immagini sacre e di fieno secco". Heine sostò
a Bressanone in piena estate nel periodo della fienagione e poco dopo.
L'aroma straordinariamente forte del fieno lo percepisce come puzza. E'
palese l'associazione che il poeta si sia diretto verso il centro cittadino
percorrendo la via dei Fienili che dall'Elefante conduceva attraverso
il quartiere in cui fino a pochi decenni fa il piano superiore dei caseggiati
rurali era adibito a fienile.
Proseguendo nella sua passeggiata sulle possibili orme di Heine il nostro
turista giunge in via Bastioni Maggiori, che nel secolo scorso fungeva
da piazza del mercato. Nel 13° secolo i mercati erano stati trasferiti
da via Mercato Vecchio nella Piazza del Duomo, dove rimasero fino al 1820.
Poi ritrovarono posto in via Mercato Vecchio e vi rimasero fino al 1867,
quando appunto si spostarono in via Bastioni Maggiori. In origine le vie
Bastioni Maggiori e Minori formavano un fossato colmo d'acqua all'esterno
delle mura urbane. Ma già nel 16° secolo il fossato venne colmato
con materiale di riporto, lasciando scoperto soltanto un breve tratto
di roggia.
La via Mercato Vecchio, se si prescinde da quelle dei Portici, è
la vera e propria strada dell'economia brissinese: da secoli essa ospita
negozi, botteghe di artigiani ed esercizi pubblici. E, come già
detto, qui fu ufficialmente concesso di dare vita al primo consistente
esercizio commerciale; volutamente al di fuori delle mura urbane e un
po' ai margini delle attività religiose.
Ulrich Fuchs scende lungo la breve via Torre Bianca, valica Porta San
Michele, si ritrova in Piazza Parrocchia, gironzola per via Portici Maggiori
fino a Porta Sabiona ed eccolo di nuovo in via Bastioni Maggiori. Il nome
di questa porta deriva dai Signori di Sabiona che dal 12° secolo avevano
il compito di difendere quest'angolo nordoccidentale delle mura urbane.
Agli inizi del 17° secolo l'antico castello cittadino entrò
in possesso della famiglia Lachmuller da cui pochi anni fa l'acquistò
la Comunità di valle che lo restaurò egregiamente. Un tratto
di questo grande edificio risale alla più antica struttura urbana
fatta erigere dal vescovo Heriward poco dopo il Mille. Come già
segnalato, l'occasione fu il trasferimento della sede vescovile da Sabiona
a Bressanone, la cui data esatta è tuttora oggetto di discussione.
Lo storico della chiesa Josef Gelmi scrive in merito: "Qualunque
possa essere stata la nascita di Bressanone, una cosa è certa:
lo sviluppo della località iniziò nel 901, quando il re
Ludovico il Fanciullo donò al vescovo Zaccaria di Sabiona il maso
Prihsna. Benchè nel documento di donazione tuttora conservato non
siano indicati i confini precisi della tenuta agricola, si può
supporre che si sia trattato di un territorio molto vasto che abbracciava
l'intera conca valliva di Bressanone. I vescovi di Sabiona si accorsero
ben presto che la piana di Bressanone era preferibile alla roccaforte
pressochè inaccessibile di Sabiona. Per questo vi fecero erigere
il complesso ambito del Duomo e nel corso della seconda metà del
10° secolo trasferirono la loro sede a Bressanone".
Come si deduce dal catalogo dei vescovi, Heriward fece costruire una cerchia
muraria che il suo successore Hartwig - l'immediato predecessore del già
menzionato Poppone, alias Damaso II - provvide a completare.
