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Lombardia

 

L'Abbazia di Morimondo
di Luigi Collino

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La storia dell'Abbazia
Morimondo: questo nome voleva essere per i monaci un duro indimenticabile ammonimento: moritur mundus. E così fu davvero per lunghi ani, durante i quali l'Abbazia fondata nei pressi del Ticino dal primo Abate Gualchezio venuto di Francia con dodici compagni al seguito del pio Bernardo, prosperò mirabilmente. Nel 1145 al nuovo attivo abate di Morimondo, Pietro, venivano fatte nuove importanti donazioni, e nel 1160 Morimondo aveva già diritto di tutela su altre chiese viciniori. Così nell'anno 1182, in piena efflorescenza, poteva iniziarsi la fondazione del tempio, a cui certo posero mano, come ad altre fabbriche cistercensi, i valenti maestri comacini, e più precisamente forse i maestri lapicidi della valle d'Intelvi, detti anche popolarmente "antelami". E' da escludersi infatti, almeno a nostro parere, che alla costruzione definitiva del cenobio e della chiesa di Morimondo abbiano presieduto architetti francesi. Camille Enlart nella sua bella trattazione su "L'architecture gothique du XIII siècle", afferma invece che nell'Alta Italia, cioè nella parte della penisola più vicina alla Francia i maestri costruttori dell'Ordine cistercense furono poco felici nelle loro fabbriche, sovratutto per il forzato impiego del mattone, a cui in Borgogna non si erano addestrati. L'Enlart dimostra così senz'altro di credere alla nazionalità francese degli architetti delle Abbazie dell'Alta Italia; ma deve pur nel contempo riconoscere che l'influenza cistercense si manifesta assai più nell'ordinamento dei locali che nello stile delle costruzioni. Cerca di spiegare quest'anomalia col fatto che questi monasteri "commencés trop tot, dans un style encore roman, ils ont eté adaptés, apres coup, à l'architecture gothique; la plus connue de ces abbayes du nord est Chiaravale près Milan, fondée en 1135 par sainto Bernard, consacrée en 1221 comme en temoigne une iscription. Morimondo est un autre exemple".
Ma l'Enlart non ci persuade e, basandoci sulla storia e sull'architettura proprio di Morimondo, riteniamo che nel 1182, anno d'inizio delle costruzioni, non vi fossero più nel monastero frati francesi o almeno fossero ormai in minoranza, che i lavori ordinati dall'Abate Pietro venissero eseguiti da maestri muratori comacini, e che l'influenza cistercense, cioè francese, si facesse sentire, non nello stile della fabbrica (arte), ma soltanto nell'orientamento, nella quantità, nella disposizione dei locali (regola dell'ordine). Insomma - pur non esitando a riconoscere che l'arte cistercense d'oltralpe trionfò nell'Italia centrale colla costruzione delle abbazie di Fossanova sulla via Appia presso Terracina, e di San Martino presso Viterbo, opere sicure di artisti venuti di Borgogna - riteniamo che nell'Alta Italia, al contrario, non siano sorti per opera di architetti francesi monasteri cistercensi, ma che questi monasteri, fra il 1180 e il 1250, siano stati intonati allo stile nostrano del tempo, tardoromanico o di transizione, da maestri costruttori italiani, per piegarsi poi, nel prosieguo più tardo dei lavori, al gotico primitivo o stile severo, influenzato solo genericamente dall'arte francese. Di tutto questo non mancano prove nell'Abbazia di Staffarda, dove "il tempio si distacca dal tipo generalmente adottato dalle chiese cistercensi, perchè l'abside, invece di essere quadrata è semicircolare; il transetto è sprovvisto di nicchie rettangolari per le cappelle; manca anche il tiburio"; nell'Abbazia di Chiaravalle, la cui chiesa possiede - contrariamente agli altri templi cistercensi privi sempre di campanile - un'alta torre ottagonale in mattoni; ed infine a Morimondo, che nell'insieme è caratteristicamente italiana. Così volle forse la sua Abbazia l'energico abate Pietro, che diede il primo impulso alle costruzioni nell'anno 1182.
Cominciarono subito le difficoltà e le opposizioni da parte di un certo Prevosto Pagano di Casorate, che pretendeva aver diritto sulla grangia di Faragiola. Costui si recò più volte coi suoi chierici là dove si erano iniziati i lavori del monastero, per impedire ai "magistri" e ai manovali di costruire su terreno che, a suo dire, gli apparteneva; e non bastando le proteste verbali, trascese talora poco evangelicamente, con un suo fedel diacono, sino a far la sassaiola per scacciare dal caniere gli operai. Ma nulla concluse, i lavori continuarono e l'Abbazia fu presto fiorente ed operosa, malgrado altre divergenze coi Rettori e con l'Arcivescovo di Milano. Nel maggio del 1188 papa Clemente III concedeva all'Abate di Morimondo una bolla di privilegio e di protezione, confermando a quei monaci la regola di S.Benedetto con le altre istituzioni proprie dei Cistercensi. Così la Comunità di Morimondo crebbe, si affermò, sino ad avere 50 frati e 200 conversi. Questi ultimi procacciavano col loro lavoro il sostentamento a tutto il cenobio; provenivano dalla terra, che lavoravano dall'alba al tramonto, contenti di un po' di sicuro vitto quotidiano. Pregavano con la recitazione del pater e del Miserere; s'istruivano per una sola ora settimanale, portavano un rude saio grigio con cappa, marciavano a piedi nudi, avevano la testa