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Lombardia

 

L'Abbazia di Morimondo
di Luigi Collino

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Pitture
Fra le regole monacali dei Cistercensi vi era quella, come abbiamo già visto, che vietava nell'interno delle loro Badie e delle loro chiese le pitture e le sculture figurative. Dobbiamo ritenere però che questa rigidissima norma assai si fosse attenuata da quando S.Bernardo l'aveva per la prima volta enunciata a Citeaux, e che nelle abbazie cistercensi d'Italia la si fosse sempre poco rispettata. Così, ad esempio, appare a Staffarda, e così risulta pure a Morimondo, poiché da una lapide un tempo murata presso la porta della chiesa e trascritta dal Puccinelli nel suo "Zodiaco della chiesa milanese", sappiamo che ai tempi di papa Martino V, essendo abate e conte di Morimondo Giovanni de Ferraris, erano state ordinate al pittore Enrico de Spededo delle pitture, ora scomparse, che decoravano quasi tutto il tempio, o almeno la parete presso la porta. Noi non sappiamo quale valore avessero questi affreschi del pittore de Spededo, ma l'epoca di essi (fra il 1417 e il 1431) ne fa rimpiangere la perdita, se non altro, per l'importanza storica.
In facci alla porta rettangolare che dalla navata destra conduce alla sagrestia, sul muricciolo che limita il coro, si scorgono invece ancora tracce di alcuni dipinti con figure di santi e festoni di fiori, che paiono però essere più tardi di quelli di Enrico de Spededo, cioè del Cinquecento.
Ad epoca di posteriore decadenza risalgono i pochi quadri della chiesa, come, ad esempio, quello mediocre dell'abside che rappresenta Sant'Antonio da Padova mentre cambia in sangue le monete d'oro di Ezelino da Romano, o quello, dal punto di vista iconografico più curioso ed importante, situato nella navata minore di destra, che in alcuni medaglioni raffigura le varie persone della famiglia di San Bernardo, e cioè il padre, Eccelino di Borgogna, la madre Aletta, i fratelli Andrea, Nivardo, Bartolomeo, Gerardo, e la sorella Alimbellina. Questo dipinto risulta opera di un Camillo Orasso e porta la data MDL.
Più importanti sono i due dipinti conservati nella sagrestia, e che sono dovuti ad autori non ignoti, anzi di assai chiara fama. Uno di essi fu persino per qualche tempo attribuito a Raffaello, ma appare invece più modestamente e più logicamente di buona scuola leonardesca. E' un Cristo ignudo, assiso con sentimento di profondo dolore su di una tomba scoperchiata. Il volto espressivo e triste, lievemente piegato, con gli occhi chini sotto le palpebre abbassate, è di schietta espressione lombardesca e fa pensare al Cristo del famoso Cenacolo; il torso è proporzionato, le braccia armonicamente aperte in un gesto di rassegnazione, le gambe, nella parte di esse visibile, ombreggiate nei muscoli con abile cura. L'insieme è insomma di un ottimo effetto e si afferma opera di gran pregio dovuta al pennello di Giampietro o Pietro Rizzo, scolaro di Leonardo, qualora addirittura non vi abbia posto mano parzialmente anche il Maestro.
L'altro dipinto della sagrestia è uno spigliato quadro dalle tinte a chiaroscuro di Giuseppe Maria Crespi detto lo Spagnuolo, pittore vissuto a cavallo fra il Seicento e il Settecento, che si dilettò, in piccoli quadri, di piccoli soggetti, e cioè fiere, scorci campestri o familiari, cacciatori, giocatori e magari qualche bonaria scena religiosa, come, ad esempio, la famosa Comunione, conservata nella Galleria di Dresda. Qui il Crespi però si è accontentato di dipingere con bella evidenza alcuni teschi con corone ed emblemi.
Sotto il portico antistante la sala del Capitolo rimangono infine i resti, purtroppo assai deturpati, di un affresco cinquecentesco di notevole importanza e bellezza. Rappresenta la Madonna col bambino Gesù che sporge la piccola mano santa a San Giovannino. Da una parte sta San Benedetto, dall'altra San Bernardo, l'uno e l'altro col pastorale e con un libro aperto in mano, forse cioè con le regole rispettivamente date all'Ordine dei Cistercensi. Ben conservata è la figura di San Bernardo, vestito di bianco, con cappa e completamente raso; evanescente, invece, scolorita, incerta quella di San Benedetto, di cui si indovina, più che non si vegga, la barba fluente. Incerta per alcun tempo fu l'attribuzione di questo bell'affresco mal conservato, ma come il Sant'Ambrogio ed il Malaguzzi-Valeri, noi riteniamo si debba senz'altro attribuire a Bernardino Luini: tutto quanto ancora rimane, infatti, e si vede di questo dipinto, ci riporta per il concetto e la forma, alla religiosità tenera, alla voluttà calma, all'intima dolcezza di sogno del miglior discepolo diretto di Leonardo da Vinci. Basta guardare d'altronde il volto della Madonna dell'affresco di Morimondo per pensare suggestivamente ai due volti femminili della Sacra Famiglia del Luini, conservata nella Galleria Ambrosiana di Milano. Purtroppo però questo prezioso affresco fu malamente restaurato nel secolo XVII, e i lavaggi e le strofinature per rimetterlo il luce gli tolsero le sfumature e la pienezza dei colori.
Sotto lo stesso portico in cui si ammira l'ampio affresco del Luini, sui pilastri traspaiono sotto reiterate imbiancature dei dipinti, naturalmente assai velati, che rappresentano forse abati e santi dell'Ordine Cistercense; per quanto almeno si può tuttora giudicare si tratta di notevoli figure bergognonesche, le quali meriterebbero un accurato restauro.
In complesso, come si vede, l'Abbazia di Morimondo, malgrado la sua origine cistercense, non mancava di pitture, le quali ebbero sempre un certo carattere regionale. Quanto ne rimane, infatti, ci riporta attraverso ai tempi, al vario fiorire della scuola pittorica lombarda, con predominio dei leonardeschi, ed in ispecial modo del Luini, del Rizzo e forse del Bergognone.


indice


introduzione

i cistercensi e le origini di Morimondo

la storia dell'Abbazia

il convento e l'esterno della chiesa

l'interno della chiesa

il coro

pitture

importanza di Morimondo nell'arte e nella storia

da "Italia Sacra", II vol., sac. Alessandro Tamborini, Milano, 2 febbraio1928



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