Dei vescovi brissinesi ci sarebbe molto da raccontare: grandi imprese
e virtù eminenti, erudizione raffinata e gioiose amenità;
ma anche interferenze meno lodevoli nella vita cittadina e qualità
abbastanza discutibili. Vogliamo soffermarci brevemente su due di loro:
Altwin (1049-1097), l'immediato successore di Poppone, è annoverato
fra quei pastori della chiesa locale che misero in cattiva luce la propria
missione e dignità. Anche il periodo in cui Altwin visse è
caratterizzato dalle violente lotte per le investiture. Pure lui, come
Poppone, era un fedele alleato dell'autorità temporale, dell'imperatore
Enrico IV che lo ricompensò con laute prebende. Altwin, come riferisce
il vecchio catalogo brissinese, avrebbe comperato la dignità episcopale
per 100 marchi. Un gesto del genere, sullo sfondo di grande corruzione
e di enormi interessi particolari, oggi appare particolarmente riprovevole;
nell'alto medioevo, soprattutto nel corso della aggrovigliata lotta per
le investiture, la simonia faceva parte di una prassi consolidata quando
c'era di mezzo il conferimento di piccoli e grandi incarichi. Fu Enrico
IV, che nel 1080 era stato scomunicato per la seconda volta, a convocare
in Bressanone un sinodo contro il papa Gregorio VII. La scelta della località
sottolinea nuovamente da un lato l'importanza di Bressanone dall'altro
la sua felice posizione geografica lungo la strada degli imperatori. Il
conciliabolo durò due giorni: il 25 e il 26 giugno 1080. Si ha
l'impressione che l'imperatore e i suoi fedeli sudditi avessero fretta;
diedero al sinodo il nome di "Concilio Generale"; emanarono
un decreto nel quale si accusava il papa di omicidio e di eresia e si
esigeva senza mezzi termini la sua deposizione. La conclusione del documento
recita: "Per questo, ispirati da Dio, ci siamo radunati nella ferma
fiducia negli inviati e nelle lettere dei 19 vescovi, che nel giorno santo
della Pentecoste scorsa erano convenuti a Magonza contro Ildebrando (Gregorio
VII), che predica sacrilegio e incendio, difende spergiuro e omicidio,
mette in dubbio la fede cattolica ed apostolica nel corpo e nel sangue
del Signore… Noi quindi emettiamo la sentenza che sia deposto secondo
le disposizioni del diritto canonico, venga cacciato e, se non scende
dal suo trono dopo questa denuncia, sia dannato in eterno".
A Bressanone poi subito si elesse papa l'arcivescovo Viberto di Ravenna.
Negli anni successivi - la politica imperiale non riuscì ad imporsi
definitivamente nei confronti del predominio della chiesa - il vescovo
Altwin dovette pagare il fio della propria fedeltà all'imperatore:
il duca bavarese Guelfo, ostile ad Enrico IV, lo fece imprigionare nella
cappella di San Giovanni e più tardi lo cacciò dalla città.
Morì scismatico. Come annota il Gelmi, sotto il vescovo Altwin
la diocesi di Bressanone subì dei danni dal punto di vista religioso,
ma da quello temporale si arricchì di molto grazie alla sua fedeltà
all'imperatore.
Il secondo vescovo che vogliamo brevemente ricordare è il beato
Artmanno (1140-1164), uno dei maggiori vescovi che la diocesi possa annoverare.
Assieme al duca Reginberto di Sabiona nell'anno 1142 Artmanno fondò
l'abbazia dei monaci agostiniani a Novacella, un monastero di grande prestigio
storico religioso e culturale, sito alla periferia settentrionale di Bressanone;
ogni persona interessata a questa terra dovrebbe dedicargli una attenta
visita.
Anche Artmanno, coma altri molti suoi predecessori, intratteneva stretti
ed amichevoli rapporti con i detentori del potere temporale, ma per quanto
concerne la sua missione spirituale era un uomo di chiesa, un autentico
rappresentante del cristianesimo, un vescovo esemplare che per tutta la
sua vita non dimenticò mai di essere un uomo di Dio impegnato per
la salvezza delle anime.
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indice
aspetto sorridente
preistoria
nel cuore della città
da vescovo a papa
il cardinale
tra vicoli e strade
preziosità dei dintorni
il massimo delle solennità
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