completamente rasata. I monaci pregavano più a lungo e dirigevano i molti lavori della campagna. E' nota la tendenza dei Cistercensi a metter in valore le terre incolte: essi sapevano irrigare con uno speciale sistema, disboscare con metodo, trasformare insomma la "baraza", in ubertosi campi e praterie. Furono essi a introdurre in Italia questo genere di coltivazioni sistematiche, fra le quali caratteristiche le "marcite" che comparvero per la prima volta in Italia proprio attorno a Chiaravalle e a Morimondo. "Le marcite sono praterie sistemate a piani leggermente inclinati, irrorate da un velo d'acqua proveniente da riserve acquee o da polle, la cui temperatura è sempre maggiore di quella dei fiumi e delle roggie; il che provoca lo scioglimento rapido delle nevi ed un precoce rigoglio d'erba, in modo da potersi avere una prima falciatura già nel mese di marzo od anche prima. Nelle marcite, oltre ad un taglio precoce in più, è possibile ottenere tagli tardivi in più; e ciò costituisce il grande valore agricolo di una simile innovazione".
Insomma ben operosi furono, già durante gli ultimi anni del secolo XII e poi durante tutto il XIII, i monaci e i conversi di Morimondo, che costruirono anche ponti sul Ticino, tracciarono strade, ed esercirono nel loro convento fin dal 1190 un benefico ospedale per i poveri, che nel 1211 era diretto da un tal prete Giacomo, detto di Varadeo.
Al tempo di Federico Barbarossa e delle sue discese in Italia, Morimondo parteggiò per l'imperatore e ne ottenne investiture e privilegi; poi abbandonò il partito ghibellino, e il 3 dicembre 1237 fu devastata e saccheggiata dalle milizie di Pavia. Ad altre devastazioni e rovine andò soggetta nel 1245 per opera di Federico II e nel 1266 da parte di nuovo dei Pavesi. Tuttavia nel 1273 Morimondo ebbe l'onore di ospitare il papa Gregorio X, diretto al Concilio di Lione, il quale potè vedere allora, pressochè compiuto, il magnifico tempio dalla severa e semplice architettura. Nuove angherie, nuove sevizie e nuovi saccheggi subì ancora il Monastero nel 1290 da parte di Guglielmo di Monferrato, nel 1295 da parte di una banda comandata da Berliocco da Ozino, e nel 1314 infine per opera di Corradino di Svevia e dei Torriani. Seguirono lunghi anni di pace, durante i quali però ebbe inizio la graduale decadenza della insigne Comunità religiosa di Morimondo. La quale presto si trasformò in Commenda, rilassandosi senza rimedio i costumi religiosi. Nell'anno 1490 era Commendatario il cardinale Giovanni De' Medici, divenuto poi Papa col nome di Leone X. Desiderando egli riformare la disciplina tanto decaduta dei monaci, introdusse, coll'approvazione del pontefice Innocenzo VIII, otto austeri frati di Settimo Fiorentino nella famiglia cistercense di Morimondo, e costoro diedero al monastero nuovo lustro, ne promossero i primi restauri, e fecero eseguire per la chiesa il magnifico coro di Maestro Francesco Giramo da Abbiategrasso portato a compimento nel 1522. Il cardinale San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano visitò nel 1573 Morimondo, ma la sua visita fu per la chiesa parrocchiale, poiché sin dal 22 agosto 1556, l'abbazia aveva cessato di esistere, in seguito ad una rinuncia dell'Abate Commendatario Innocenzo da Monte ead una bolla di papa Pio IV, che ne assegnava i beni all'Ospedale Maggiore di Milano. Il Monastero, come Commenda, tuttavia continuò ad esistere; nel 1605 veniva visitato dal Cardinale Federico Borromeo, e nel 1650 vantava come Abate quel fastoso, autorevole, energico Antonio Libanorio da Ferrara, che per primo rivendicò il titolo di Conte, fece valere la sua autorità indipendente, e restaurò in parte gli edifizi conventuali. Un altro restauro fu compiuto nel 1730, come risulta da una lapide ancor oggi murata in uno dei pilastri di destra della Chiesa: "Restaurata tempore R.mi D.ni Franci Lonati, Mediolanensis, Abatis Morimundi. A.D. MDCCXXX".
Nel 1737 questo stesso Abate Francesco Lonato allogò nel tiburio della chiesa tre belle campane fuse dall'insigne fonditore Bartolomeo Bozzo. Poi malinconicamente la gloria secolare di Morimondo s'avviò all'estremo tramonto. Nell'anno VI della Republica francese, 1798, il Monastero fu definitivamente soppresso, e la chiesa convertita in parrocchia ad uso delle poche case del borgo. Gli ultimi possedimenti nella valle del Ticino, i tesori della vecchia Abbazia vennero venduti alla rinfusa, e solo rimasero nel tempio spogliato, per le esigenze del culto, una pisside ed un ostensorio. Nel 1873 il Genio Civile del Regno d'Italia riconobbe la necessità urgente di procedere a qualche controllo e a qualche restauro per evitare l'estrema rovina di Morimondo; ma la sorveglianza del monumento fu anche in seguito così relativa, che solo pochi anni or sono il bel rosone in cotto sovrastante all'arco d'ingresso potè essere asportato e venduto. Mentre scriviamo, anno 1934-XII, finalmente i necessari lavori di restauro sono in corso.


indice


introduzione

i cistercensi e le origini di Morimondo

la storia dell'Abbazia

il convento e l'esterno della chiesa

l'interno della chiesa

il coro

pitture

importanza di Morimondo nell'arte e nella storia

da "Italia Sacra", II vol., sac. Alessandro Tamborini, Milano, 2 febbraio1928



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